L'invasione russa dell'Ucraina e la conseguente riduzione dei flussi di gas dalla Russia verso all’Europa, nonché la necessità sempre più stringente di ridurre le emissioni di gas serra hanno accresciuto l'attenzione sulla necessità di sostituire i combustibili fossili nella generazione elettrica. Da qui, una maggiore propensione a riconsiderare l'opzione nucleare anche in quei paesi tradizionalmente contrari. Tuttavia, merita rilevare come questa non sia la prima volta che si registri un rinnovato interesse per il nucleare, anche se di fatto questi slanci non hanno portato a nessun ulteriore sviluppo. Sono passati ormai quattro decenni da quando gli ordini per nuove centrali nucleari sono stati significativi. Quest’ultimo “rinascimento” del nucleare che conseguenze avrà?

Per poter rispondere a questa domanda, occorre dividere l'Europa in due blocchi: Est e Ovest. Nell'Europa orientale esiste da tempo un sostegno alla realizzazione di  nuove centrali nucleari. Paesi come la Repubblica Ceca, la Bulgaria, l'Ungheria, la Romania e la Polonia hanno fatto ripetuti tentativi, spesso risalenti a 15 anni fa, per realizzare nuove centrali nucleari, ma di fatto solo l'Ungheria ha effettivamente effettuato un ordine. Si tratta del progetto Paks che prevede due reattori forniti dalla Russia, il cui ordine risale a dieci anni fa ,ma la cui costruzione continua a subire ritardi. Il governo ungherese di Orban sembra determinato a non lasciare che l'invasione dell'Ucraina influisca sul progetto, nonostante le pressioni dell'UE per imporre sanzioni alla Russia.

Negli altri paesi, le difficoltà a ricorrere al nucleare sono imputabili a difficoltà nel finanziamento dei progetti. La Repubblica Ceca e la Polonia rispetto ad altri hanno fatto qualche timido passo in avanti, ma, anche in questo caso, i progetti sono lontani dal concretizzarsi nonostante il forte sostegno del governo.

Nell'Europa occidentale, il quadro è più disomogeneo. I paesi che sono tradizionalmente sostenitori del nucleare sono Francia, Regno Unito e Finlandia, dove si stanno costruendo tre reattori che utilizzano il design del reattore ad acqua pressurizzata (EPR) francese. Si tratta, però, di progetti non di grande successo, visto che le centrali in Finlandia e Francia (Olkiluoto e Flamanvile) non sono ancora ultimate del tutto, nonostante i 12 o più anni di ritardo e costi 3-4 volte superiori al budget preventivato. Il progetto nel Regno Unito (Hinkley Point) è ancora a circa cinque anni dal completamento, ma è già in ritardo di 3-4 anni, e i costi previsti sono quasi il doppio del costo stimato. Un ritardo che stona con l’obiettivo del governo inglese di installare 24 GW di nuova capacità nucleare (circa 15 reattori) entro il 2050. Il prossimo progetto, Sizewell (che utilizza anche il progetto EPR), dovrebbe essere finanziato da investitori istituzionali come i fondi pensione, ma trattandosi di attività ad alto rischio, verosimilmente il costo verrà  traferito sui consumatori. Se anche questo progetto dovesse fallire, è ancora più difficile immaginare come il target dei 24 GW possa essere traguardato. La Finlandia, invece, nel 2022, a causa dell'invasione dell'Ucraina, ha abbandonato un progetto per la realizzazione di un nuovo reattore (Hanhikivi) commissionato alla Russia, nonostante il progetto fosse già avviato e si stesse preparando il sito. Questo però non ha fatto desistere il paese da presentare nuovi progetti. La Francia, infine, vuole costruire una tranche di sei reattori da completare a partire dal 2037 in poi, seguita da un'ulteriore tranche di otto ordini. Resta però discutibile il modo in cui EDF, che da circa cinque anni è mantenuta a galla solo grazie al sostegno finanziario del governo francese, possa finanziare questi impianti.

Più sorprendenti sono i casi di Svezia, Paesi Bassi e Italia, paesi che avevano intrapreso da tempo politiche di graduale eliminazione del nucleare. Il governo svedese sta modificando le leggi che limiterebbero l’utilizzo dei reattori, mentre i Paesi Bassi hanno fissato l'obiettivo di completare due nuovi reattori entro il 2035. I tentativi in Italia sono più celati. Nel marzo 2023, la società francese EDF ha firmato un accordo con le società italiane Ansaldo ed Edison per collaborare allo sviluppo di reattori, inclusi grandi reattori e piccoli reattori modulari. L'amministratore delegato di Edison ha dichiarato: "Questo accordo pone le basi per una riflessione concreta e aperta sul ruolo del nuovo nucleare nel supportare la transizione energetica italiana".

