Negli ultimi anni, si è affermata all’interno dei confini eurounitari una variegata architettura normativa preordinata al raggiungimento di ambiziosi obiettivi sul piano della riduzione di emissioni di gas a effetto serra. In primis, si punta al conseguimento della neutralità climatica entro il 2050 e, a livello “intermedio”, alla riduzione entro il 2030 delle emissioni di gas a effetto serra di almeno il 55% rispetto ai livelli del 1990. Nell’ambito di questo quadro legislativo comunitario, assume primaria importanza l’ultimo provvedimento assunto a Bruxelles in materia di prestazioni energetiche degli edifici, costituito dalla Direttiva UE 2024/1275, ribattezzata anche “Direttiva Case Green”.

La Direttiva, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea l’8 maggio 2024 ed entrata in vigore il successivo 29 maggio 2024, mira a conseguire i citati obiettivi attraverso la riqualificazione del patrimonio edilizio dei Paesi membri e il miglioramento della relativa efficienza energetica.

In punto di riqualificazione dell’esistente, si potrebbe affermare che la “chiave di volta” del nuovo testo normativo sia racchiusa nel relativo articolo 9. Partendo dagli immobili residenziali, tale norma impone anzitutto agli Stati membri di assumere provvedimenti affinché il consumo medio di energia primaria dell’intero parco residenziale diminuisca di almeno il 16% entro il 2030 e di almeno il 20-22% entro il 2035. Il meccanismo configura una “tabella di marcia” che prende avvio dall’anno 2020 e impone il rispetto di un’ulteriore condizione: almeno il 55% del calo del predetto consumo medio di energia primaria deve essere conseguito mediante la ristrutturazione del 43% degli edifici residenziali con le prestazioni peggiori.

Con riferimento al parco immobiliare non residenziale, lo stesso articolo 9 prevede invece (disegnando un particolare meccanismo) che le norme minime di prestazione energetica per gli edifici non residenziali stabilite dagli Stati membri garantiscano che tutti gli edifici rientranti in tale tipologia siano al di sotto della soglia massima di prestazione energetica del 16% a decorrere dal 2030 e della soglia del 26% a decorrere dal 2033. Non tutti gli edifici dovranno essere, tuttavia, assoggettati agli interventi previsti.

È attribuita, infatti, agli Stati membri la discrezionalità di esentare dall’applicazione degli obblighi di ristrutturazione talune categorie di immobili, tra cui  gli edifici storici e vincolati e gli edifici religiosi e quelli destinati alle forze dell’ordine.

Quanto all’attuazione dei citati programmi di riqualificazione del patrimonio edilizio, l’articolo 3 della Direttiva affida agli Stati membri il compito di predisporre un apposito piano che garantisca la ristrutturazione del parco nazionale degli edifici residenziali e non residenziali, pubblici e privati. In proposito, la Direttiva prevede scadenze assai stringenti: la prima proposta di piano di ristrutturazione dovrà essere, infatti, presentata alla Commissione Europea entro 31 dicembre 2025.

A complemento delle misure sull’esistente figurano poi all’interno della Direttiva diverse ulteriori importanti disposizioni, in particolare tese a disciplinare i nuovi interventi edilizi, gli impianti fotovoltaici e le caldaie a combustibile fossile.

L’articolo 7 della Direttiva si occupa degli edifici di “nuova costruzione”, prevedendo che gli stessi dovranno essere ad emissioni zero seguendo le seguenti tempistiche:

-       i nuovi edifici di proprietà degli enti pubblici a partire dal 1° gennaio 2028;

-       tutti gli altri a decorrere dal 1° gennaio 2030.

Il successivo articolo 10 regolamenta l’installazione di impianti solari degli edifici, partendo da una fondamentale condizione generale, ossia che gli Stati membri assicurino l’attuazione di tale misura laddove tecnicamente appropriato ed economicamente e funzionalmente fattibile. In linea con tale presupposto, l’installazione di tali impianti dovrà dunque avvenire secondo una tempistica disegnata ad hoc per determinate tipologie di edifici nonché considerando le loro dimensioni. Primi tra tutti, sono interessati dall’obbligo in questione gli edifici pubblici e quelli non residenziali.

Quanto alle caldaie a combustibile fossile, l’articolo 17, comma 15, della Direttiva, introduce a partire dal 1° gennaio 2025 il divieto per gli Stati membri di offrire incentivi finanziari. Occorre ricordare che tale divieto è, in realtà, inserito nella norma dedicata alla disciplina degli incentivi finalizzati al raggiungimento di tutti gli obiettivi previsti dalla Direttiva. Sul punto, la disposizione omette di stanziare alcun nuovo finanziamento per la realizzazione degli interventi di riqualificazione, limitandosi a prevedere che gli Stati membri utilizzino gli incentivi nazionali nonché quelli già disponibili a livello unitario (tra cui il dispositivo per la ripresa e la resilienza, il Fondo sociale per il clima e i fondi della politica di coesione).

Tutti gli obiettivi sopra riassunti non sono stati imposti in via diretta in capo ai cittadini dell’Unione. Come è noto, infatti, le direttive sono fonti comunitarie che vincolano, sul piano formale, esclusivamente gli Stati membri; saranno poi questi ultimi che, in sede di recepimento, adotteranno i provvedimenti legislativi nazionali in grado di incidere sulle posizioni giuridiche dei propri consociati.

Per quanto concerne l’Italia, occorre considerare che, in termini generali, il recepimento nel nostro sistema normativo delle direttive dell’Unione Europea avviene mediante lo strumento della “legge di delegazione”: in sostanza, il Governo è tenuto a presentare ogni anno alle Camere, entro il 28 febbraio, un apposito disegno di legge recante la “Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea”. Sulla scorta della delega conferita dal Parlamento, il Governo provvede pertanto ad adottare un decreto legislativo recante l’adeguamento alle previsioni comunitarie.

Venendo alla Direttiva “Case Green”, l’articolo 35 del provvedimento stabilisce che il relativo recepimento da parte degli stati membri dovrà avvenire entro il 29 maggio 2026, ossia entro due anni a partire dalla relativa entrata in vigore. Ad oggi, non risulta che l’Italia abbia presentato alle Camere il disegno di legge previsto per l’integrale recepimento della Direttiva (né tantomeno - ça va sans dire - che abbia adottato un apposito decreto legislativo).

Ciò nonostante, un primo “tassello normativo” è stato comunque posto. La legge di Bilancio per l’anno 2025 (legge n. 207/2024) ha infatti recepito il divieto di agevolazioni fiscali per le caldaie a combustibile fossile introdotto dall’articolo 17, comma 15, della Direttiva. In particolare, sono state espressamente escluse dalla disciplina vigente in materia di detrazioni fiscali legate agli interventi di efficienza energetica (c.d. “Ecobonus”) o di ristrutturazione edilizia le “spese per gli interventi di sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale con caldaie uniche alimentate a combustibili fossili” (cfr. articolo 1, comma 55, della legge n. 207/2024).

L’Italia si è rivelata, dunque, tempestiva nell’attuazione di questa esigua parte della Direttiva, concernente l’introduzione di un mero divieto. Resta, tuttavia, ancora tutto da vedere come verranno tradotte nell’ordinamento nazionale le ulteriori e, invero, più complesse disposizioni della Direttiva, le quali richiedono molto di più da parte degli Stati membri e in particolare dallo Stato italiano, considerato il suo peculiare patrimonio edilizio.