Negli ultimi mesi due grandi fattori hanno condizionato le strategie future del mondo della raffinazione: la guerra dei prezzi all'interno dell’“Opec plus” ed il calo drastico dei consumi per effetto della pandemia.
Nel primo caso, come è noto, l'altalena sui prezzi, le influenze geopolitiche, la poca chiarezza e trasparenza sulle posizioni statunitensi e russe, hanno pesantemente condizionato le quotazioni ed i conseguenti margini di raffinazione. Le condizioni che si sono determinate hanno aspetti positivi e negativi a seconda della raffineria di riferimento: quelle che si approvvigionano sul mercato (Esso a Trecate, Lukoil e Sonatrach in Sicilia, oppure IP e Iplom) hanno momentaneamente goduto del prezzo basso, mentre Eni ha risentito del calo dei prezzi in quanto estrattore oltre che raffinatore.
Tutto ciò comunque in un contesto già caratterizzato da una progressiva riduzione di capacità di raffinazione, che tra il 1980 e il 2019 è diminuita di circa il 49%. In questi anni siamo passati da lavorare 2,5 milioni di barili/giorno a 1,9 milioni.
La pandemia ha drasticamente e drammaticamente ridotto i consumi e portato tutti sullo stesso piano. C’è stato un calo delle vendite dell’85% nel settore carburanti: gasoli e benzine per l'autotrazione, jet fuel per aviotrasporto e sulla stessa linea si sono posizionati anche i lubrificanti. Tanto per dare un'idea: fino al 2017 in Italia il volume complessivo dei consumi energetici era pari a circa 115 Mtep e il contributo di Eni era pari a circa il 30% del mercato.
Il dato certo è che dopo i primi mesi dell'anno sugli scudi, oggi per fortuna i consumi stanno riprendendo e si potrebbe aprire una stagione di opportunità per il settore della raffinazione che bisognerà saper cogliere
La pandemia ed il relativo “lockdown” hanno riportato velocemente in auge la questione energetica e dell’economia circolare e sarà necessario saper approfittare delle opportunità che diversificazione dei consumi e maggior attenzione alle energie rinnovabili renderanno possibile.
Per questo noi guardiamo con interesse alle due linee generali di intervento che Eni ha annunciato pochi giorni fa: “Energy evolution” e “Natural resources”.
La transizione energetica sposta l'attenzione verso l'elettrico, ma ancora per molti anni gli equilibri industriali propenderanno per l'alimentazione da fossile; la fase di riorganizzazione delle produzioni a livello globale vedrà ancora forte la necessità di investimenti nelle raffinerie tradizionali ed alto l'utilizzo delle BATs (best available technologies). Le maggiori raffinerie italiane, che hanno resistito a questi mesi di Covid relazionandosi con le Organizzazioni sindacali per salvaguardare le possibilità di contagio dei lavoratori contemporaneamente alla sicurezza delle produzioni, stanno progressivamente riportandosi verso i volumi di produzione precedenti in molte linee di prodotto. E sono ancora volumi importanti: a tendere le capacità vanno dai 2,5 mil. ton/anno di Iplom a Busalla ai 20 mil. ton/anno di Lukoil a Priolo passando per i complessivi 30 mil. ton/ anno della raffinazione Eni.
Uiltec Filctem e Femca, sigle di settore, hanno monitorato con attenzione in questi mesi le organizzazioni del lavoro per verificare che non ci fossero preoccupazioni sui nostri livelli occupazionali, cosa che purtroppo altri settori hanno avuto.
Oggi siamo impegnati a vigilare che in buona sostanza i Piani Industriali presentati nel 2019 vedano modifiche il meno impattanti possibile sui volumi di “Capex” e che le strategie industriali previste abbiano i percorsi industriali, normativi ed autorizzativi quanto più lineari possibile.
