Con il testo inviato alla Commissione europea pochi giorni fa e reso pubblico il 21 gennaio, il Governo italiano si è impegnato formalmente a raggiungere una quota di fonti energetiche rinnovabili (FER) del 30% sul totale dei consumi finali lordi nel 2030. Si parla di ben 33,4 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtep) all’anno, grosso modo il 50% in più di quanto fatto nel 2017, ultimo anno di cui vengono riportate le statistiche.
Sebbene alcuni numeri siano stati ritoccati leggermente rispetto alla bozza del dicembre 2018, la versione definitiva del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) conferma l’intenzione dell’esecutivo italiano di puntare principalmente sulle rinnovabili elettriche per centrare l’obiettivo del 2030. Le rinnovabili elettriche dovrebbero infatti garantire da sole circa 6,3 Mtep l’anno, quasi la metà dell’incremento complessivo delle FER sull’intero decennio (si veda la Tab. 9 a p. 53 del PNIEC), e dovrebbero arrivare a coprire il 55% dei consumi finali lordi del settore elettrico. In linea con quanto previsto dalla Strategia Energetica Nazionale (SEN) del 2017, il PNIEC ribadisce come il solare fotovoltaico e l’eolico dovrebbero fare la parte del leone, mentre l’idroelettrico e la geotermia conoscerebbero aumenti modesti in termini assoluti; le bioenergie, al contrario, dovrebbero vedere un calo del 10-15% (si veda le Tab. 10 e 11 a p. 57).
L’ammontare degli investimenti ipotizzati per realizzare questa profonda e rapida evoluzione del paniere elettrico nazionale è notevole. Il PNIEC parla di 85 miliardi di euro tra il 2017 e il 2030 per la sola generazione elettrica, cui si devono sommare 46 miliardi da investire nelle reti e nei sistemi di accumulo (Tab. 78 a p. 287). Rispetto alla situazione a politiche correnti, la variazione negli investimenti richiesti è di 38 miliardi per la generazione e 16 per le reti e gli accumuli. Grosso modo quattro miliardi l’anno che dovrebbero essere aggiuntivamente investiti da Terna, dalle società di distribuzione e da coloro che decidono di produrre elettricità.
Realizzare in tempo questa mole di investimenti, installando circa 42 GW di potenza a fonti rinnovabili, di cui 9,5 ad eolico e 33 a solare, rappresenta una delle principali difficoltà del PNIEC, tanto più che il Governo ha ribadito la volontà di evitare gli errori del recente passato, per cui massici investimenti in nuova capacità di generazione sono stati pagati a caro prezzo dagli utenti del sistema elettrico.
Se da un lato il costo medio di produzione degli impianti eolici e fotovoltaici è ormai prossimo e talora inferiore al prezzo all’ingrosso dell’energia elettrica, dall’altro lato non va dimenticato che la struttura dei costi di queste due fonti è fortemente sbilanciata sulla parte fissa, che deve essere sostenuta prima di iniziare l’attività produttiva, mentre i costi variabili rappresentano di fatto una componente trascurabile. Al rischio legato alla necessaria esposizione finanziaria iniziale, si aggiunge poi il fatto che solare ed eolico non sono programmabili e che la produzione dei vari impianti, almeno in una certa area geografica, tende ad essere positivamente correlata, tanto che al crescere del loro peso nel paniere elettrico diminuisce il prezzo a cui riescono a vendere la loro produzione nel mercato (cannibalizzazione). Questa specifica struttura dei costi e l’incertezza sui ricavi incidono pesantemente sull’attrattività del modello di business della generazione elettrica da fonti rinnovabili. Lo si è visto bene in Italia, quando con la fine degli incentivi pubblici che garantivano ricavi adeguati a remunerare l’investimento iniziale, il numero dei nuovi impianti FER è andato riducendosi significativamente.
Come uscire dall’impasse? Il PNIEC punta a una serie di azioni fondamentali.
Primo, la promozione della generazione distribuita tramite l’esenzione degli oneri di rete e di sistema sull’energia autoprodotta e autoconsumata, sia in configurazione singola che multipla (si pensi alle comunità energetiche e all’autoconsumo collettivo). Unitamente al potenziamento dello scambio sul posto per coloro che installano accumuli, alla semplificazione delle procedure per la costruzione di piccoli impianti e all’introduzione di crescenti requisiti sulle rinnovabili per gli edifici di nuova costruzione o soggetti a profonda ristrutturazione, questa misura dovrebbe favorire le installazioni di piccoli impianti per lo più a fotovoltaico e, nella speranza del Governo, garantire oltre un TWh di produzione elettrica aggiuntivo ogni anno da FER (si veda pp. 121-2). Tradotto in potenza, sarebbe circa un GW di nuova capacità all’anno.
Secondo, la promozione degli investimenti in grandi impianti prossimi alla “market parity” tramite aste competitive, tecnologicamente neutre e contratti per differenze pluriennali. Con questo strumento, previsto dal decreto rinnovabili dell’estate 2019, il Governo punta a incentivare 8 GW di nuova potenza, minimizzandone il costo sulle bollette degli utenti.
Terzo, la promozione di un quadro che favorisca la stipula di contratti di acquisto di lungo periodo dell’elettricità, i cosiddetti “power purchase agreement” (PPA). Tramite questi contratti, i produttori di rinnovabili ottengono adeguate assicurazioni e sono in grado di raccogliere i capitali necessari a investire in nuova capacità di generazione. Sebbene l’attenzione ai PPA sia in forte aumento e un numero crescente di questi, anche direttamente tra generatori e consumatori industriali, sia stato sottoscritto negli ultimi anni negli USA e in altri paesi europei, il loro uso è ancora limitato in Italia. Nel PNIEC, il Governo punta a promuoverne la sottoscrizione per un valore di 0,5 TWh aggiuntivi ogni anno, eventualmente agendo anche come “acquirente” al fine di coprire una parte dei bisogni energetici della pubblica amministrazione tramite energia verde. In termini di potenza, tuttavia, siamo nell’ordine di 0,5 GW annui o anche meno.
Quarto, semplificare le procedure per il potenziamento o il rifacimento degli impianti esistenti e che ormai sono obsoleti o a fine vita utile. Nella stessa direzione andrebbe la riforma delle concessioni idroelettriche, un tema importante per garantire la salvaguardia e l’efficienza dell’attuale parco impianti.
Quinto, introdurre forme di incentivazione mirata per tecnologie non ancora mature, ma promettenti e coerenti con gli obiettivi in materia di economia circolare. Si tratterebbe di sussidi per la produzione o a copertura degli investimenti, da destinarsi a tecnologie come l’energia oceanica o a particolari forme di bioenergia.
Sesto, il coinvolgimento delle Regioni nella pianificazione territoriale, così da ridurre gli ostacoli in termini di accettabilità sociale che affliggono le infrastrutture energetiche, indipendentemente dal fatto che siano a fonti rinnovabili o a combustibili fossili.
Queste azioni saranno sufficienti? Non è facile dirlo. Di alcune, il PNIEC non sembra, a una prima lettura, dare una quantificazione precisa in termini di impatto atteso. Qualche stima poi potrebbe essere troppo ottimistica (si pensi al GW di installazioni aggiuntive annue legato alla promozione dell’autoconsumo). Quello che è certo è che la realizzazione degli obiettivi al 2030, o anche solo l’avvicinarvisi, comporterà un cambiamento profondo nel sistema elettrico italiano, probabilmente ancora più profondo di quello vissuto nel decennio che si è appena concluso.