In questi due anni di pandemia ha dato prova di grande elasticità e coordinazione, ma adesso il delicato meccanismo che ha fatto funzionare il mercato del petrolio sta iniziando a cigolare, e non è chiaro se gli scricchiolii siano frutto della transitoria incertezza dei tempi oppure scaturiscano da motivi strutturali, sui quali sarebbe bene intervenire al più presto.
Però è sotto gli occhi di tutti che il prezzo del petrolio sta macinando record su record, con il Brent che viaggia “ai tempi del colera” verso 90 dollari al barile; che i consumi di greggio e carburanti stanno tornando a livelli pre Covid con una velocità superiore del previsto e che probabilmente quest’anno supereranno addirittura la soglia di 100 milioni di barili al giorno; che aumenta sempre più il nervosismo tra paesi produttori, facendo temere per la tenuta dell’offerta; che il livello delle scorte di greggio e prodotti si va assottigliando di mese in mese ed è sempre più difficile fare la conta dei barili, perché manca più del solito chiarezza e coordinazione; che le compagnie petrolifere sono meno propense a fare investimenti upstream “rischiosi”, impegnate come sono nella transizione energetica e nel raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità ambientale; che la capacità mondiale di raffinazione l’anno scorso è diminuita per la prima volta da 30 anni a questa parte, poiché la chiusura degli impianti non è stata compensata dall’avvio di nuove raffinerie, e si potrebbero creare quindi nuovi colli di bottiglia.
Tutti questi elementi, messi insieme come tessere di un puzzle, restituiscono l’immagine di un mercato molto fragile. Dai minimi registrati ad aprile 2020, quando il Wti finì sotto zero e il Brent scese sotto i 20 dollari al barile, adesso il pezzo del petrolio corre verso quota 100, livello plateau del biennio 2013-2014.
Un’impennata che sarebbe proprio da evitare in questo contesto storico, soprattutto per l’Europa che già fa i conti con una violenta crisi energetica, ma anche per gli Usa alle prese con un livello di inflazione che non si vedeva da 40 anni a questa parte.
A sparigliare le carte, è arrivata a dicembre la variante Omicron, con le sue limitazioni prima di Natale, che hanno ancora una volta gelato le proiezioni sui consumi di carburante, in particolare di jet fuel. Il mese scorso, infatti, le quotazioni del barile sono state molto instabili.
Da inizio 2022 invece, la variante del virus fa meno paura e quindi la freccia del grafico del Brent punta senza vere esitazioni verso l’alto, aiutata, da un lato, dalle tensioni geopolitiche, con lo Yemen che ha attaccato gli Emirati Arabi Uniti e la Russia che sta vantando pretese sull’Ucraina; dall’altro, dalle nuove politiche monetarie che le banche centrali di tutto il mondo hanno annunciato. Per fare fronte all’inflazione galoppante, quest’anno Fed e Bce porranno in essere misure restrittive, come l’aumento dei tassi di interesse interbancari, e questa nuova politica dispiegherà i suoi effetti anche sul cambio euro/dollaro, rendendo le quotazioni di greggio e prodotti ancora più imprevedibili.
Andamento prezzi Brent e WTI (doll/bbl)
Fonte: elaborazioni Staffetta Quotidiana su dati Ice e Cme
Comunque, le più importanti case d’affari, da Goldman Sachs a Morgan Stanley, stimano che il prezzo del petrolio salirà ancora. E queste previsioni rialziste prevalgono numericamente su quelle prudenti perché, mentre la domanda di greggio e prodotti sta tornando più velocemente del previsto su livelli pre pandemia, l’offerta sembra arrancare nell’adeguarsi al rimbalzo: come si legge nell’ultimo rapporto Aie, anche nel mese di dicembre l’OpecPlus non ha prodotto quanto avrebbe potuto.
C’è di più: l’agenzia internazionale dell’energia solleva dubbi sul fatto che il Cremlino riuscirà mai a produrre quanto la sua quota arriverà ad assegnare, cioè 11 milioni b/g, visto che prima della pandemia l’offerta russa arrivava al massimo a 10,6 milioni b/g e che la produzione di GazpomNeft e Rosneft è già calata sensibilmente l’anno scorso.
Dunque - come sempre - è l’Arabia Saudita l’unica che può intervenire per un aumento tempestivo e calmierante della produzione, assieme ai suoi alleati del Golfo.
Ma dopo l’attacco degli sciiti yemeniti agli Emirati, il groviglio di interessi in seno all’OpecPlus si è fatto terribilmente intricato. Arabia Saudita e Iran sono ai ferri corti proprio ora che si è insediato un nuovo segretario generale dell’Opec, il kuwaitiano al Ghais. Tanto che sorge il dubbio se quest’ultimo riuscirà o meno a preservare l’eredità del suo predecessore Barkindo, colui che creò i presupposti per la nascita dell’OpecPlus, più di cinque anni fa.
Alle problematiche dell’OpecPlus, si aggiungono l’instabilità politica in Libia e in Ecuador, i tumulti in Kazakistan, le manutenzioni agli impianti upstream in Nigeria, nel mare del Nord e nel Golfo del Messico, insomma tutte quelle incognite che il mercato del petrolio è ciclicamente chiamato ad affrontare. Con la differenza che oggi appare più “disunito” che mai.
A ulteriore riprova, nel mese di dicembre, i due principali paesi consumatori, Stati Uniti e Cina hanno deciso in autonomia di rilasciare scorte per calmierare il prezzo del petrolio, sollevando l’Aie da una delle sue più importanti funzioni: quella appunto di coordinare il rilascio delle scorte strategiche tra paesi Ocse, quando si manifestano i presupposti, come avvenne da ultimo in occasione della deposizione di Gheddafi in Libia nel 2011.
Sembra proprio essersi perso nelle nebbie quello spirito di unità e collaborazione dell’aprile di due anni fa. Allora tutti i paesi produttori, Stati Uniti inclusi, decisero all’unanimità di ritirare dal mercato oltre 10 milioni di barili al giorno per evitare la caduta libera dei prezzi del barile.
Purtroppo, come sempre accade, l’aumento dei prezzi del petrolio ha risvegliato l’avidità dei produttori, creando divisioni. E invece - tanto più ora che la pandemia non è completamente debellata - quello spirito unitario andrebbe ritrovato, per riportare equilibrio nel mercato petrolifero e aiutare le banche centrali a contrastare lo spettro dell’inflazione e le sue allarmanti ricadute economiche e sociali.
“La saggezza arriva quando non serve più”, scriveva il premio Nobel Gabriel García Márquez nel romanzo di culto “L’Amore ai tempi del colera”. Si spera che non sia vero per i paesi produttori dell’OpecPlus, i quali durante il prossimo incontro del 4 febbraio potrebbero anche decidere tutti insieme di accelerare i tempi dell’aumento produttivo, mettendo un freno al ritorno del Brent a quota 100.