Negli ultimi decenni, i paesi che hanno deciso di costruire centrali nucleari lo hanno fatto scegliendo quasi sempre reattori di grande taglia, ben oltre i 1.000 MWe per singola unità sino ai 1.600 MWe del francese EPR, entrato in esercizio nel 2018 in Cina e di recente anche in Finlandia, nonché quelli attualmente in costruzione in Francia e nel Regno Unito. Appartengono a questa classe la quasi totalità dei 57 reattori oggi in costruzione nel mondo. L’incremento della potenza dei reattori è un trend costante sin dagli anni ’70, in ossequio alla legge universale dell’economia di scala.

Da alcuni anni, invece, si assiste a un rinnovato interesse (ciclico, a ben vedere, se si guarda indietro ai decenni passati) verso reattori di taglia molto più piccola, tra i 50 e i 300 MWe, in controtendenza con lo sviluppo storico dell’atomo. Addirittura, alcune aziende propongono progetti di micro-reattori, trasportabili in container, tra 1 e 10 MWe. Quali le motivazioni e quali i vantaggi?

Per l’Occidente, una delle cause di interesse per queste soluzioni, chiamate Small Modular Reactors (SMR), è da ricercarsi nella profonda crisi nella costruzione delle grandi centrali più recenti. Olkiluoto (Finlandia), Flamanville (Francia), Vogtle e VC Summer (USA) sono nomi di località nelle quali le migliori tecnologie occidentali, rappresentate dai reattori di III Generazione e da taglie superiori a 1 GWe, hanno subìto una sostanziale débacle economico-gestionale: impianti venduti per essere costruiti in circa 5-6 anni al costo di 4-5 miliardi di euro o dollari, in realtà sono stati completati in 12-15 anni al costo di 12-15 miliardi. Mentre esattamente gli stessi reattori o progetti assai simili venivano completati secondo previsioni, o con ritardi ed extra-costi molto limitati, in Cina, in Corea del Sud, addirittura negli Emirati Arabi Uniti.

La causa principale è da ricercarsi nella mancanza di “allenamento”, ormai da 25 anni,  alla realizzazione di centrali nucleari da parte di aziende e strutture nazionali, sia negli Stati Uniti sia in Europa, mentre in Russia e in Estremo Oriente ogni anno si costruivano almeno 1-2 reattori.

L’alto rischio finanziario e industriale associato a simili esperienze, ha spostato l’attenzione di utilities e governi verso soluzioni costruttivamente più semplici, dai costi più contenuti e dai tempi di realizzazione più prevedibili. Caratteristiche che sono promesse da progetti basati sul design e la costruzione di tipo modulare (tecnica peraltro già impiegata da decenni in campo navale e petrolchimico), realizzata essenzialmente in officina e poi trasportata e assemblata sul sito, con vantaggi dal punto di vista della qualità oltre che dei tempi e dei costi. La semplificazione del progetto e l’utilizzo di sistemi di sicurezza di tipo passivo completano il primo gruppo di elementi di interesse.

Ad essi si aggiungono quelli degli impieghi e delle collocazioni possibili per questi reattori piccoli e modulari.

Per la taglia ridotta, la semplificazione di progetto e la maggior flessibilità di utilizzo, oltre che per l’elevato livello di sicurezza e la limitata necessità di acqua di raffreddamento, tali soluzioni sono plausibili per l’impiego in prossimità dei centri industriali e civili di utilizzo e per soluzioni cogenerative: oltre all’elettricità, parte del calore di processo può essere utilizzato per il teleriscaldamento, per la desalazione, per la produzione di idrogeno o di biocombustibili, per l’accumulo energetico. La dimensione dell’impianto, realizzabile con due o più moduli di reattore, può servire i fabbisogni di distretti industriali energivori o sostituire le vecchie centrali a carbone, tipicamente di taglia simile (nell’ordine dei 300 MWe).

Grazie a queste caratteristiche, infine, sarebbe più facile integrare questo tipo di impianti nucleari all’interno dei nuovi sistemi energetici del futuro, fortemente basati sulle rinnovabili non programmabili.

Quali tecnologie nei prossimi decenni e chi è in pole position nel loro sviluppo? La IAEA (International Atomic Energy Agency) stima in oltre 70 i progetti di SMR, di Advanced Modular Reactors (AMR) e di micro-reattori oggi allo studio nel mondo. È realistico pensare che pochi di questi studi vedranno la luce commerciale in futuro. Tra questi, certamente alcuni SMR basati sulla tecnologia dei reattori ad acqua pressurizzata (PWR) di tipo integrato, quindi molto più compatti rispetto ai reattori attuali di grande dimensione. I russi hanno già realizzato una centrale nucleare “galleggiante” basata su questa soluzione: dal 2019 due reattori da 32 MWe l’uno, alloggiati su una nave, forniscono elettricità e calore a un importante sito estrattivo e alla comunità locale nella Siberia nord-orientale. Verosimilmente entro il 2030 altri SMR simili saranno costruiti, in Argentina (progetto CAREM – 27MWe), in Russia (RITM – 52MWe), negli USA (NuScale – 77MWe), in Cina (ACP100 – 100MWe), in Francia (Nuward – 170MWe). Un reattore ad acqua bollente (BWRX-300) è invece proposto dalla statunitense General Electric e verrà costruito in Canada.

