L’inserimento del gas e del nucleare nella tassonomia come fonti “verdi” - fortemente contestato dagli ambientalisti nel corso del dibattito europeo - appare ancora più assurdo nel contesto segnato dall’invasione russa dell’Ucraina. La decisione sulla tassonomia lo scorso febbraio, infatti, è stata salutata dal Ministro russo dell’energia Nikolai Shulginov come un’opportunità per vendere gas, combustibile nucleare e reattori. Una analisi svolta da Greenpeace Francia ha dimostrato come la lobby di aziende russe abbia influenzato la decisione europea, maturata poco prima dell’invasione dell’Ucraina. Questo sia nel settore gas, dove una azienda come Gazprom ha avuto diversi incontri ad alto livello in sede europea, sia nel settore nucleare nel quale la russa Rosatom, attiva sia nel settore civile che militare, ha diversi legami con l’industria europea, ed ha fatto pressioni in EU registrata come “Rusatom International Network”.

Per entrare in tassonomia le tecnologie devono avere due caratteristiche, combattere la crisi climatica e rispettare il principio “do not significant harm” (DNSH). Su questo secondo aspetto si concentra la critica degli ambientalisti, supportata tra le altre prese di posizione anche dalla lettera aperta di quattro esperti di sicurezza nucleare occidentali, tra cui l’ex Presidente della NRC statunitense, Greg Jaczko, assieme a Wolfgang Renneberg, Bernard Laponche e Paul Dorfman, tutti esperti di livello in istituzioni regolatorie e di radioprotezione dei loro Paesi.

Tra i vari punti della critica sul principio DNSH: la gestione dei rifiuti radioattivi a vita lunga è tuttora irrisolta; insostenibile dal punto di vista finanziario, in quanto nessuna istituzione finanziaria è preparata a dare copertura assicurativa completa per i costi associati agli impatti su ambiente e salute di rilasci accidentali di radioattività che di fatto ricadono sulle finanze pubbliche; rischiosa militarmente in quanto i progetti di nuovi reattori aumentano i rischi di proliferazione; intrinsecamente rischiosa per l’inevitabile errore umano, i difetti interni e gli impatti dall’esterno; per la vulnerabilità all’innalzamento del livello dei mari causato dal riscaldamento globale, agli eventi estremi come tempeste e rischi di alluvioni; incapace di dare contributi significativi a combattere la crisi climatica nell’orizzonte temporale del decennio.

A questi rischi ne va aggiunto un altro: quello rappresentato dagli impianti nucleari durante un conflitto bellico. In Ucraina abbiamo visto come sia gli impianti nucleari che l’area di Cernobyl siano stati utilizzati nel conflitto (in modo assolutamente irresponsabile, ma nelle guerre purtroppo può accadere). Greenpeace ha peraltro mostrato come l’impatto delle operazioni militari russe nell’area di Cernobyl siano state sottostimate dalla IAEA, il cui vicedirettore è russo.

La tecnologia nucleare nei Paesi occidentali è in profonda crisi, come si è già argomentato in questa rivista. E, in questi mesi la situazione è peggiorata. In Francia circa la metà dei reattori è ferma per seri problemi di corrosione (molti reattori sono alla fine del periodo di 40 anni). A questo va aggiunto il sostanziale fallimento del nuovo reattore di generazione III+ EPR. L’unico reattore in costruzione in Francia dal 2007 non è ancora stato ultimato e viaggia su costi complessivi superiori a 19 miliardi di euro. L’incidente del giugno 2021 al reattore EPR in Cina a Taishan ha messo in luce problemi di progettazione che, se confermati, segnerebbero il fallimento anche tecnologico dell’EPR - progetto originariamente franco-tedesco lanciato nel lontano 1991 - almeno nella versione attuale.

La recente decisione francese di rinazionalizzare l’azienda elettrica EDF - in sostanziale default - è stata annunciata subito dopo il voto del Parlamento Europeo che ha confermato la tassonomia. Al di là dei roboanti annunci (pre-elettorali) della costruzione di nuovi reattori, la priorità francese sarà quella di intervenire su quelli vecchi. Dunque, con il nucleare in tassonomia europea l’azienda di stato potrà piazzare sul mercato “green bonds” per estendere la vita dei vecchi reattori (fino al 2040). E sarà possibile cercare altri fondi “verdi” per un (nuovo?) EPR sul mercato finanziario.

Sul gas fossile la critica è legata al suo ruolo nella crisi climatica, quando le emissioni fuggitive di metano sono sempre più chiaramente una emergenza nell’emergenza. Il gas fossile ha già oggi una posizione dominante nel sistema energetico europeo ed è necessario avere una strategia di riduzione del suo utilizzo non certo una promozione come fonte “verde”. La resistenza del settore Oil&Gas - non interessato o non capace di investire seriamente nelle rinnovabili – e l’idea di sostituire buona parte del carbone col gas implicherebbe investimenti che si possono tradurre in un lock-in (le promesse di phase-out a lungo termine non sono credibili).

Mentre il settore delle rinnovabili vede nuove applicazioni e quello dello storage emergere diverse tecnologie promettenti, cui dovrebbe andare l’etichetta verde per trovare maggiori sostegni finanziari, l’inclusione di gas e nucleare va nella direzione di mantenere un vecchio settore in crisi e fuori mercato (il nucleare) e alcune applicazioni di una fonte fossile già dominante che rischiano un lock in di capitali, specie in un contesto in cui esistono alternative che dovrebbero essere spinte al massimo per ridurre la dipendenza dal gas fossile. Per tutte queste ragioni, Greenpeace ha deciso di promuovere una azione legale contro l’inclusione di gas e nucleare in tassonomia.

Se a questo si aggiunge la guerra, il quadro diventa ancora più assurdo e le risorse andrebbero spese per ridurre la dipendenza dal gas di fornitori di paesi instabili. Prioritarie le rinnovabili come sottolinea anche un documento recente di Palazzo Chigi.  Il legame tra politiche energetiche e pace è stato richiamato, infine, anche dal segretario generale delle Nazioni Unite: “se agiamo insieme, la trasformazione energetica rinnovabile può essere il progetto di Pace del ventunesimo secolo”.