L’Italia, con la legge 9 gennaio del 1991, avviò una trasformazione importante del sistema elettrico, creando le premesse per la diffusione della generazione distribuita, a testimonianza del ruolo di leader svolto dal nostro Paese sul tema. Inizialmente si diffusero i sistemi di cogenerazione, più convenienti e meglio promossi dal provvedimento CIP 6/92 di quelli alimentati da fonti rinnovabili. In seguito, sulla scia di diversi schemi di incentivazione, è toccato alle fonti rinnovabili (anche se non sempre finalizzate all’autoconsumo). Nel giro di trent’anni il cambiamento è stato rilevante: oggi abbiamo il 55% circa della produzione termoelettrica lorda proveniente da cogenerazione (con un rendimento medio di utilizzo dei combustibili del 53% circa) e il 18% del consumo interno lordo coperto da fotovoltaico, eolico e bioenergie.

I benefici della generazione distribuita sono diversi: si riducono le perdite di trasporto sulle reti elettriche grazie all’autoconsumo, si distribuiscono i rischi della generazione su un ampio numero di impianti e si possono sfruttare al meglio fonti rinnovabili come il fotovoltaico, chiamato a fare la parte del leone nel prossimo decennio.

Risultati significativi, dunque, facilitati nel tempo da diversi provvedimenti legislativi e regolatori che hanno reso più agevole realizzare impianti distribuiti (semplificazioni autorizzative, sistemi semplici di produzione e consumo, scambio sul posto, etc.). Ad oggi, il pieno potenziale della generazione distribuita risulta comunque difficile da cogliere per alcune limitazioni relative all’autoconsumo e alla possibilità di generare energia in un’area e consumarla in un’altra. Si pensi, ad esempio, ad utenze come i condomini e realtà complesse come i centri commerciali o le infrastrutture (aeroporti e porti, ad esempio). È possibile realizzare un impianto di generazione condominiale, ma l’autoconsumo può riguardare solo i consumi comuni (luci delle scale, ascensori, etc.) e dunque si perde buona parte dell’interesse per i condòmini. D’altra parte, si fa un gran parlare della possibilità di scambiare energia fra produttori e utenti presenti in una determinata area, superando le limitazioni fisiche presenti ad esempio sui tetti degli edifici e sfruttando al massimo le possibilità di autoconsumo potendo contare su consumatori con diverse esigenze temporali (e.g. uffici, famiglie, colonnine di ricarica elettrica, negozi, etc.).

La Direttiva 2018/2001, nota come FER 2, va proprio ad affrontare queste tematiche e lo fa in due articoli: nel primo, il 21, chiede agli Stati Membri di favorire al massimo la possibilità di autoconsumare l’energia prodotta; nel secondo, il 22, introduce le comunità di energia rinnovabile. Il secondo tema è collegato al primo, in quanto le comunità di energia faranno auspicabilmente largo uso dell’autoconsumo.

Fra gli aspetti interessanti in merito all’autoconsumo c’è la previsione di consentire ai condòmini, e più in generale ai consumatori presenti nello stesso edificio, di generare, immagazzinare, consumare e vendere elettricità mantenendo i propri diritti e doveri di consumatori finali e senza discriminazioni. Viene anche confermata la possibilità che gli impianti siano realizzati e gestiti da un terzo, che può anche assumerne la proprietà, purché sia l’autoconsumatore a stabilirne le modalità di utilizzo.

Venendo al secondo aspetto, da un punto di vista normativo la comunità di energia rinnovabile è definita dalla direttiva come un soggetto giuridico:

a) che, conformemente al diritto nazionale applicabile, si basa sulla partecipazione aperta e volontaria, è autonomo ed è effettivamente controllato da azionisti o membri che sono situati nelle vicinanze degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili che appartengono e sono sviluppati dal soggetto giuridico in questione;

b) i cui azionisti o membri sono persone fisiche, PMI (ma la partecipazione delle imprese alla comunità non deve rappresentare l’attività principale delle stesse) o autorità locali, comprese le amministrazioni comunali;

c) il cui obiettivo principale è fornire benefici ambientali, economici o sociali a livello di comunità ai suoi azionisti o membri o alle aree locali in cui opera, piuttosto che profitti finanziari.

