Tenere vivo il dibattito sull’energia nucleare, anche in Italia, è indispensabile. Le ragioni sono molteplici, ma concentriamoci su quelle legate alla crisi climatica. L’attuale transizione energetica cammina su tre gambe: efficienza, elettrificazione e decarbonizzazione. Secondo gli scenari IEA, per raggiungere gli obiettivi net zero, la penetrazione elettrica a livello globale (cioè la percentuale di consumi energetici finali soddisfatti dall’elettricità) dovrebbe passare dall’attuale 20% al 40% entro il 2050. Allo stesso tempo, è fondamentale decarbonizzare questo settore. La figura seguente mostra l’intensità carbonica dell’elettrico negli ultimi 20 anni. Saltano all’occhio due cose: la tendenza decrescente che accomuna la maggior parte dei trend europei, e il fatto che tre paesi “giacciono” sul fondo del grafico, ad un livello quasi irraggiungibile dagli altri (parliamo di Francia, Norvegia e Svezia).

Intensità carbonica del settore elettrico dal 2000 al 2022

L’intensità carbonica è misurata in grammi di anidride carbonica equivalenti emessi per Kwh di elettricità

Fonte: Elaborazioni Our World in data su dati Ember Climate e fonti varie fra cui EEA e EIA

La spiegazione è nella figura che segue, che rappresenta il mix di generazione di questi paesi nel 2022. Per la Norvegia e in buona parte anche per la Svezia, si tratta di un vantaggio naturale-geografico: l’idroelettrico fornisce quasi il 95% dell’elettricità norvegese e il 40% di quella svedese, con conseguenti emissioni di CO2 ridottissime. Nel caso della Svezia, la quota rimanente deriva oggi al 30% dall’energia nucleare (ma all’inizio degli anni 2000 si arrivava anche al 50%), mentre per i cugini francesi il nucleare soddisfa oltre il 60% della domanda, con un residuo di fonti fossili (principalmente gas naturale) pari al 12%. Dopo gli shock petroliferi degli anni ’70, la Francia fece una scelta politica chiara (e torneremo su questo concetto): puntare sul nucleare per rendersi il più possibile indipendente a livello energetico. Questa scelta si rivela oggi un vantaggio anche in termini di obiettivi climatici.

Elettricità pro-capite generata da fonti fossili, nucleare e rinnovabili nel 2022

Fonte: Elaborazioni Our World in Data su dati BP Statistical Review of World Energy & Ember

Ecco, dunque, la prima incontrovertibile affermazione sul nucleare: permette di generare elettricità con bassissimo livello di emissioni di CO2. In media, parliamo di emissioni di 270 volte inferiori rispetto al carbone e di 160 volte rispetto al gas naturale (si veda la figura seguente, istogramma di destra). Ciononostante, il nucleare rappresenta solo il 10% della produzione elettrica globale contro il 36% del carbone e il 22% del gas. Nel 2022, con una capacità installata pari a 413 GW, l’energia nucleare ha evitato 1,5 miliardi di tonnellate di emissioni e ridotto la domanda di gas naturale di 180 miliardi di m3 (dati IEA). Nel rapporto già citato, l’agenzia sottolinea che lo scenario NZE richiede quasi il raddoppio della capacità nucleare installata (812 GW), pur continuando a rappresentare il 10% del totale.

Questo è un punto fondamentale da chiarire: sostenere l’importanza del nucleare non significa auspicare un mondo in cui questa fonte di energia soddisfa il 100% della domanda. La parola chiave rimane “diversificazione”: il nucleare non rappresenta LA soluzione, ma fa parte di un pacchetto di soluzioni. In particolare, costituisce il complemento ideale a solare ed eolico per le sue caratteristiche di stabilità ed affidabilità, indispensabili a bilanciare la rete elettrica in presenza di una quota elevata di fonti intermittenti.

Escludere il nucleare dal mix energetico avrebbe un costo economico importante: renderebbe più arduo raggiungere gli obiettivi di Parigi e richiederebbe investimenti aggiuntivi sulle altre tecnologie (si veda a questo proposito “Nuclear Power & secure energy transitions” 2022, IEA). Infatti, un declino nell'uso dell'energia nucleare nelle economie avanzate richiederebbe sostanziali aumenti degli investimenti (circa 1,6 trilioni di dollari tra il 2018 e il 2040) nelle energie rinnovabili, che verrebbero in buona parte trasferiti sui consumatori. La IEA stima che il costo della fornitura di energia elettrica per le economie avanzate sarebbero in media di 80 miliardi di dollari in più all'anno senza estensioni di vita dei reattori attuali e investimenti nella costruzione di nuove centrali nucleari.

