La gestione dei rifiuti è sempre più strategica in tutti i Paesi, non solo sul piano ambientale e della qualità della vita, ma anche su quello industriale ed economico. L’Italia è una medaglia a due facce. Da un lato, tradizionalmente povera di risorse, ha sviluppato - molto più di altre nazioni - le filiere del recupero nelle quali può vantare eccellenze in diversi comparti. Dall’altro, presenta diffuse criticità nella gestione dei rifiuti, tanto urbani che speciali, e manca ancora una strategia nazionale in materia. Il Paese non ha, insomma, una visione che sia al contempo di tutela ambientale e di politica industriale.
Lo sviluppo dell’economia circolare, al centro dell’attenzione come mai prima, è oggi trainato da due driver principali. Uno, tipicamente italiano, è dato dalla regolazione nazionale indipendente di Arera, che sta progressivamente cambiando le regole del comparto, influenzando la gestione e gli economics per i diversi operatori. L’altro, di respiro internazionale, è la spinta che arriva dall’attuazione del Green New Deal europeo, che punta a favorire maggiori investimenti, nuovi modelli di business e innovazione tecnologica in chiave ecologica.
Il settore dei rifiuti urbani (RU) costituisce, d’altra parte, una realtà economica e industriale rilevante. Le maggiori 230 aziende attive nella raccolta, selezione e valorizzazione, trattamento e/o smaltimento hanno un valore della produzione di 11,7 miliardi di euro nel 2019, cresciuto del 5,1% rispetto all’anno precedente. Le azioni per migliorare le performance ed estendere il servizio “porta a porta” hanno permesso loro di arrivare ad un tasso di raccolta differenziata (RD) del 64,7%. Nell’anno, diversi operatori hanno consolidato la propria posizione nel settore, mentre gli investimenti hanno raggiunto i 534,8 milioni di euro, aumentando del 4,1% sul 2018.
Questi investimenti hanno interessato il territorio in modo disomogeneo, concentrandosi prevalentemente nelle aree del Nord Italia, e continuano a non essere in linea con le necessità di rinnovamento del parco impianti esistente e di realizzazione di nuova capacità. A titolo d’esempio, l’analisi del fabbisogno di capacità Waste to Energy (WtE) al 2035, condotta nel WAS Annual Report 2019, evidenziava una situazione critica anche considerando il solo scenario di Bassa Produzione di RU (BP). Le stime, infatti, vedevano nel 2035 oltre 10 milioni di tonnellate di rifiuti da avviare a recupero energetico, con un conseguente deficit di capacità di circa 1,3 milioni di tonnellate nell’intero Paese.
Le principali aziende italiane di waste management stanno altresì continuando ad integrarsi lungo la value chain, unendo le fasi di raccolta con quelle di trattamento e riciclo. Questa trasformazione da semplici “gestori dei rifiuti” a player industriali integrati sta ridisegnando l’assetto del settore, permettendo loro di catturare maggior valore aggiunto e di ridurre i rischi sugli sbocchi dei materiali. Le materie prime seconde, infatti, sono orami diventate vere e proprie commodities, con mercati internazionali e prezzi volatili influenzati dalla congiuntura economica e dalla geopolitica globale.
Evoluzioni tecnologiche e cambiamenti dei modelli di business e di consumo, condizionano poi i comparti dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) e di pile e accumulatori (RIPA), sempre più caratterizzati da aspetti peculiari. L’evoluzione della tecnologia ha portato ad un aumento dei dispositivi dotati di batterie e dunque ad una progressiva convergenza dei due settori e dei loro operatori. La normativa italiana si è mossa però nella direzione opposta, stabilendo per i sistemi di gestione la scomposizione delle attività legate ai RAEE dalle altre (D.M. del 13 dicembre 2017, n. 235). A dispetto dei maggiori oneri e della più alta complessità dei processi, tali disposizioni avrebbero potuto favorire una migliore trasparenza nel settore. Tuttavia, anche a causa della mancanza di indicazioni da parte del Ministero, solo due Consorzi hanno finora suddiviso le attività per aree di business, con possibili distorsioni della concorrenza nel mercato.
