Il 5 dicembre sono partite le sanzioni europee sul petrolio russo e a febbraio dovrebbero partire quelle sui prodotti. Il mondo accademico e non solo non è concorde sull’effettiva efficacia che questi strumenti avranno o hanno già avuto, nel caso di quelli già in vigore, per l’economia russa. Di questo argomento ne abbiamo parlato con Andrei Belyi Professore di Energy law and Policy all’University of Eastern Finland e consulente alla Balesene OU che ci ha esposto il suo punto di vista.

A seguito dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, il mondo occidentale, si è mostrato più o meno compatto nella scelta di  “colpire” Mosca. Crede che sia riuscito in questo intento?

L'Occidente è piuttosto determinato nel ridurre i proventi della Russia derivanti dalla vendita di petrolio: l’intento ultimo rimane quello di restringere gli spazi di manovra di Mosca in politica estera. Tuttavia, ad oggi, le sanzioni non hanno prodotto un effetto diretto sull’export di petrolio, che si  stima nell’intorno dei 7,7 milioni di barili al giorno, ovvero soltanto 0,5 milioni in meno rispetto i livelli antecedenti l’inizio del conflitto in Ucraina. Vi sono, però, effetti indiretti. Ma questi, per varie ragioni, sono meno visibili. Dal 5 dicembre 2022, è entrato in vigore l’embargo europeo al petrolio russo. L’iniziativa implica l’obiettivo di limitare il transito di greggio e prodotti petroliferi destinati ai mercati globali. Ad esserne interessati potrebbero essere paesi come la Grecia, che funge da snodo per il trasbordo di greggio destinato ai mercati dell’Asia meridionale, in particolare l’India, o  l’Estonia che svolge il suo ruolo di paese di transito per petrolio e prodotti sia dalla Bielorussia che dalla Russia. Sarebbe logico attendersi che Tellin, avendo sinora adottato una forte postura pro-Ucraina, rinunci ai proventi del transito e accetti le relative ricadute in termini economici per alcuni dei suoi porti. E di fatti il governo estone, dopo aver imposto un embargo al gas russo, ha accettato anche quello al petrolio.

Abbiamo parlato di embargo petrolifero, ma sappiamo non essere l’unica misura per colpire Mosca. Al G7, infatti, è stato proposta l’applicazione di price cap che fissa a 60 dollari al barile il limite massimo di acquisto. Quali gli effetti?

Il price cap imposto a Mosca è un livello di prezzo molto superiore ai 40 dollari al barile a cui aspira Mosca. In ogni caso, avrà come effetto quello di  limitare gli approvvigionamenti di greggio russo da parte di compagnie assicurative private che volessero acquistare al di sopra della soglia indicata.

La combinazione dei due strumenti avrà comunque delle ripercussioni più o meno visibili.  In primo luogo, le possibilità che ha la Russia di esportare petrolio e prodotti petroliferi nell'UE o nel resto del mondo, passando per il territorio dell’Unione, saranno molto limitate. Anche se molto dipende da come verrà effettivamente attuato l'embargo. Infatti la domanda sorge spontanea:  quante aziende sarebbero in grado di commerciare petrolio russo miscelandolo con qualità di petrolio non russo? Quanto gli importatori e i porti europei sarebbero inclini ad aggirare le sanzioni? In secondo luogo,  l'embargo aumenterà il livello di incertezza per il business petrolifero russo, che già soffre della mancanza di accesso alle tecnologie e della riluttanza di alcuni importatori a trattare con le aziende russe. Prova ne sia che molte compagnie russe sono già state costrette a vendere greggio all'India applicando uno sconto importante e pari al -35% del prezzo mondiale. Con l’entrata in vigore dell'embargo e del price cap le criticità saranno maggiori.

Quali sono le risposte che ci si può aspettare da Mosca?

La speranza delle autorità russe era di assistere ad uno shock sui mercati globali che seguisse le recenti decisioni occidentali. Il che ad oggi non si è verificato. Il prezzo del petrolio fluttua nell’intorno degli 80-90 doll/bbl senza aver subito aumenti marcati, come all'inizio di quest'anno. Ciò non toglie che dei cambiamenti possano verificarsi nel caso di un inverno particolarmente freddo e di taglio di riduzione da parte dei paesi OPEC.  Ma si tratta di fattori esogeni alla volontà di Mosca.

Alcuni policy makers a Mosca chiedono l’applicazione di un embargo sulle esportazioni verso quegli stati che seguiranno le raccomandazioni del G-7. Ma si tratta di una strada poco percorribile visto che ciò avrebbe delle ripercussioni molto negative sul bilancio del paese. E a chi afferma che l'economia russa va relativamente bene, va ricordato che Mosca sottace tutte le informazioni sulle spese di bilancio e sui livelli di produzione di petrolio e che ad oggi, la situazione economica è molto precaria (una guerra costa sempre denaro, senza dimenticare che costa la vita), mentre resta difficile l'accesso alle tecnologie e attrezzature necessarie al settore petrolifero. Se la Russia interrompe le forniture, i prezzi saliranno e altri produttori ne trarranno vantaggio, mentre la Russia continuerà a subirne le perdite. Tuttavia, la logica di Mosca è orientata alle tattiche di breve periodo, non sempre economicamente motivate.

È vero anche, però, che nel caso in cui Mosca riuscisse ad aumentare i prezzi, si verificherebbero alcuni effetti negativi a breve termine per l'Europa. In tempi di crisi energetica (iniziata già nel 2021, prima della guerra), qualsiasi ulteriore elemento bullish che impatta sul prezzo del petrolio amplificherebbe ulteriormente le difficoltà. Certo, la crisi stimolerà il passaggio ai combustibili alternativi e alle energie rinnovabili, ma ci vorrà ancora tempo.