Tradizionalmente il costo del pieno viene indicato come uno dei grandi vantaggi per il consumatore della transizione verso la mobilità elettrica. Oggettivamente, alla luce dei dati, la rivendicazione può sembrare fondata. Tuttavia, quando affrontiamo questo argomento troppo spesso commettiamo due errori.
Da una parte, ci dimentichiamo che quando facciamo il pieno all’auto elettrica oltre all’energia paghiamo anche la tecnologia. La tecnologia della colonnina ma anche la tecnologia della rete elettrica che la alimenta. Dall’altra, non ci rendiamo conto che la transizione verso la mobilità elettrica è agli albori e la sua evoluzione inciderà in maniera sostanziale sui costi di ricarica.
Ma andiamo con ordine. Innanzitutto, c'è ricarica e ricarica. Negli ultimi anni, infatti, all'annosa questione della distribuzione capillare delle colonnine si è aggiunto un altro tema: l'accorciamento dei tempi. L’idea di fare il pieno alla macchina in due ore non convince i consumatori, che pretendono un servizio analogo al distributore di carburanti.
Attualmente, i costi di ricarica presso le colonnine pubbliche convenzionali si aggirano intorno ai 40 centesimi per kWh ma, se scegliamo di fare il pieno a una colonnina fast e ultra-fast (quelle dove il tempo di ricarica si riduce, rispettivamente, a un’ora e mezz’ora) le tariffe arrivano a 79 centesimi per kWh, a seconda dell’operatore.
Le tariffe della ricarica pubblica in Italia (eurocent/kWh)
E in Italia siamo solo all’inizio. Prendiamo Tesla, leader di mercato nel settore della mobilità elettrica, ma anche nel segmento della ricarica. Negli USA, dove rappresenta il 2% delle vendite di automobili, il costo della ricarica può arrivare a 1,35 dollari per minuto (1,2 euro), a seconda della potenza erogata dalla colonnina.
Le tariffe Tesla negli USA (centesimi di doll/minuto)
A questi prezzi, fare 100 Km con un’auto elettrica può costare di più che farli con un’auto a benzina. E parliamo già di realtà, non di scenari ipotetici.
Per di più, in un Paese dove il prezzo all’ingrosso dell’elettricità è drasticamente inferiore a quello italiano, come si evince dal grafico seguente.
Prezzi medi dell’elettricità-Consumatori domestici, 2020 (eurocent/kWh)
Fonte: Statista
Questa escalation delle tariffe è dovuta a due dinamiche: l’aumento costante della potenza dei veicoli elettrici e la crescente penetrazione di mercato degli operatori. Troppo spesso ci dimentichiamo, infatti, che una Dacia Duster Spring (il modello elettrico più economico sul mercato europeo) raggiunge una velocità massima di 120 Km orari e ha un’autonomia di circa 200 Km a fronte di 180 Km orari e 700 Km di autonomia per l’omologa a benzina. Chiaramente, i costruttori stanno cercando di colmare questo gap e per farlo hanno bisogno di batterie sempre più grandi. Di conseguenza, la prospettiva è quella di colonnine sempre più potenti e ricariche sempre più lunghe. O costose.
Inoltre, non dobbiamo sottovalutare il fatto che il modello di business della mobilità elettrica, almeno per il momento, assomiglia più a quello della telefonia che a quello della mobilità tradizionale. Attualmente gli operatori cercano di legare a sé i clienti attraverso promozioni, abbonamenti, partnership con i costruttori o con le utilities. Mano a mano che la concorrenza viene messa al bando per legge, però, chi si è posizionato inizia ad alzare le tariffe.
Anche perché l’elettricità si muove via cavo mentre per la benzina basta un’autobotte. E non si tratta di una differenza da poco. Pensare che il settore della ricarica sarà competitivo come quello dei carburanti è fuorviante, perché non tiene conto dei limiti intrinseci della distribuzione elettrica. Oltretutto, c’è il rischio che i colli di bottiglia della rete strozzino ulteriormente la competizione, assicurando una posizione di vantaggio a danno dei consumatori a chi installa le colonnine prima degli altri nei segmenti della rete più congestionati, dove c’è meno spazio per un’ulteriore espansione della capacità allacciata.
A proposito della rete vale la pena affrontare anche un altro argomento, troppo spesso sottaciuto. McKinsey pubblica ogni anno una roadmap sulla decarbonizzazione dell’Europa. Si tratta di un documento che presenta la transizione verso le energie rinnovabili e la mobilità elettrica come una grande opportunità di sviluppo. Quindi si può parlare tranquillamente di una fonte al di sopra di ogni sospetto.
CAPEX addizionale nell’EU27 (mld di euro)
Fonte: McKinsey
Il rapporto stima che, per soddisfare la crescente domanda elettrica, i Paesi europei saranno chiamati a investire 1.500 miliari di euro per adeguare le reti. È evidente che una quota rilevante di questo fabbisogno finanziario sarà funzionale all’elettrificazione dei trasporti. Chi finanzierà questi investimenti? La risposta è banale, basta guardare alla storia delle autostrade: chi usufruirà del servizio.
Stimare l’impatto di questo contributo infrastrutturale sulle tariffe di ricarica è prematuro ma è chiaro che si tratterà di un sovrapprezzo tutt’altro che irrilevante, data la mole degli investimenti richiesti. Un discorso a parte, infine, va fatto per le accise.
Troppo spesso, infatti, ci si dimentica che le accise sono oramai prelievi fiscali strutturali, che finanziano il bilancio statale nel suo complesso e non la mobilità. In poche parole, l’eventuale phase out del motore endotermico non potrà coincidere con il phase out delle accise, che dovranno essere riallocate. E cosa succederebbe se venissero spostate sul prezzo della ricarica?
