Questo articolo si basa sull’ipotesi che non si verifichi una seconda ondata pandemica, circostanza che il nuovo aumento dei contagiati dal Covid-19 in Italia non consente di escludere. Essendo privo della mitica sfera di cristallo, non ho infatti la minima idea delle possibili ricadute sulla transizione energetica di un simile evento (anche perché sarebbe necessario conoscerne ex-ante le dimensioni e la durata).
Dalla fase pandemica, in cui il PUN si era più che dimezzato tra gennaio e maggio, scendendo da 47,47 fino a 21,79 €/MWh, siamo passati a una endemica che, con la ripresa di molte attività, vede il PUN risalire a 38,01 €/MWh in luglio, cioè con un incremento del 74,4% in soli due mesi. È quindi prevedibile un rapido recupero della situazione pre-Covid 19 (estrapolando il trend attuale, in agosto il PUN non dovrebbe essere lontano da quello di un anno fa nello stesso mese).
La crescita dei prezzi è sostenuta dalla risalita della domanda, con gli acquisti nazionali ai massimi da agosto 2019 (+4.800 MWh circa su giugno), mentre la diminuzione del contributo delle FER ai kwh venduti sul Mercato del Giorno Prima -MGP è compensata dall'aumento delle fonti fossili, che sono mediamente più care. Da qui il rialzo delle quotazioni, che sarebbe più evidente se non ci fosse la ripresa dell'import, più a buon mercato.
La dinamica dei prezzi del kWh, che sta rendendo di nuovo competitive tecnologie come la fotovoltaica utility scale, se è tranquillizzante per quanto concerne la loro immediata potenzialità di crescita, sul lungo termine prefigura invece un effetto di segno opposto.
Per realizzare i nuovi obiettivi europei di decarbonizzazione, che verranno definiti entro fine anno, nel 2030 il contributo delle rinnovabili elettriche al mix produttivo italiano non potrà essere inferiore al 65%. Se una percentuale assai inferiore, raggiunta nel primo trimestre 2020, ha contribuito a ridurre il PUN in misura tale da mettere in dubbio la convenienza di investire senza incentivi in impianti eolici e fotovoltaici, anche l’ultimo scettico non dovrebbe avere più dubbi sull’incompatibilità di una crescita massiccia delle rinnovabili con il MGP come determinante principale del prezzo del kWh.
Una realtà già evidente quando si è avviato il processo di liberalizzazione (cfr. G.B. Zorzoli, La liberalizzazione rivisitata, “Economia delle fonti di energia e dell’ambiente”, n. 1-2, 2003), ma di cui si è preso atto molto tempo dopo.
Al posto del MGP vanno introdotti meccanismi di formazione dei prezzi che incorporino il costo complessivo dell’energia prodotta e non solo quello marginale che, per tutte le rinnovabili tranne le bioenergie, è prossimo allo zero. Al più tradizionale meccanismo - bandi annuali competitivi – più recentemente si sono aggiunti i PPA (Power Purchase Agreement). Il crollo dei prezzi del kWh aveva diffuso il timore che il loro grande e, prima del Covid-19, imprevedibile divario rispetto a quelli contrattati con i PPA avrebbe diffuso sfiducia e scetticismo nei confronti di questo strumento. La mia diretta esperienza professionale, per quanto limitata, indica però che anche questo effetto della pandemia si sta rapidamente ridimensionando.
Cosa bisogna fare quindi per accelerare lo sviluppo delle rinnovabili? In primis semplificare il processo di permitting, il principale ostacolo alla crescita delle FER. Anche il Decreto Semplificazione, pur modificando positivamente alcune storture esistenti negli iter autorizzativi degli impianti e delle infrastrutture energetiche, lascia irrisolte diverse criticità, difficilmente rimovibili per intero dagli emendamenti che il dibattito parlamentare riuscirà a introdurre.
Comunque, anche il migliore dei decreti non eliminerebbe automaticamente le inerzie burocratiche e non ridurrebbe le opposizioni alla realizzazione di impianti a fonti rinnovabili, diffuse nelle istituzioni sia nazionali (come alcuni incredibili pareri contrari delle Sovrintendenze), sia regionali e locali, ma anche nel mondo associazionistico e in ampi strati dell’opinione pubblica. Con un comune denominatore: l’impatto territoriale di qualsiasi insediamento di interesse generale è considerato negativo. Un a priori che, se non si pone rimedio, è destinato a crescere a causa della numerosità (che si traduce in intrusività) degli impianti per la produzione elettrica rinnovabile richiesti per realizzare i nuovi obiettivi di decarbonizzazione: da 835.232 a fine 2018 dovranno infatti diventare circa di 2,5 milioni nel 2030.
A tal fine occorre attivare canali d’informazione che rendano i cittadini consapevoli di un dato di fatto. Gli investimenti necessari per garantire una stabile ripresa economica non potranno essere effettuati senza la disponibilità delle risorse finanziarie assegnate all’Italia dal Recovery Plan, in larga parte finalizzate al conseguimento degli obiettivi di decarbonizzazione (paradossalmente, i danni provocati dall’epidemia forniranno uno straordinario supporto alla crescita dell’economia “green”).
Questa indispensabile iniziativa va affiancata da altre, finalizzate a promuovere l’autoconsumo collettivo, in particolare le comunità energetiche, che non a caso hanno un ruolo centrale nelle nuove Direttive europee. La comunità di energia rinnovabile, normata dalla RED II, e quella energetica dei cittadini, introdotta dalla Direttiva sul mercato elettrico, hanno infatti in comune l’obiettivo di offrire ai propri soci e al territorio in cui operano benefici collettivi ambientali, economici e sociali.
Se i cittadini, le PMI presenti nel territorio e gli enti locali vengono coinvolti anticipatamente nella realizzazione di una comunità energetica, si renderanno conto che l’investimento nell’impianto a fonti rinnovabili destinato a soddisfare gran parte della domanda di energia garantisce loro concreti vantaggi economici e sociali. Questo, indipendentemente dalla soluzione prescelta: realizzazione in proprio dell’impianto, acquisto a lungo termine a prezzi convenienti dell’energia derivante da uno di proprietà di terzi, utilizzo della formula “build, sell, operate”, con la prima e la terza fase affidate a una società esterna. Tutte decisioni basate su una valutazione positiva di prezzi a lungo termine sostanzialmente stabili: anche loro destinate quindi a ridurre il ruolo del mercato del giorno prima.