Tra le tecnologie più innovative, di cosiddetta IV Generazione, gli AMR più interessanti sono ancora proposti dalla Cina, che a Shidao-Bay sta già operando la prima unità di reattori modulari raffreddati a gas elio ad alta temperatura (200MWe) e dalla Russia, che sta costruendo un reattore raffreddato a piombo liquido da 300MWe (BREST-OD-300) in completamento per il 2026, mentre altri paesi sono ancora nella fase di sviluppo dei loro AMR e verosimilmente giungeranno alle prime realizzazioni entro il 2040. Tra questi ultimi, gli Stati Uniti, con il progetto LFR di Westinghouse, e l’Italia, che in ambito europeo si propone di realizzare due reattori basati sulla stessa tecnologia al piombo liquido, Alfred (125MWe) guidato da Ansaldo Nucleare ed ENEA, e Newcleo (30 e 200MWe) proposto dall’omonima, nuova start-up italiana.

Infine, i micro-reattori pensati per alimentare zone estreme in termini climatici oppure aree industriali o basi militari: tra questi due progetti statunitensi, MMR (5MWe) raffreddato a elio della start-up USNC e e-Vinci (2-3MWe) raffreddato con tubi di calore della Westinghouse.

E quali requisiti devono essere soddisfatti, perché questa vecchia-nuova idea di reattori non rimanga una brillante elucubrazione sulla carta?

Principalmente due: i) che si realizzi una supply chain nucleare, multi-nazionale, fortemente integrata e performante, in grado di supportare la creazione di un reale mercato “di massa” per queste nuove tecnologie; ii) che si acceleri il processo di autorizzazione (licensing) da parte delle autorità di sicurezza nucleare nazionali, in tutti i Paesi dove questi SMR-AMR verranno realizzati, attraverso una adeguata condivisione delle esperienze.

I piccoli reattori non sostituiranno i grandi reattori, ma andranno ad ampliare il portafoglio delle opzioni, sinora limitato alle sole “taglie forti”. I paesi nei quali il settore nucleare è ben rodato (es. Cina, Russia, India, Corea del Sud), o rappresenta un asset industriale e strategico importante (es. Francia, Stati Uniti), o dove i fabbisogni energetici sono tanto importanti quanto la spinta politica verso la tecnologia dell’atomo (es. Turchia, Emirati Arabi Uniti), continueranno a dotarsi di centrali basate su grandi reattori e integreranno gli SMR-AMR nella struttura energetica nazionale per applicazioni specifiche. Tutti gli altri, tra questi soprattutto i “newcomer”, avranno a disposizione la proposta SMR per entrare tout-court nel “club nucleare”.

In questo quadro mondiale, l’Europa giunge da buona ultima. Tuttavia, pare aver inteso che, se non vuole rimanere fuori da questa nuova frontiera tecnologica, deve agire in fretta e fare sinergia al proprio interno. Tre eventi, alcuni molto recenti, paiono condurre in questa direzione: la dichiarazione a supporto dello sviluppo della tecnologia SMR, firmata a Bruxelles il 4 aprile scorso dalla Commissaria Europea alla Ricerca, Mariya Gabriel, e dai rappresentanti delle organizzazioni nucleari Europee dell’industria (NuclearEurope), delle Associazioni di settore (ENS), dell’Accademia (ENEN) e della piattaforma europea (SNETP); la nascita in marzo della “alleanza nucleare europea”, spinta dalla Francia e composta da 14 Paesi EU di cui tre in veste di “osservatori”, tra i quali l’Italia, che mira a sviluppare una maggior cooperazione a livello continentale sul settore e a far guadagnare il giusto rilievo al nucleare sul versante delle politiche energetiche europee; infine, l’avvio, nel 2022, di una “EU SMR Partnership”, dedicata a supportare e guidare lo sviluppo della tecnologia in ambito comunitario, iniziativa che dovrebbe formalizzarsi proprio quest’anno.

Le prospettive appaiono positive, ma i rischi e le incertezze sono dietro l’angolo, come dimostrato dal Net Zero Industry Act: nucleare escluso, anzi nucleare incluso, si ma forse solo parzialmente. Vedremo col tempo: quando si tratta di politiche europee, è meglio procedere con cautela. Lo abbiamo verificato anche di recente sul tema automobili.