L’Associazione Italiana Idrogeno e Celle a Combustibile – H2IT – costituitasi nel 2005, conta attualmente oltre 26 soci fra Istituzioni, Università, Centri di Ricerca, Aziende e soci individuali, ed è volta a promuovere il progresso delle conoscenze e lo studio delle discipline attinenti le tecnologie ed i sistemi per la produzione e l’utilizzazione dell’idrogeno. Abbiamo deciso di intervistare il suo Vice Presidente – Luigi Crema - per comprendere meglio lo stato dell’arte di un vettore energetico che a detta di molti giocherà un ruolo fondamentale nel raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione fissati a livello nazionale, comunitario e globale.
Sempre più spesso si parla di idrogeno “verde” e idrogeno “pulito”. Che cosa significano queste definizioni? Vi è una differenza o si tratta sostanzialmente della stessa cosa?
I termini verde e pulito definiscono due importanti caratteristiche dell’idrogeno. Il termine idrogeno verde identifica l’idrogeno prodotto da energie rinnovabili o in ogni caso esente da fonti che direttamente producono emissioni di CO2. Il termine “pulito” identifica invece la caratteristica dell’idrogeno di essere privo di emissioni inquinanti in tutti i processi che lo coinvolgono dalla sua produzione, allo stoccaggio, all’utilizzo nelle pile a combustibile, sia a bordo dei veicoli per la mobilità, sia in applicazioni stazionarie. Solo i processi di combustione diretta dell’idrogeno comportano l’emissione di ossidi di azoto.
Perché è il vettore energetico su cui scommettere?
L’idrogeno è forse l’opzione obbligata se si vogliono raggiungere gli ambiziosi obiettivi europei e internazionali di decarbonizzazione della nostra società. Questi obiettivi implicano la massiccia sostituzione dei combustibili fossili e di tutte le soluzioni che producono emissioni carboniche, compresa l’attuale filiera dell’idrogeno e quindi il modo in cui viene ad oggi prodotto. L’unica opzione al momento attuabile risulta l’uso di fonti rinnovabili, in primis fotovoltaico ed eolico. Fonti che sono variabili e intermittenti per natura e che, oltre un certo livello di penetrazione nel sistema energetico - per quanto si possano sviluppare reti energetiche intelligenti mettono a rischio il concetto di fornitura di energia in base alla domanda dell’utente finale. L’idrogeno costituisce in questo caso una risposta a tutto tondo: è un mezzo di accumulo ad alta densità energetica, adatto per stoccaggi di grandi dimensioni (possono essere immagazzinate migliaia di tonnellate di idrogeno per una capacità di accumulo di centinaia di GWh) e per lunghi periodi (fino agli accumuli stagionali); è una soluzione che permette di collegare tra loro le reti energetiche (da elettroni a molecole e viceversa, attraverso il power to gas e ad altre forme di conversione); permette di trasferire l’eccesso di produzione da energie rinnovabili ad altri settori quali il trasporto dove vince la competizione su diverse forme di mobilità tra cui le batterie. Cosa non molto nota e nemmeno ovvia, vince anche il confronto dei costi rispetto a soluzioni che prevedono l’uso dell’elettrico nel trasporto energetico a distanza.
Quali settori interessa?
L’idrogeno si caratterizza come una filiera che parte dalla produzione, per poi passare a trasporto e stoccaggio e viene a concludersi negli usi finali che coinvolgono tutti i settori di consumo energetico: trasporto, industria e residenziale. Nel contesto della produzione, la direzione attualmente favorita è quella della generazione di idrogeno verde, possibile attraverso le tecnologie dell’elettrolisi dell’acqua, che prevede l’utilizzo dell’energia elettrica da fonte rinnovabile per rompere il legame della molecola dell’acqua e generare idrogeno e ossigeno. Altre forme potranno essere sostenibili nel prossimo futuro, inclusi nuovi processi di trasformazione del metano che evitano le emissioni carboniche. Relativamente al trasporto vi sono due grosse direzioni: le reti gas, in blending con metano o in forma pura, e i vettori dell’idrogeno: la forma liquefatta, i vettori organici o la compressione. Relativamente agli usi finali, l’idrogeno può entrare da subito in maniera competitiva in alcuni settori: treni e trasporto pesante, bus, acciaierie, produzione di feedstock chimici, cogenerazione a livello residenziale e altro ancora.
Perché è una forma di stoccaggio dell’energia migliore delle batterie?
Non direi migliore delle batterie. Vedo piuttosto le due forme di accumulo complementari e sinergiche. Non può esistere un sistema energetico basato solo sull’elettrico e nemmeno un sistema che lo possa escludere. Si dovrà sviluppare un sistema energetico privo di emissioni carboniche e possibilmente di inquinanti, integrando produzione, trasporto, reti elettriche e reti gas che vedano la sempre maggiore presenza di vettori a basso impatto carbonico, tra cui l’idrogeno. La flessibilità e sostenibilità del sistema energetico dipenderà quindi da quanto si riusciranno a collegare le varie reti attraverso le opportune conversioni. Il costo specifico sulle applicazioni metterà poi in luce quale direzione specifica sarà prioritaria rispetto all’altra. Sicuramente l’idrogeno come vettore energetico, ad oggi, può già vincere la competizione con le batterie nel momento in cui si parla di trasporto a lunga distanza, lo stoccaggio su scale temporali medio-lunghe, l’utilizzo in applicazioni energivore.