L’esistenza di un ampio settore illegale dei RAEE genera impatti negativi sia a livello ambientale che economico. Nel 2019 Assoraee stimava che circa 20.000 tonnellate di RAEE uscissero ogni anno dai circuiti ufficiali, per un danno economico intorno ai 14 milioni di euro solo in Italia. Dato, tuttavia, che dovrebbe essere ben più elevato secondo gli operatori del comparto e che potrebbe aver visto un ulteriore incremento, in linea con quello delle vendite online, a causa della pandemia.
Tra i RAEE rientrano i pannelli fotovoltaici dismessi, che, prima del fine vita, sono regolati dalle norme del settore energetico. Nonostante i quantitativi siano attualmente piuttosto contenuti, il mercato del recupero potrebbe crescere in modo esponenziale intorno al 2030, visto il boom delle installazioni tra 2009 e 2013 e la vita utile che si attesta in media sui 20-25 anni.
Seppur articolato in comparti assai differenti, il settore del waste management nel suo complesso sta andando incontro a significativi cambiamenti, spinti dallo sviluppo tecnologico, dall’affacciarsi di nuovi prodotti, processi e player da altri settori, tra cui soprattutto quello chimico e dell’energia, ma anche dall’interesse del mondo finanziario e degli investitori istituzionali.
Nel comparto dei RU, l’innovazione consentirà, tra le altre cose, di individuare soluzioni per plasmix e combustibile solido secondario (CSS). Per le plastiche, il riciclo chimico offre oggi interessanti prospettive, con l’opportunità di aumentare la percentuale di materiale recuperato, e potrebbe dunque affiancarsi al tradizionale riciclo meccanico nel prossimo futuro.
Il progresso tecnologico svolgerà un ruolo fondamentale sia nell’evoluzione che nel rinnovamento generale del parco impianti del settore del waste management. Per il trattamento della frazione organica, si stanno sviluppando nuovi impianti capaci di produrre anche biocarburanti di qualità sempre migliore e nuovi materiali come, ad esempio, le bioplastiche prodotte a partire dalle biomasse. La crescita di queste ultime è tale che, nel 2020, il Ministero dell’Ambiente (oggi della Transizione Ecologica) ha approvato uno specifico Consorzio, Biorepack, all’interno del sistema Conai.
L’aumento dei dispositivi connessi e la crescente digitalizzazione dei processi porta anche a nuovi modelli di business e consumo. Tra questi ultimi, ad esempio, la sharing economy, in cui le aziende produttrici mantengono la proprietà dei beni e sono dunque incentivate a migliorarne le prestazioni, mentre si accorciano le fasi di raccolta, recupero e riciclo. L’e-commerce, che con la pandemia ha visto un ulteriore aumento, genera impatti crescenti sul waste management. Nel 2020, infatti, si stima che l’ammontare di beni commercializzati sia cresciuto del 27,6% rispetto al 2019 (fonte: eMarketer). Di contro, mancano ancora regole precise per tali fenomeni, con diversi interrogativi sull’effettiva responsabilità a fine vita e rischi di comportamenti di free-riding.
Per i RAEE, inoltre, la realizzazione di beni con nuove funzionalità e migliori prestazioni ne comporta spesso la sostituzione prima del termine della vita utile. Il tasso di rimpiazzo di computer e cellulari, ad esempio, è in aumento.
Queste sono solo alcune delle opportunità (e problematiche) che l’Italia deve cercare di cogliere (e affrontare) nell’ottica dell’economia circolare. Per farlo è però necessario risolvere le criticità che continuano a caratterizzare il sistema. Punto di partenza dovrebbe essere l’adozione di normative chiare e omogenee, la cui mancanza penalizza diversi comparti, che si inquadrino in una strategia nazionale di lungo periodo. Ad esempio, dovrebbero essere finalmente approvati regolamenti sull’End of Waste (EoW), essenziali per la chiusura del ciclo nelle tante filiere in cui ciò non è ancora avvenuto.
In conclusione, il settore del waste management ha la straordinaria possibilità di far leva sulle risorse del Next Generation UE, sia per spingere innovazione e nuovi business, sia per risolvere criticità che da troppo tempo affliggono il comparto. La vera sfida è disegnare un PNRR che sappia valorizzare le competenze green italiane, con un ripensamento profondo dell’assetto istituzionale e legislativo italiano. Semplificazioni dei procedimenti autorizzativi devono unirsi a policy di ampio respiro che combinino i target ambientali con i profili industriali.