Immaginando che la mobilità elettrica si sovrapponga perfettamente a quella tradizionale, e che quindi il kilometraggio complessivo degli automobilisti italiani non cambi in uno scenario 100% elettrico, il riorientamento delle accise farebbe aumentare il costo della ricarica di una ventina di centesimi per kWh. Sempre che il decisore riesca a targetizzare efficacemente il fabbisogno elettrico domestico per la ricarica dei veicoli elettrici, altrimenti le uniche prospettive sono un riassorbimento nella fiscalità generale oppure la concentrazione del prelievo sulle colonnine pubbliche.
Anche sul tema della ricarica privata, infatti, andrebbe fatta chiarezza. Gli operatori del settore descrivono questa opzione come la soluzione perfetta per ridurre i costi di gestione della mobilità elettrica. E oggettivamente, quantomeno per il momento, ricaricare l’auto a casa significa risparmiare tra il 30% e il 70% rispetto alle tariffe delle colonnine pubbliche.
Tuttavia, pensare di imperniare l’impiego della propria auto sulla ricarica domestica significa ridimensionare la funzionalità della mobilità privata oppure ragionare in termini di complementarità tra mobilità elettrica (per le brevi distanze) e mobilità tradizionale (per i tragitti più lunghi o più incerti). Oltretutto, in questo caso al costo puro e semplice dell’elettricità va incluso l’ammortamento dei costi di installazione della colonnina (wallbox), in media 1.500 euro.
Immaginando che “l’automobilista elettrico” percorra la distanza annua dell’automobilista medio (11.000 Km) e che non cambi l’impianto per almeno dieci anni, i costi di ammortamento della colonnina si traducono in un sovrapprezzo sulla ricarica di circa 10 centesimi per kWh. Al netto dei costi di ammortamento, comunque, la ricarica domestica per il momento è indubbiamente conveniente rispetto alla pompa: difficilmente i costi superano i 6 euro per 100 Km, a fronte degli 9 necessari per un’auto a benzina (dati stimati su consumi medi, rispettivamente, di 15kWh/100Km e 5lt/100Km). E, anzi, una gestione oculata delle finestre di ricarica può garantire il dimezzamento del costo del pieno rispetto a un’auto a benzina.
In ogni caso, bisogna tenere presente che la postura del decisore sarà fondamentale nel definire la traiettoria dei costi della ricarica domestica, dato che è difficile pensare che le utenze domestiche non saranno chiamate a finanziare una quota degli investimenti necessari al potenziamento della rete. Quindi parliamo di una situazione in divenire, che potrebbe riservare brutte sorprese a chi si illude di essersi slegato dai costi di gestione del sistema di ricarica pubblica installando una colonnina domestica. Anche perché, a ben guardare, si tratta del profilo contributivo ideale agli occhi dello Stato: proprietario di casa e proprietario di un veicolo.
Ancora più in generale, bisogna tenere in conto che il settore elettrico europeo sta affrontando grandi mutamenti. I target climatici concordati in sede comunitaria, infatti, impongono ai Paesi europei una rapida riconversione dei rispettivi sistemi energetici. Come ha sottolineato in una recentissima nota la Banca Centrale Europea, questa tumultuosa transizione è destinata a produrre una marcata e duratura inflazione dei prezzi dell'energia. E la componente elettrica, per tante ragioni, rischia di essere quella che risentirà di più di questo new normal.
Di conseguenza, presto o tardi, le turbolenze sul mercato all'ingrosso percoleranno anche in quello di consumo, con il rischio che il costo del kWh raddoppi. Chiaramente i governi, che in una prima fase hanno cercato di tamponare la fiammata dei prezzi con risorse prelevate dalla fiscalità generale, sono alla ricerca di soluzioni strutturali. Tuttavia, questo non significa che qualcuno alla fine non sarà chiamato a pagare il conto. Più semplicemente, il decisore sta cercando di redistribuire gli oneri tutelando il più possibile la coesione sociale. È difficile credere che la mobilità elettrica prima o poi non sia chiamata a dare il suo contributo, soprattutto fino a che i rimarrà una prerogativa della fascia alta del mercato dell'automotive.
Di nuovo, rischiamo di essere vittima di un'illusione prospettica: se la transizione avrà successo, nel futuro della mobilità elettrica non ci sono incentivi ma tasse e oneri. E molti studi già ora prevedono costi di alimentazione superiori alla mobilità tradizionale. Come hanno già sottolineato gran parte degli operatori dell’automotive, dall’amministratore delegato di Toyota a quello di Stellantis, la transizione verso la mobilità elettrica rischia perciò di trasformare l’auto in un lusso piuttosto che in un prodotto di massa.
E questa trasformazione della Car Culture rischia di essere il fattore che trasforma tutte le spinte inflazionistiche descritte precedentemente in una vera e propria spirale in cui il costo della ricarica può arrivare a livelli impensabili al momento dato che, se diminuisce il numero degli automobilisti, si riduce il numero di coloro che sono chiamati a finanziare direttamente gli investimenti infrastrutturali.
Nel complesso, perciò, il tema dei costi di ricarica va affrontato in prospettiva, tenendo ben presente che prima o poi la mobilità elettrica smetterà di beneficiare di contributi pubblici e dovrà iniziare, al contrario, a versare risorse nelle casse dello Stato. Insomma, tra qualche anno c’è il rischio che anche chi ha installato una colonnina domestica rimpianga il pieno al distributore.