Detto questo, il nucleare presenta anche due principali criticità: l’accettabilità sociale e i costi di realizzazione.

Perché il nucleare non piace? Inizialmente, nel secondo dopoguerra, il nucleare civile venne accolto quasi ovunque con un certo entusiasmo. Esso rappresentava il riscatto dagli orrori della bomba atomica, la modernità e lo sviluppo: nel 1966 l’Italia era il terzo produttore al mondo di energia nucleare dopo Stati Uniti e UK. Alla fine degli anni’70 il clima sociale cambia, si mettono in discussione le istituzioni, e si susseguono a breve distanza gli incidenti di Three Miles Island (1979) e Chernobyl (1986), che cambiano definitivamente la percezione del nucleare (con il colpo finale di Fukushima nel 2011). Si tratta di un esempio emblematico di come il concetto di rischio sia qualcosa di più vicino al sentimento e alla percezione che non ad un razionale calcolo delle probabilità. La prossima figura mostra il numero di morti (derivanti sia da inquinamento sia da incidenti) legati all’intero ciclo produttivo di diverse tecnologie di generazione: un terawattora generato con carbone causa decessi 820 volte superiori al nucleare (compresi i tre incidenti prima citati). Cercando di rendere più leggibili questi dati, stiamo dicendo che se una città di 150.000 abitanti (simile a Livorno, o Ravenna) fosse interamente alimentata da centrali a carbone, questo causerebbe 25 morti premature all’anno, che si ridurrebbero a 3 con il gas naturale, oppure a 1 con l’idroelettrico. Con il nucleare, morirebbe una persona ogni 33 anni (fonte: Our world in Data).

Quali sono le fonti di energia più sicure e pulite?

Fonte: Elaborazioni Our World Data su dati Makandya & Wilkinson (2007); UNSCEAR (2008;2018), IPCC AR5 (2014); Pehl et al. (2017), Ember Energy (2021)

Cercando di rovesciare la percezione dominante, nel 2013 Kharecha e Hansen hanno pubblicato un paper in cui calcolano come, dal 1971 al 2009, il nucleare abbia permesso di evitare oltre 1,8 milioni di decessi legati all’inquinamento atmosferico e l’emissione di 64 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente. Gli autori hanno anche dimostrato che in prospettiva “On the basis of global projection data that take into account the effects of the Fukushima accident, we find that nuclear power could additionally prevent an average of 420 000–7.04 million deaths and 80–240 GtCO2-eq emissions due to fossil fuels by midcentury, depending on which fuel it replaces.”

La seconda criticità verte sul fattore dei costi e si riallaccia in parte alla definizione del nucleare francese come scelta politica: costruire una centrale nucleare è un progetto molto complesso e molti paesi occidentali, nel tempo, hanno perso le competenze. Le centrali americane hanno una età media di 40 anni, quelle francesi di 36, quelle cinesi di 8. Di 31 nuovi reattori in costruzione dal 2017, solo 4 non sono di matrice russa o cinese. Tutto questo fa sì che i costi siano molto più elevati per Europa e Stati Uniti rispetto ai paesi asiatici. Elemento correlato sono i lunghi tempi di realizzazione di questi progetti, che aggiungono forte elemento di incertezza e rendono difficile il reperimento dei capitali. Per questi motivi, il coinvolgimento statale è molto spesso un supporto che può rivelarsi decisivo, sia in forma indiretta (la credibilità e la stabilità di un piano energetico nazionale di medio-lungo periodo aiuta lo sviluppo di progetti complessi) sia in forma diretta (si veda il recente piano di nazionalizzazione di EDF,  derivante in parte dalla necessità di “difendere” il piano di espansione del nucleare francese dalla volatilità del mercato energetico e dagli effetti della crisi).

In conclusione, dovremmo prendere coscienza che di fronte alla transizione non possiamo permetterci di essere troppo capricciosi (soprattutto quando l’evidenza scientifica ci dà torto): dobbiamo avvalerci di tutte le opzioni disponibili, e il nucleare è senza dubbio una di queste.

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