Quali sono gli ostacoli più importanti che deve superare?
Sicuramente vi sono ostacoli che la filiera sta affrontando nei vari programmi internazionali, europei e nazionali, a vario titolo e grado. Primo fra tutti l’adeguato livello di costo combinato con le performance tecnologiche. Su questo, rispetto a 15-20 anni fa, quando si parlava del primo avvento dell’idrogeno, siamo in un contesto completamente diverso. Oggi le tecnologie funzionano e in molti casi sono già economiche. C’è ancora da recuperare nel contesto della maturità tecnologica di alcune soluzioni specifiche e occorre migliorare le soluzioni per l’accumulo e la compressione.
Quali sono ad oggi i costi di produzione e quanto manca prima che diventi “economico”?
Ad oggi l’idrogeno viene prodotto per più del 90% da fonti fossili, che risultano la forma più economica di produzione. Il contesto di produzione verde è nella sua fase iniziale di implementazione delle tecnologie nel mercato. Produrre idrogeno verde da fonti rinnovabili nei siti più adatti a questo scopo che presentino quindi eccesso di produzione e prossimità logistica con gli usi finali) può diventare presto la forma più economica di produzione, con un target di costo finale ben al di sotto dei 4 o 5 €/kg. Ancora non siamo su questi valori, ma ci stiamo avvicinando rapidamente.
Quali sono i fattori che possono accelerarne l’adozione?
L’idrogeno, trovandosi in un contesto di sviluppo internazionale, direi mondiale, ha bisogno di alcuni supporti necessari. Innanzitutto, è necessario definire una strategia di lungo respiro. Per fare ciò bisognerà costruire un quadro regolatorio-legislativo e normativo-tecnico di riferimento che sia chiaro, abilitante per gli investimenti, validante per le applicazioni. Allo stesso tempo sarà fondamentale massimizzare il coinvolgimento dei centri di competenza, delle aziende e operatori economici e tecnologici, con una strategia di sviluppo della filiera e di attrazione degli stakeholder. Questo permetterà di identificare le priorità di indirizzo tecnologico e di indirizzare coerentemente i rischi di investimento dei prime-movers attraverso la definizione di azioni di supporto. Da ultimo sarà necessario armonizzare, nell’ambito delle competenze e delle regole vigenti, le barriere esistenti nel settore, sia sugli standard che sulla regolamentazione dell’ambito sicurezza. In seconda battuta andrà mantenuto il coinvolgimento internazionale da parte della comunità scientifica e del mondo imprenditoriale, e sviluppato un supporto alla ricerca e innovazione su tutta la filiera che parta dagli studi di fattibilità, dal disegno delle iniziative, per arrivare alla fase progettuale-tecnologica, dimostrativa e di implementazione. Questo permetterà di stimolare uno sviluppo sistemico progressivo che porti alla costruzione di una filiera sostenibile anche da un punto di vista economico.
Qual è lo stato di sviluppo delle tecnologie?
Molte tecnologie sono allo stadio di maturità piena per il mercato, altre lo raggiungeranno nei prossimi 2 – 5 anni a seconda dei casi. Sicuramente il settore è così ramificato e articolato che si parlerà di innovazione e sviluppo continui, con molte soluzioni dirompenti frutto delle azioni promosse dalla ricerca. Del resto, si continua a portare innovazione nel settore dei combustibili convenzionali a oltre un secolo dalla loro adozione. Per l’idrogeno siamo solo all’inizio.
Come stanno evolvendo le policy?
L’idrogeno è ormai accettato e abilitato come soluzione da adottare in tutti i contesti politici internazionali, europei, dei singoli paesi membri (inclusa l’Italia) e addirittura nei contesti regionali o delle aree metropolitane. È sicuramente un tema che rientra negli interessi dei cittadini, e la politica lo identifica come un elemento di priorità nella fase di trasformazione del sistema energetico a soluzioni pulite e prive di emissioni carboniche. Viene quindi a far parte dei piani strategici, sia energetici che del trasporto. In Italia, su tutti, il PNIEC – Piano Nazionale Integrato Energia e Clima e la DAFI – la Direttiva Europea sulle Infrastrutture per i Combustibili Alternativi.
Come possono favorirne l’adozione?
In primis vedendo nell’idrogeno non una possibile opzione, ma una strada necessaria da percorrere. Occorre quindi identificare le soluzioni tecnologiche proposte dall’intera filiera come la via per raggiungere l’obiettivo di una società che recupera 100 anni di inquinamento e di impatto sulla salute umana e altrettanti in termini di impatto negativo su ambiente e clima. Una direzione che va perseguita in fretta, se si vogliono evitare problemi di scala molto superiore a quanto stiamo sperimentando oggi.