“Ci sono troppi venditori al dettaglio di gas e luce”. Quante volte ce lo siamo sentiti dire? Anche, purtroppo, da associazioni di consumatori che dovrebbero invece nutrire lo stesso mio interesse verso una concorrenza più vasta possibile. Chiedersi come mai i venditori siano così tanti in un settore con margini bassi e rischi alti ha certamente un senso intellettuale, così come lo ha chiedersi perché alcuni facciano prezzi apparentemente da margini negativi o quasi. La risposta credo sia che le strategie di breve periodo possono essere le più diverse e avvengono in un contesto di caccia di quote di mercato in un settore sfiancato dall’attesa del completamento della transizione alla piena concorrenza (sempre rinviata). Mi sembra palese l’errore di dedurre che strategie aggressive di prezzo dimostrino che chi le pratica navighi nell’oro. Se mai mostra la fatica a uscire dalla trappola della commodity e a valorizzare i tanto attesi nuovi servizi, fallimento che credo possa rivelarsi esiziale nel medio periodo.
Indipendentemente da quanto siano criticabili, gli auspici a uno sfoltimento rischiano comunque di essere soddisfatti dalla crisi Covid-19, che si aggiunge all’annoso e mai risolto problema di quel che io chiamo effetto sandwich: venditori che, essendo l’ultimo miglio della catena del valore e operando come riscossori di tasse e paratasse, rispondono finanziariamente delle insolvenze anche su queste componenti. L’Autorità per l’energia francese ha recentemente sancito il principio che i costi delle insolvenze vadano suddivisi tra gli operatori della filiera. Questa materia il nostro legislatore non l’ha mai affrontata (malgrado la partenza di più di un tavolo con più di un Governo) e di fatto l’ha lasciata prima all’impostazione drastica (tutto il rischio in capo ai venditori) dei contratti di trasporto tra venditori e distributori, poi alla regolazione dell’Autorità sulla quale per anni c’è stata una dialettica di ricorsi ai tribunali amministrativi che ha sancito (o meglio confermato) il principio generale che il responsabile dei pagamenti di oneri e tasse è il cliente. In parziale coerenza con questo, una recente delibera ARERA permette la sospensione di versamento di una percentuale limitata degli oneri in caso di morosità dei clienti.
È evidente che, se la partita di recupero della morosità si gioca sul piano dei litigi civili tra venditori e distributori, i primi sono strutturalmente in una posizione di debolezza, visto che non possono esimersi dall’usare i servizi dei secondi. E oggi, al pregresso dei pagamenti da restituire ai venditori sulla base delle sentenze di tribunali amministrativi che hanno annullato la precedente regolazione ARERA, si aggiungono le morosità da Covid-19 acutizzate dall’impossibilità (by regulation e appena prorogata fino al 17 maggio) di interrompere i clienti morosi in bassa tensione senza distinzione sulla natura della morosità (ammesso che una simile distinzione sia possibile e auspicabile).
Cos’è il blocco delle sospensioni a tutti i morosi se non un incentivo al mancato pagamento (gli economisti lo chiamano moral hazard), e una sorta di attribuzione unilaterale ai venditori di una funzione di welfare d’emergenza? E cosa succederà quando il divieto di distacco finirà? Cosa potranno fare i venditori danneggiati dalla morosità se non chiedere le interruzioni sospese in precedenza, peraltro con un riavvio delle procedure di messa in mora che di fatto è una proroga degli effetti finanziari avversi per i venditori?
Quando, da presidente Aiget, partecipai a un drammatico ma proficuo tavolo di confronto tra associazioni e Governo con l’allora sottosegretario Antonello Giacomelli per stabilire le regole della raccolta del canone Rai in bolletta, pensavo che i principi concordati in quel frangente (esazione con criteri verificabili, obblighi di trasparenza, remunerazione dell’attività e nessuna responsabilità sull’insoluto non dovuto a colpa dell’esattore) fossero talmente sensati che si sarebbero allargati alle altre tasse e agli oneri. Peccavo di ottimismo, e forse cercavo di dimenticare il fatto che il sandwich danneggia sì tutti i venditori, ma lo fa meno nei confronti della parte di loro decisiva nell’influenzare le decisioni di un Governo-legislatore che difficilmente può essere imparziale finché dipende dai dividendi di grandi operatori sia in settori regolati che di mercato.
Non credo che i venditori di energia resteranno così numerosi a lungo, e la loro numerosità non è certo un valore in sé. Quel che credo è che ci convenga che il meccanismo per così dire darwiniano della loro sopravvivenza dipenda dalla capacità di far bene il proprio lavoro, di offrire un buon servizio in modo efficiente. Anche, certo, di tutelarsi ragionevolmente dal rischio insolvenza nella scelta dei clienti. Ma permettetemi di dire che non ha senso l’idea che l’universalità della fornitura (e addirittura il diritto di fatto a non pagare in situazioni di emergenza) debba essere garantita lasciando il rischio di tutte le insolvenze ai venditori, almeno non fino a che un benchmark di prezzo regolato rende difficile al mercato prezzare in modo efficiente (cioè passare a valle) un equo costo di questo rischio.
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