Si tratta, dunque, di un’opportunità molto più pervasiva della semplice fornitura di energia prodotta da fonti rinnovabili conseguibile con un accordo fra due parti, come nel caso di un power purchase agreement (PPA). Lo scopo non è semplicemente consentire a un utente finale di garantirsi un approvvigionamento da fonti rinnovabili a condizioni definite. In questo caso si parla di un soggetto giuridico ad hoc, partecipato in generale da vari soggetti, teso a sfruttare al meglio le opportunità legate alla generazione distribuita nell’ottica di massimizzarne l’autoconsumo (sia per conseguire maggiori benefici di rete che per garantire i migliori ritorni economici) e di produrre vantaggi sul territorio (ad esempio la riduzione delle emissioni e l’uso di fonti energetiche locali).

Si tratta di un’interessante innovazione su cui c’è molta attesa (basta vedere quanto la tematica sia centrale fra le applicazioni della blockchain a livello energetico, ad esempio), oltre all’ovvio interesse degli stakeholder interessati allo sviluppo delle fonti rinnovabili.

Trattandosi di un’innovazione, del resto, non mancheranno le sfide, soprattutto regolatorie. Anzitutto sarà necessario assicurare la misura e la gestione dei flussi di rete, fisici e/o virtuali, che caratterizzeranno il funzionamento della comunità. La sfida non sta tanto nella misura, quanto nella condivisione dei relativi flussi fra le varie parti interessate (membri della comunità, gestori di rete, GSE e AU, etc.). Andranno inoltre superati alcuni aspetti delicati. Ad esempio, mentre nel caso dell’autoconsumo fisico c’è un evidente beneficio nella riduzione dell’uso della rete elettrica (utile soprattutto nell’ottica di diffusione di sistemi elettrici come le pompe di calore, le cucine ad induzione e le auto elettriche), nel caso delle comunità energetiche si prospetta l’opportunità di un autoconsumo virtuale, che però farebbe venire meno tale vantaggio, per lo meno a livello locale. C’è quindi il tema di attribuire il giusto costo in termini di oneri di rete. Così come si prospetterà sempre più nel tempo il tema dell’esenzione dagli oneri di sistema dell’energia autoconsumata. La direttiva, a tale proposito, ne scoraggia l’applicazione, ma non oltre l’8% di penetrazione dell’autoconsumo sulla potenza elettrica installata a livello Paese, laddove tutto dipenderà dagli esiti di un’analisi costi-benefici.

Non è una sfida da poco per l’ARERA, visto che si tratta di trovare il modo di regolare aspetti complessi in modo semplice, in modo da favorire la diffusione delle comunità energetiche e il conseguimento dei benefici ad esse riconducibili, senza creare problemi di distribuzione non ottimale degli oneri di rete e di sistema. E, soprattutto, garantendo la qualità del servizio cui siamo abituati, aspetto per niente secondario considerando che avremo a che fare con una molteplicità di piccoli impianti in mano a soggetti poco attrezzati per gestirli in modo ottimale (e anche solo per rendersi conto di tale esigenza). Si apre, dunque, il tema per l’industria dell’energia di passare dalla gestione di pochi e grandi impianti all’offerta di servizi mirati alla manutenzione e ottimizzazione di quelli dei piccoli produttori.

Peraltro, come preannunciato dal presidente della X Commissione del Senato Gianni Girotto in questi giorni, il Parlamento è già al lavoro per creare le condizioni legislative necessarie per lo sviluppo delle comunità dell’energia (in questo caso si tratta di un emendamento presentato in relazione al decreto “Mille Proroghe”), e questa attenzione al tema è senz’altro meritoria.

Per chiudere, auspico che le comunità energetiche sappiano porre la giusta attenzione al tema dell’efficienza energetica, perché è dal connubio di questa con la generazione distribuita che si potranno soddisfare gli obiettivi comunitari e cogliere i massimi benefici. Si tratta del principio dell’energy efficiency first stabilito nella medesima direttiva FER 2 all’articolo 15.