Fin dagli anni Ottanta, l'Unione europea ha mostrato una particolare sensibilità riguardo alla tematica dell'impatto negativo dei rifiuti sull'ambiente. Consapevole della necessità di armonizzare le norme nazionali in materia, al fine di consentire il perseguimento di obiettivi di sostenibilità ambientale di ampio raggio, diversi sono stati gli interventi della Comunità, oggi Unione, al riguardo. I più rilevanti si individuano nelle Dir. 94/62/CE, 2000/59/CE 2008/98/CE, U.E. 2015/720 e la Dir. UE 2019/904.
Con particolare attenzione al materiale plastico, che rappresenta una delle più invasive forme di inquinamento della nostra epoca, la più recente Dir. UE 2019/904 mira - come più approfonditamente si illustrerà in seguito - a prevenire e ridurre l'incidenza della plastica tanto sull'ambiente (in particolare quello acquatico) quanto sulla salute umana, promuovendo la transizione verso un'economia circolare, eretta su modelli imprenditoriali, prodotti e materiali innovativi e sostenibili, che contribuiscano al corretto funzionamento del mercato interno.
"La strategia è intesa a proteggere l'ambiente dall'inquinamento da plastica e a promuovere al contempo la crescita e l'innovazione, trasformando così una sfida in un programma positivo per il futuro dell'Europa". Quest'affermazione, tratta dal comunicato stampa diffuso dalla Commissione europea contestualmente con l'approvazione della "Comunicazione COM (2018) 28 final", propone un buon punto di partenza per illustrare questo nuovo "step" del percorso avviato verso una più accentuata circolarità del sistema economico, che senza dubbio ha colto efficacemente le criticità che possono rilevarsi sul problema "plastica" al giorno d'oggi. È un dato di fatto che dagli anni '60 la produzione di plastica sia aumentata di venti volte, fino a 322 milioni di tonnellate nel 2015, e che ci si aspetti un raddoppio nei prossimi due decenni, secondo la linea tendenziale di crescita marcatamente non lineare: a livello mondiale, un giro d'affari dell'ordine di 340 miliardi di euro, che interessa principalmente i settori dell'imballaggio (che assorbe il 39,9% della plastica prodotta), dell'edilizia (19,5 % della produzione), e poi, a seguire, il settore automobilistico e quello dell'elettronica, che impiegano rispettivamente l'8,9% e il 5,8% della produzione di materie plastiche.
Il processo di approvazione delle modifiche di ben sei direttive europee riguardanti i rifiuti, (direttiva "madre" più cinque direttive a specifico tema) modificative e integrative di quelle preesistenti, nell'ottica di una loro maggiore coerenza coi principi dell'economia circolare, è nato, come si è già visto sopra, con la Comunicazione COM (2015) 217 final del 2 dicembre 2015 "L'anello mancante - Piano d'azione dell'Unione europea per l'economia circolare", che comprendeva anche gli "schemi" di modifica della "direttiva madre" sui rifiuti n. 2008/98/Ce, e delle "complementari" direttive n. 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio, n. 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti, n. 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso, n. 2006/66/CE relativa a pile e accumulatori e ai rifiuti di pile e accumulatori, e n. 2012/19/UE sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, tutte proposte alla discussione degli organi decisionali coinvolti nella procedura.
Il principio "chi inquina paga" è sancito nell'art. 191 del TFUE (in precedenza, nell'art. 174, 2° comma, del Trattato CE), che lo annovera fra i principi ai quali devono conformarsi le politiche europee in materia di ambiente. A livello nazionale esso è stabilito dall'art. 3 ter del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, il quale prevede che "la tutela dell'ambiente e degli ecosistemi naturali (...) dev'essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche - pubbliche o private - mediante un'adeguata azione che sia informata ai principi della precauzione, dell'azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché al principio "chi inquina paga" che, ai sensi dell'art. 174, 2° comma, del Trattato delle unioni europee, regolano la politica della comunità in materia ambientale".