Altrove, dove la probabilità di realizzazione di nuove centrali è meno plausibile, ad esempio in Svizzera e Belgio, l'accento è posto sul mantenimento in funzione dei reattori esistenti il più a lungo possibile, per almeno 60 anni, oltre quindi i 40 anni originariamente previsti. EDF sta tentando di estendere la vita di tutti i suoi 56 reattori a 60 anni, un compito che probabilmente gli costerà circa 100 miliardi di euro, necessari per sostituire i sistemi usurati e aggiungere nuove componenti di sicurezza per rispondere alle sfide che da Fukushima in poi il comparto ha conosciuto.

Se guardiamo alla tecnologia nucleare, i piccoli reattori modulari (SMR), convenzionalmente definiti come reattori da 20-300 MW (alcuni progetti arrivano fino a 500 MW) stanno attirando molta attenzione fra l’opinione pubblica, in ragione delle affermazioni che li indicano come più economici, più sicuri, più veloci e più facili da costruire rispetto ai reattori di grandi dimensione. Tuttavia, queste affermazioni non hanno trovato ancora corrispondenza nella realtà, dal momento che non è stato ancora effettuato alcun ordine commerciale per un SMR e nessun progetto ha completato una revisione completa relativamente alla parte sicurezza da parte di un regolatore nucleare acclarato. Pertanto, è verosimile pensare che nonostante la pubblicità favorevole, gli SMR siano una possibile opzione a lungo termine, ma con molta probabilità destinati a non avere successo.

Ci sono tre fattori che sembrano remare contro  a un revival nucleare: il costo, il rischio economico e finanziario e la scarsa credibilità dei progetti disponibili. I costi del nucleare continuano ad aumentare in termini reali, mentre quelli delle rinnovabili stanno diminuendo drasticamente e, ad esempio, nel Regno Unito gli ultimi progetti eolici offshore costeranno a kWh solo il 40% di quello che verrà pagato per Hinkley Point. Il rischio economico derivante dall'escalation dei costi e dai ritardi di costruzione è in aumento e la capacità delle utility di assumersi tale rischio sta diminuendo. Sono passati tre o quattro decenni dall’ultima volta in cui un reattore nucleare è stato costruito in tempi e costi ridotti in Europa. Oggi, le utility sono sottoposte a una forte concorrenza e sono passati i giorni in cui l’esubero dei costi poteva essere trasferito sui consumatori finali.

Guardando ai modelli di grandi dimensione, oggi ne sono disponibili cinque. I progetti offerti da Russia e Cina non sembrano essere politicamente accettabili, almeno per i nuovi ordini, e pertanto rimangono  il Framatome EPR (1600 MW), il Westinghouse AP1000 e il coreano APR1400. Se partiamo dal Framatome EPR, bisogna constatare come tutti e sei gli ordini di questo design siano andati molto male: anche i due EPR costruiti in Cina hanno circa sei anni di ritardo e hanno registrato un grave problema tecnico che ha costretto alla chiusura di un reattore per più di un anno. Framatome (ora di proprietà di EDF) sta sviluppando due varianti del progetto esistente, EPR-2 e EPR-1200. EPR-2 dovrebbe essere più economico del 25% rispetto a EPR e più facile da costruire, ma la nuova versione di Framatome non sarà disponibile sui mercati internazionali fino a quando il primo EPR-2  dimostrerà la sua funzionalità in Francia, quindi non prima del 2037. EPR-1200, invece, potrebbe essere adatto  per mercati come la Repubblica Ceca che richiedono un reattore più piccolo. Tuttavia, il design è in una fase iniziale e non è stato ancora commissionato da nessuno, il che rende  difficile per Framatome giustificarne la spesa per il suo sviluppo fino alla piena commerciabilità e per i suoi primi clienti motivarne l'acquisto.

Non è tanto migliore la performance dell'AP1000: quattro reattori in Cina sono in ritardo e ben oltre il budget. Dei due ordini negli USA, uno è stato abbandonato dopo quattro anni di costruzione perché i costi e i tempi erano fuori controllo, mentre l'altro è in ritardo di almeno sei anni e i costi sono più del doppio di quelli previsti. La Corea, con l’APR1400, è un nuovo arrivato nel mercato delle esportazioni di reattori, ma di fatto i risultati del suo design sono solo leggermente migliori degli altri due. I reattori in costruzione in Corea sono in ritardo di sei o più anni e, i quattro (e unici) reattori esportatati negli Emirati Arabi Uniti, sono stati solo parzialmente terminati e tutti hanno almeno quattro anni di ritardo e si si sono imbattuti in serie criticità tecniche.

La probabilità di successo di un nuovo sviluppo del nucleare sembra bassa, ma la propensione dei governi a credere che l'opzione nucleare valga un'altra possibilità suggerisce che questo non sarà l'ultimo tentativo di rinascita nucleare.

La traduzione in italiano è stata curata dalla redazione di RiEnergia. La versione inglese di questo articolo è disponibile qui