Ad esempio, le prese di posizione del Presidente della Regione Sicilia Musumeci verso i livelli di emissioni in aria per le raffinerie del suo territorio sono non solo molto più basse delle emissioni consentite dalle più stringenti norme europee, ma anche lontane dalle possibili modifiche impiantistiche realizzabili e non agevolano le prospettive future del settore. A Milazzo la raffineria, joint fra Eni e “Kuwait petroleum”, vede seriamente pregiudicata la sua permanenza oltre il 2022. Guardiamo con attenzione anche a Sannazzaro dei Burgundi, dove all'interno della raffineria, l'impianto Est (Eni slurry technology) distrutto da un incendio nel 2015, era quasi pronto per il suo ripristino questa primavera ma è stato al momento parcheggiato in attesa di migliori eventi. Stiamo sollecitando Eni al suo completamento ed immediato riutilizzo.
Per contro però, la scelta delle grandi multinazionali di settore di accelerare in materia di transizione energetica ed economia circolare, presuppone una serie di progetti e di strategie più ampie che stiamo osservando con interesse. La scelta e la capacità di trasformare raffinerie tradizionali come Venezia e Gela in bioraffinerie, che i sindacati hanno condiviso in passato in un'ottica di riconversione ma anche di rispetto occupazionale, hanno una potenzialità di sviluppo enorme: a breve, in Eni si produrranno 1 mil. ton/anno di biodiesel ma con la prospettiva di arrivare a 5 mil. entro il 2050 già tracciata. È un processo industriale, tra l’altro, che sta procedendo alla eliminazione dell'uso dell'olio di palma per passare ad altri oli vegetali di minor impatto ambientale.
Ancora, la raffinazione sarà interessata da processi di utilizzo e produzione di idrogeno, il cosiddetto “hydrogen blue”; in alcuni siti, poi, si è in fase avanzata nella progettazione di utilizzo di rifiuto umido per l'estrazione di metanolo, per la produzione di bio-olio per uso marino ed altro. Per rendere concreti questi processi il settore può anche contare su ingenti finanziamenti europei.
Sono tutti percorsi che in Italia si possono e si dovranno affrontare nell'ottica dei grandi cambiamenti che il mondo del petrolio sarà costretto ad adottare e le organizzazioni sindacali dovranno essere considerate un partner indispensabile. Mentre BP e Shell annunciano pesanti riorganizzazioni per circa 18/20mila occupati in meno, noi preferiamo pensare che la grande capacità professionale presente nelle raffinerie, nei depositi e nelle reti distributive italiane debba essere salvaguardata ed utilizzata. Nei prossimi 3 anni la sola Eni ha annunciato 4,9 mld di investimenti in transizione non solo in Italia; Sonatrach ha revampato la sua Raffineria ex Esso di Augusta spendendo 350 milioni di euro, Lukoil e Saras come anche Trecate hanno effettuato i loro turn around in questi mesi per altre centinaia di milioni; anche la raffineria di Falconara si sta riprendendo dopo le perdite causa Covid e caduta prezzi.
Il mondo avrà ancora bisogno di Oil&Gas per molto tempo, ma la transizione andrà accompagnata e realizzata, non solo dichiarata. Se rimangono le chiusure sulle estrazioni in Adriatico, le difficoltà burocratiche per Viggiano in Val d’Agri oppure a Gela, se si osteggerà in qualche modo la possibilità di catturare e stoccare la CO2 a Ravenna, vera iniziativa di contenimento delle emissioni di anidride carbonica in atmosfera, o l'uso di GNL per processi chimici ed energetici, la responsabilità di quello che succederà ad un settore che occupa migliaia di lavoratori sarà enorme. La Uiltec già dallo scorso anno ha fortemente voluto esporsi nel sostegno ad un settore produttivo che è importante per il Paese.
Da Ravenna nel marzo scorso e pochi giorni fa, abbiamo lanciato segnali di preoccupazione per la mancanza di strategie politiche ed industriali. Mentre siamo in presenza di una forte riduzione della capacità di raffinazione per la chiusura di tre raffinerie e la trasformazione di altre due nel giro di pochi anni - che non hanno lasciato nessun lavoratore per strada - siamo anche responsabilmente consapevoli della necessità di guardare a tutti quei processi atti a rendere resiliente questo mondo.