Il principio "chi inquina paga" è inoltre richiamato dalla disciplina degli interventi di bonifica e messa in sicurezza dei siti contaminati, dettata dal Titolo V della Parte IV del D.Lgs. n. 152/2006. Segnatamente, l'art. 239 prevede che "il presente titolo disciplina gli interventi di bonifica e ripristino ambientale dei siti contaminati e definisce le procedure, i criteri e le modalità per lo svolgimento delle operazioni necessarie per l'eliminazione delle sorgenti dell'inquinamento e comunque per la riduzione delle concentrazioni di sostanze inquinanti, in armonia con i principi e le norme comunitari, con particolare riferimento al principio 'chi inquina paga'".
La ratio del principio, derivato dall'analisi economica del diritto, è quella di porre i costi e le esternalità negative, anche indirette, derivanti da ogni forma di inquinamento e di pregiudizio all'ambiente o alla salute pubblica (e quindi - per quanto qui specificamente rileva - dalla contaminazione e/o dalla potenziale contaminazione delle matrici ambientali) a carico del soggetto responsabile della contaminazione stessa, anziché della collettività. Dalla suddetta ratio conseguono, da un lato, la rilevanza del nesso di causalità che lega il comportamento commissivo od omissivo di un determinato soggetto alla contaminazione potenziale o attuale di un sito e, dall'altro, l'inconfigurabilità di obblighi di intervento in capo al proprietario del sito che non sia responsabile della contaminazione.
Un ulteriore aspetto, che merita di essere evidenziato, riguarda l'adozione, da parte degli Stati dell'Unione europea, di misure atte ad assicurare la raccolta differenziata in funzione del riciclaggio, con la fissazione di due rilevanti soglie percentuali di riduzione della quantità di rifiuti di prodotti di plastica monouso, con scadenze fissate al 2025 ed al 2029. A tale proposito, è opportuno evidenziare che la Commissione UE, il 16 gennaio 2018, aveva già emanato una comunicazione che mirava ad istituire una strategia europea per la plastica nell'economia circolare. La strategia era orientata verso la sfida ai tassi ridotti di riutilizzo e di riciclaggio dei rifiuti di plastica, alle emissioni di gas ad effetto serra e, soprattutto, all'ingente quantità di rifiuti di plastica (compresa la microplastica negli oceani). La Commissione aveva, infatti, prospettato una sua teoria su una nuova economia della plastica in Europa, in cui, tra l'altro, tutti gli imballaggi avrebbero dovuto essere riprogettati in modo da consentirne il riciclaggio od il riutilizzo entro il 2030.
A partire dalla Legge 19 dicembre 2019, n. 157, recante disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili, e dalla Legge di Bilancio 27 dicembre 2019, n. 160, pubblicate rispettivamente nella Gazzetta Ufficiale del 24 e del 30 dicembre 2019, osserveremo distintamente le norme di specifico interesse del settore ambientale, distinguendo le disposizioni che, in relazione agli obiettivi di sostenibilità, determinano incentivi agli investimenti ambientali ovvero introducono più specificamente una tassazione ambientale.
Così "provando" a cogliere se, nei fatti, il dibattito sulla sostenibilità e sul Green New Deal ha prodotto dei risultati concreti.
Rinviando ad altra sede le riflessioni su come le risorse pubbliche sono state investite in questi ultimi anni, vale la pena valutare l'effettiva portata di una riforma fiscale "ecologica" che si pone l'obiettivo di riorganizzare le entrate dello Stato italiano a gettito invariato, introducendo nuove "tasse" ambientali, riducendo i sussidi impropri e il costo del lavoro ed aumentando gli investimenti pubblici di green economy. Tale valutazione deve necessariamente partire dalla considerazione che in Italia la pressione fiscale è già alta e che ciò ha avuto l'effetto di ridurre gli investimenti, soprattutto nel campo della ricerca e dell'innovazione. Con la conseguenza di "rallentare" piuttosto che "spingere" verso l'obiettivo della sostenibilità. Alla stessa stregua, il riferimento al gettito invariato porta inevitabilmente con sé una difficoltà di fondo che è quella di non poter incidere sulla leva fiscale per rilanciare lo sviluppo sostenibile, diminuendo la competitività del nostro Paese.
Martina Liaci (Abilitata all’esercizio della professione forense – Cultrice della materia in diritto privato – Università del Salento – Direttore dei servizi generali ed amministrativi)