Comunità energetiche, autorizzazioni e accettabilità sociale: dove non arriva lo stimolo dello Stato possono arrivare le Regioni? Una sintetica risposta a questa domanda possiamo già darla: sì, le Regioni possono fare molto! Tuttavia, servirebbe un maggiore coordinamento con lo Stato, specialmente nel nostro paese dove l'energia è, come si dice in gergo normativo, "una materia di legislazione concorrente". Insomma, per compiere appieno il "Green New Deal" servirebbe innanzitutto un "deal" tra Stato e Regioni. Ma vediamo di motivare queste assunzioni, con qualche ragionamento.

Regione che vai legge che trovi

Dire che l'energia è una materia di legislazione concorrente significa che tutto ciò che la riguarda (e cioè la disciplina delle autorizzazioni, incentivi, agevolazioni, disciplina di dettaglio, ecc.) è nella potestà legislativa delle Regioni. Alla legislazione dello Stato è riservata la determinazione dei principi fondamentali. Facciamo un esempio: i principi generali per le autorizzazioni alla costruzione e messa in esercizio degli impianti a fonti rinnovabili sono dettati dallo Stato. Le Regioni, a partire da essi, possono "elaborarli", adattandoli alle esigenze del territorio e alla sensibilità del legislatore locale. Non solo, le Regioni possono legiferare anche in assenza dei principi generali emanati dallo Stato e seguire quelli promulgati a livello europeo e non ancora recepiti. Così accadde per esempio anni fa in Lombardia dove, in anticipo sul resto del Paese, si legiferò sulla certificazione energetica degli edifici.

Un altro esempio fu il caso dell'Autorizzazione unica: la mancanza di un modello generale, nazionale e unitario autorizzò le Regioni a produrre una fioritura di discipline, con disposizioni diverse l'una dall'altra. E non solo: nel caso in cui le Regioni delegarono la materia alle province, l'iter autorizzativo arrivava a diversificarsi tra provincia e provincia in una stessa Regione.
Anche dopo la pubblicazione delle Linee guida nazionali (Dm 10 settembre 2010), le cose non cambiarono molto. Ancora oggi possiamo dire, parafrasando un noto detto, Regione che vai legge che trovi. Si può certamente dire che la potestà delle Regioni nel legiferare in materia di energia costituisce uno stimolo per lo Stato ad accelerare i processi di adozione di norme favorevoli alla transizione energetica e allo sviluppo delle rinnovabili. Dobbiamo anche dire, però, che la stessa potestà ha il difetto di creare una differenziazione, a volte molto marcata, tra Regione e Regione. Oltre al fatto che operare in questo regime di estrema capillarità legislativa è davvero difficile per tutti: imprese, professionisti e operatori del settore.

Comunità energetiche e prosumer a paso doble

La legislazione concorrente continua ancora oggi a manifestarsi nella sua doppia veste di stimolo e ostacolo. Recentemente, la Puglia e il Piemonte hanno previsto delle norme per promuovere le comunità energetiche e l'autoconsumo, sebbene in assenza di una legislazione nazionale. Il loro punto di riferimento è stata la nuova Direttiva sulle Rinnovabili, emanata a dicembre del 2018 (Direttiva 2018/2001/Ue). Entrambe le Regioni hanno, addirittura, già previsto degli incentivi per sostenere finanziariamente la fase di costituzione delle comunità energetiche. Vogliamo leggere queste iniziative come lodevoli azioni per accelerare la transizione energetica? Oppure una sfida allo Stato a mò di paso doble come fra toro e torero? O ancora come uno stimolo ad accelerare il recepimento della nuova direttiva rinnovabili? Una risposta univoca è difficile da trovare. Quello che possiamo fare è sperare che Stato e Regioni si coordinino al meglio per evitare un nuovo "rifiorire" di discipline, in vista anche delle numerose altre disposizioni previste dalla Direttiva Rinnovabili.

Nimby e Pimby

Se davvero il legislatore vuole operare quella transizione energetica tanto sbandierata sia dall'Europa che dai singoli Stati, c'è un altro punto su cui Stato e Regioni dovrebbero tracciare una strada unica: il rapporto tra cittadini e infrastrutture. Ci riferiamo, in particolare, all'accettabilità sociale di nuovi impianti a fonti rinnovabili. 

La sindrome Nimby (Not In My BackYard - Non nel mio cortile) è sempre più diffusa: secondo i dati del NimbyForum - la realtà nazionale che analizza l'andamento di questa sindrome - l'eolico è tra le opere energetiche meno accettate sul territorio italiano quando si parla di fonti rinnovabili. A seguire le centrali a biomasse e geotermiche.

Un esempio di come si può passare dal Nimby al Pimby (Please, in my BackYard - Per favore, nel mio giardino) viene dal progetto europeo WinWind. Con lo scopo di sviluppare soluzioni su misura per accelerare lo sviluppo del mercato dell’eolico, anche dove sussistono barriere che ne ostacolano l’accettabilità sociale, il progetto ha selezionato alcune Regioni di diversi Stati europei che presentano una diffusione limitata degli impianti eolici. Tra queste ci sono anche il Lazio e l'Abruzzo. Il progetto, coordinato per l’Italia da ENEA, ha analizzato le peculiarità ambientali e socio-economiche di queste Regioni e delle comunità locali che le abitano, alla ricerca delle diverse possibili cause che hanno limitato lo sviluppo dell'eolico.

WinWind, nello specifico, ha condotto un'analisi comparativa di 10 best practices selezionate in tutta Europa e ne ha testate alcune trasferendole in contesti locali, regionali e nazionali differenti rispetto a quelli in cui erano nate. Tra le buone pratiche italiane oggetto di trasferimento c'è il rinnovo (repowering) dei parchi eolici abruzzesi, con alti tassi di recupero degli impianti, riutilizzo delle infrastrutture e riduzione dell'impatto visivo, e anche le riduzioni fiscali e gli incentivi economici per le 1.600 famiglie di Tula, il comune sardo che ospita uno dei parchi eolici più grandi d’Italia.

Questi sono alcuni dei migliori esempi da cui partire per costruire una rinnovata collaborazione tra Stato e Regioni, anche puramente di natura legislativa.