L’industria Italiana con 84 Mton CO2 emessa all’anno, rappresenta il 20% del totale delle emissioni a livello nazionale. Di queste, circa il 64% sono ascrivibili ai settori hard to abate, ovvero: Chimica, Cemento, Acciaio a Ciclo Integrato, Acciaio da forno Elettrico, Carta, Ceramica, Vetro e Fonderie.

 

Il peso di questi settori è estremamente rilevante per il tessuto industriale Italiano anche da un punto di vista economico, occupazionale e di sistema:

  • rappresentano circa 88 Miliardi di Euro di Valore Aggiunto Lordo, pari al 5% del totale nazionale;
  • sono settori votati all'export con il 55% del fatturato generato fuori dall'Italia;
  • occupano circa 700 mila posti di lavoro;
  • sono parte integrante della filiera economica italiana, essendo direttamente o indirettamente fornitori di innumerevoli settori a valle della catena del valore, fra cui ad esempio l’industria alimentare, bevande, tessile, farmaceutica, automotive, costruzioni, logistica, commercio al dettaglio e all’ingrosso;
  • rappresentano già oggi un’eccellenza dell’economia circolare italiana, massimizzando il riutilizzo di scarti da altre industrie e valorizzando scarti e sottoprodotti dei rispettivi processi produttivi.

 

Un indebolimento di questi settori metterebbe a serio rischio la tenuta del sistema industriale Italiano. Tale rischio è concreto, essendo questi esposti a due fattori esogeni estremamente critici. Il primo è lo svantaggio competitivo verso concorrenti Europei in termini di costo dell’energia (derivante da una forte dipendenza dal gas naturale importato) e accesso a vettori energetici green. Il secondo afferisce all’impatto dalla “Fase 4” dell’EU ETS – Emission Trading System – che è basato su un metodo “cap & trade”, dove ogni soggetto vincolato da tale meccanismo riceve un determinato numero di quote di emissione gratuite e deve compensare attraverso l’acquisto sul mercato di eventuali quote mancanti per coprire le proprie emissioni. Inoltre, la Commissione Europea attraverso il pacchetto “Fit For 55” ha proposto a luglio 2021 di accelerare la riduzione delle quote gratuite, passando da un tasso di riduzione del -2,2% anno al -4,2% anno.

I problemi dell’industria hard to abate e l’impatto di un “do nothing scenario

Lo svantaggio competitivo dell’Italia in termini di costi dell’energia è andato acuendosi con la diminuzione delle risorse energetiche fossili nazionali, e questo, accoppiato ad una mancanza di strategia energetica di lungo termine, ha portato ad una sempre maggiore dipendenza dall’estero, lasciando così l’industria Italiana esposta ai mercati internazionali. Il prezzo dell’energia a livello globale ha avuto drammatici incrementi negli ultimi mesi dovuti sia all’uscita dalla pandemia di Covid-19 che al recente conflitto in Ucraina, portando ad esempio il gas naturale ad aumenti superiori al 500% in meno di un anno, con costi insostenibili per i settori hard to abate.

Inoltre, in base alle novità introdotte dal regime EU-ETS, a cui sono soggette gran parte delle emissioni dei settori hard to abate, si stima che al 2030 più del 40% delle emissioni non sarà coperta da Free Allowance di CO2. Inoltre, i principali consensus (EEX, Climatecake; Bloomberg; Eikon Refinitiv; SPGlobal) proiettano uno scenario di prezzi della CO2 in aumento fino a 90-130 €/tonnellata al 2030. Questo scenario metterebbe a serio rischio l’industria Italiana: l’effetto derivante dall’aumento delle emissioni non coperte da free allowance e dell’incremento del prezzo della CO2 porterebbe ad una erosione del Margine Operativo Lordo (MOL) dei settori di circa 2,1 – 2,7 miliardi di Euro all’anno, pari a circa il 20-25% del totale MOL cumulato di tutti i settori.

Di fronte a questi fortissimi stress, i possibili impatti sull’industria Italiana sarebbero drammatici: chiusura/delocalizzazione degli impianti e significativi ridimensionamenti organizzativi; taglio dei costi e soprattutto degli investimenti per sostenere le perdite; perdita dell'opportunità di riprendere quote di mercato a seguito dell'introduzione del Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM).

In definitiva, si stima che il “Do nothing scenario” comporterebbe oltre 300 mila posti di lavoro a rischio.

Per evitare di indebolire i settori hard to abate, è necessario supportare le imprese nell’implementare una strategia che le guidi nel percorso di transizione energetica e di decarbonizzazione. Le leve di decarbonizzazione per questa industria possono essere suddivise in leve “tradizionali” e “strategiche”, queste ultime sono quelle che richiedono maggior supporto per essere implementate in quanto sono le leve a più alto costo di abbattimento, oltre i 50 Euro/ ton CO2.

Le leve tradizionali sono le seguenti:

  • Efficienza energetica, attraverso revisione dei processi produttivi per ridurre le necessità di energia (termica ed elettrica) necessaria a parità output prodotto;
  • Economia circolare, attraverso il riutilizzo di scarti di produzione/materiali riciclati;
  • Combustibili low carbon, realizzabile tramite la sostituzione dei combustibili attuali con vettori energetici a bassa intensità carbonica, quali ad esempio Charcoal, preridotto (ottenibile utilizzando metano o idrogeno come agenti riducenti di minerali di ferro) e Combustibile Solido Secondario (CSS).

Le leve strategiche sono invece elettrificazione, green fuels e carbon capture, utilization & storage (CCUS) che permetterebbero di abbattere l’80% delle emissioni dell’industria HTA.

  • Elettrificazione, tramite revisione dei processi produttivi per rendere possibile l'utilizzo di energia elettrica in sostituzione di combustibili fossili.
  • Green fuels, ovvero utilizzo di combustibili green (idrogeno, biometano) in sostituzione di combustibili fossili (gas naturale); l’utilizzo di questi vettori può richiedere adattamenti impiantistici, in particolare per l’idrogeno.
  • Carbon Capture, Utilization and Storage (CCUS), e quindi cattura, trasporto, stoccaggio o riutilizzo di anidride carbonica derivante dai processi di produzione; questa tecnologia mantiene pressoché invariato il processo produttivo e permette la cattura anche di emissioni di processo.

L’applicazione di queste leve differisce in maniera sostanziale da settore a settore, in funzione della loro applicabilità ai processi produttivi di riferimento. Mentre la CCUS è prevalentemente legata alla cattura di emissioni di processo, il mix di utilizzo di green fuels ed elettrificazione andrebbe invece a sostituire il gas naturale usato in combustione.