L’emergenza Covid-19 sta avendo chiare ripercussioni a livello globale su tutti i settori produttivi e il settore energetico non è sicuramente escluso. Al contrario, sta registrando una contrazione dei consumi che i principali produttori energetici non possono trascurare. Il calo preoccupa tanto i producers di greggio quanto quelli del gas, sia nella sua forma piped che il GNL. Per quest’ultimo, in particolare, il calo della domanda si tradurrà non solo in annullamenti di contratti di fornitura a lungo termine, ma anche in rimodulazioni e differimenti delle decisioni sugli investimenti finanziari da parte dei principali paesi esportatori. A risentirne saranno soprattutto paesi come gli Stati Uniti, dove il settore risente già da anni di un contesto di prezzi bassi, ma anche l’Australia e il Canada, che a differenza dei produttori del Medio Oriente, della Russia e dell’Africa presentano economics più svantaggiosi e un costo di breakeven più elevato.
Questo contesto di crisi, perciò, potrebbe fornire un’opportunità al settore energetico russo. Mosca potrebbe sfruttare, infatti, la debolezza dei suoi competitor acquisendo nuove quote di mercato, soprattutto nel comparto del GNL, in quei contesti geografici in bilico tra più fornitori, come Cina, Asia Orientale e Unione Europea. E questo per due ordini di ragioni che nel breve e medio termine possono diventare un valore aggiunto.
Il primo è il fattore tempo. A partire dallo sviluppo dei progetti per l’aumento della capacità di liquefazione che è ormai in fase avanzata nell’Artico russo. In quest’area fino a poco tempo fa considerata “di frontiera”, compagnie come Gazprom e la privata Novatek si stanno impegnando a ridurre i costi di estrazione, sviluppo e trasporto presso i nuovi progetti come Arctic LNG-2, un impianto da 18,5 Mtpa, nel tentativo di attrarre nuovi investitori. Inoltre, l’impianto di liquefazione di Yamal funziona ormai a pieno regime e il 1° giugno 2020 un carico di GNL partito dall’omonima penisola ha completato il suo viaggio attraverso la cosiddetta rotta del Mare del Nord, un tratto ghiacciato con cui si può accedere solo tramite un’apposita metaniera rompighiaccio. La notizia ha una rilevanza strategica non da poco, considerando che la nuova rotta permette di evitare il passaggio tradizionale dal Canale di Suez e di collegare i siti di produzione ai mercati dell’Asia Orientale in tempi decisamente più brevi.
Rotte di trasporto tra la Russia e l’Asia
Fonte: Nikkei Asian Review
Il secondo fattore riguarda i costi: il gas russo, sia in forma liquida che gassosa, è nella maggior parte dei casi più economico rispetto a quello fornito dai competitors quali Qatar e Stati Uniti, potendo contare su un’enorme disponibilità di risorse e su infrastrutture i cui costi sono stati ampiamente ammortizzati.
La strategia russa che ormai da qualche anno punta alla differenziazione dei canali di approvvigionamento (è il caso del Power of Siberia, il gasdotto che raggiunge la Cina orientale) in questo momento potrebbe rilevarsi vincente. Se, infatti, in una situazione di “normalità” la Russia avrebbe faticato per assicurarsi quote di mercato pari a quelle attualmente nelle sue capacità, soprafatto dalla concorrenza e dall’abbondanza del gas americano e di quello altamente competitivo del Qatar, ora il rallentamento degli investimenti e dello sviluppo di progetti in varie parti del globo, in primis Stati Uniti e Africa, potrebbe offrire al Cremlino un’occasione unica. La priorità in questo momento riguarda le vendite e il mantenimento dello status quo produttivo anche a pena di profitti sempre più esigui.
Tuttavia, la crisi sanitaria ed economica non ha lasciato Mosca immune. Il paese che fino a inizio marzo vantava uno scarsissimo coinvolgimento nella crisi pandemica globale e che si poteva permettere di inviare aiuti sanitari ed economici ai propri partner economici, a inizio giugno si presenta con una cera del tutto diversa. Il rinvio della grande parata commemorativa del 75° anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale è solo uno dei segnali che qualcosa non sta andando come sperato. Anche sul fronte energetico. Nonostante le precedenti affermazioni del Vice Primo Ministro Anton Siluanov sul fatto che la Russia fosse in grado di sostenere i prezzi del petrolio fino a 25 dollari al barile per tre o cinque anni, infatti, il governo russo è già alle prese con un pesante aumento del deficit di bilancio nel 2020, mentre le società di esportazione di beni di proprietà statale della nazione stanno iniziando a subire ingenti perdite finanziarie. L’impatto sul budget statale non è marginale in quanto il paese è pericolosamente dipendente dall’esportazione di idrocarburi. Allo stesso modo, non è escluso che gli ambiziosi piani di sviluppo della Russia non siano accettati senza riserve da un’opinione pubblica ora più preoccupata, o che ingerenze politiche dall’esterno (ad esempio nuove sanzioni americane) possano in qualche modo frapporsi. I prossimi mesi saranno cruciali per capire la direzione e la probabilità di successo di una strategia che non intende rinunciare a un ruolo di leadership globale ma che deve fare i conti con uno scenario che sembra avere colto di sorpresa anche il Cremlino. Tutto dipende da quando e in che misura i principali consumatori di gas riprenderanno a richiedere gas aggiuntivo e da quanto questo inciderà sui prezzi e sulla ripresa del comparto.