La sempre più pressante esigenza di decarbonizzare il settore della produzione di energia elettrica per contrastare i cambiamenti climatici ha riportato l’attenzione, a livello mondiale, verso le tecnologie nucleari. L’interesse per l’energia nucleare è culminato con la dichiarazione, sottoscritta da 22 Paesi in occasione della COP 28 di Dubai, di triplicare la capacità di produzione da fonte nucleare entro il 2050, riconoscendo il suo ruolo chiave nel raggiungimento degli obiettivi NetZero.
Ciò implica il moltiplicarsi dell’impegno nel progettare e realizzare reattori nucleari che siano sempre più affidabili, sicuri, e che producano energia con costi competitivi rispetto alle fonti rinnovabili, per “complementare” il loro fondamentale supporto al mix energetico.
Attualmente sono in costruzione nel mondo oltre 50 reattori nucleari della cosiddetta terza generazione: si tratta di impianti di grandi dimensioni, generalmente raffreddati ad acqua come quelli della seconda generazione, caratterizzati però dall’implementazione di sistemi di sicurezza passivi, che non necessitano, cioè, dell’intervento umano o dell’energia elettrica per entrare in funzione.
Gli investimenti necessari per realizzare impianti di grandi dimensioni, e i tempi di realizzazione incerti, si sono dimostrati, forse, troppo sfidanti per essere affrontati da investitori privati senza qualche forma di intervento pubblico.
Per questo motivo la ricerca in ambito nucleare si è concentrata sulla miniaturizzazione dei reattori nucleari: per recuperare la perdita dell’effetto scala dovuta alla riduzione delle dimensioni e quindi della capacità produttiva, un reattore nucleare deve essere costruito in serie, diventare modulare, permettendo la realizzazione dei componenti in siti industriali dedicati e lasciando soltanto l’assemblaggio del reattore nel luogo di realizzazione della centrale nucleare.
È questa l’idea alla base dei cosiddetti Small Modular Reactors (SMR): il primo esemplare dovrebbe essere allacciato alla rete elettrica nel 2029 in Canada, ma ci sono molti altri progetti, attualmente in fase di progettazione o di licensing. Si tratta di reattori nucleari, con potenza variabile da qualche decina a poche centinaia di MW, derivati dai reattori di terza generazione.
Questa tipologia di piccoli reattori, essendo già quasi matura per essere impiegata sul campo, potrà dare un importante contributo alla decarbonizzazione del mix energetico in tutti i Paesi che già utilizzano l’energia nucleare come fonte energetica e in quelli che stanno avviando i propri programmi nucleari.
Per ridurre i tempi di dispiegamento, la Commissione Europea ha recentemente lanciato la European Industrial Alliance on Small Modular Reactors (SMRs), che mira a facilitare e accelerare lo sviluppo, la dimostrazione e l’implementazione degli SMR in Europa entro l’inizio degli anni 2030.
Se si dovesse decidere di installare reattori di questo tipo in Italia, probabilmente le nostre aziende partirebbero con un gap rispetto a chi già costruisce reattori di grandi dimensioni, tuttavia è da evidenziare che la nostra filiera industriale partecipa alla realizzazione di reattori raffreddati ad acqua all’estero e sta effettuando il decommissioning, e la gestione dei rifiuti radioattivi da esso derivanti; tutto ciò potrebbe costituire un valore aggiunto per il potenziale industriale italiano.
Resta irrisolto, con gli SMR raffreddati ad acqua, il problema dell’utilizzo non ottimale del combustibile nucleare: questo, infatti, viene considerato rifiuto radioattivo quando è stata bruciata solo una minima parte dell’uranio necessario per ottenere la fissione nucleare. Per rendere più sostenibile il ricorso all’energia nucleare è necessario che i reattori possano utilizzare in grandi quantità il combustibile riprocessato, in modo da minimizzare la quantità di prodotto pregiato destinata a diventare rifiuto radioattivo.
I reattori nucleari di quarta generazione, allo studio da oltre vent’anni, soddisfano appieno questo criterio: avendo un metallo liquido come refrigerante è teoricamente possibile utilizzare il combustibile esausto dopo il suo riprocessamento per l’intera vita utile del reattore, minimizzando la produzione di rifiuti radioattivi a lunga vita (che hanno bisogno di centinaia di migliaia di anni per diventare innocui).
Negli ultimi anni gli studi sui reattori di quarta generazione si sono concentrati sulla miniaturizzazione dei precedenti progetti: utilizzare un fluido pesante, come un metallo liquido, per raffreddare il reattore è più complicato che ricorrere all’acqua. È quindi necessario un notevole impegno in termini di ricerca e sviluppo per accelerare la realizzazione dei primi dimostratori industriali.
Trattandosi di tecnologia ancora non dispiegata, le industrie italiane, con il supporto di ENEA, sono allo stesso livello, se non superiore, di quelle europee ed internazionali: il potenziale è enorme perché la maggiore sostenibilità di questa tecnologia, una volta dimostrata sul campo, porterà a una “esplosione” del mercato, in cui l’Italia potrà giocare un ruolo da protagonista.
A riprova dell’eccellenza italiana, basta considerare che dei 9 progetti selezionati dal Governing Board della European Industrial Alliance on Small Modular Reactors, per essere approfonditi nei Gruppi di Lavoro tecnici dell’Alleanza, solo due sono basati su tecnologia di quarta generazione ed entrambi hanno il “cuore” italiano:
- EU-SMR-LFR (proposto da Ansaldo Nucleare, SCK-CEN, ENEA e RATEN) con l’obiettivo di realizzare un dimostratore elettrico in Romania e un dimostratore industriale in Belgio entro la fine degli anni 2030;
- European LFR AS (proposto dalla start-up newcleo, che lo sta sviluppando in stretta collaborazione con ENEA) con l’obiettivo di realizzare presso il Centro ricerche ENEA del Brasimone un dimostratore elettrico (non nucleare) che, al termine della fase sperimentale, permetterà la realizzazione del reattore nucleare vero e proprio in Francia all’inizio del prossimo decennio.
Fin dai tempi della sua costituzione, l’ENEA opera come punto di aggregazione dei soggetti a vario titolo e livello impegnati nel settore nucleare: in un panorama nazionale che vede università, enti di ricerca e industrie ancora attive anche dopo la chiusura del programma nucleare italiano, l’ENEA mette a disposizione le proprie competenze e un eccellente parco di laboratori e facilities sperimentali, per favorire l’innovazione e il trasferimento di conoscenze (know-how) e tecnologico alle filiere industriali al fine di aumentarne la capacità competitiva e le prospettive di mercato.
Il ruolo di ENEA è centrale anche nell’ambito della ricerca sulla fusione nucleare: coordinando una compagine nazionale costituita da oltre 20 soggetti pubblici e privati, rappresenta il Paese nel Consorzio europeo che gestisce i fondi UE per il programma fusione e partecipa attivamente alla realizzazione dell’International Thermonuclear Experimental Reactor (ITER), che dovrà dimostrare sperimentalmente la fattibilità della fusione come fonte energetica, nonchè alla progettazione del DEMOnstration power plant (DEMO) che, nella seconda metà del secolo, dovrà dimostrarne la sostenibilità economica.
Presso il Centro ricerche di Frascati, in collaborazione con ENI e con gli enti di ricerca, i consorzi di ricerca e le università attive in ambito fusione nucleare, ENEA sta realizzando uno dei principali impianti previsti dalla Roadmap europea per l’energia da fusione: la Divertor Tokamak Test facility (DTT), che affronta le problematiche dello smaltimento del calore in eccesso e del plasma esausto nei futuri reattori industriali.