L’approccio emergenzialista alle politiche energetico-ambientali contro i cambiamenti climatici fa prevalere una percezione distorta degli interventi necessari. Di questo approccio fanno parte anche atteggiamenti ideologici che non tengono conto di criteri minimi di razionalità ed efficienza dell’intervento pubblico di chi si oppone pregiudizialmente all’entrata in vigore di meccanismi di capacity market necessari, e allo stesso tempo sostiene una drastica attuazione del phase-out di tutte le centrali a carbone ancora presenti nel parco termoelettrico italiano. Non va dimenticato che l’Italia oltre ad aver già raggiunto un importante livello di penetrazione delle rinnovabili elettriche (34,4% nel 2018), ha anche un parco termoelettrico tra i più efficienti al mondo anche dal punto di vista ambientale.
Va chiarito che le rinnovabili elettriche intermittenti, da sole, non rappresentano una soluzione sostenibile a tutti i problemi posti dalle politiche contro i cambiamenti climatici e che le tecnologie di stoccaggio dell’energia elettrica sono promettenti ma ancora non mature, sia dal punto di vista tecnologico che economico. Queste condizioni unite alla fretta di chiudere a tutti i costi tutte le centrali a carbone, anche le più moderne ed efficienti, entro il 2025, espongono il sistema elettrico del Paese a rischi di inadeguatezza (black-out) e rendono indispensabili alcune forme di capacity market.
Di ciò ha dovuto prendere atto anche il governo che, dopo i pareri della Commissione e dell’Arera ha varato il decreto ministeriale lo scorso 28 giugno 2019. D’altra parte era chiaro da tempo che le misure adottate per favorire le fonti rinnovabili elettriche e intermittenti, come la priorità di dispacciamento, avrebbero comportato un costo ulteriore oltre a quelli per gli incentivi e per l’adeguamento delle reti: ossia il costo per garantire la disponibilità di energia elettrica anche quando le condizioni meteo non consentono la produzione da eolico e fotovoltaico.
L’introduzione del Capacity Market è stata criticata da alcune associazioni ambientaliste come Greenpeace, Legambiente e Wwf, e da altre organizzazioni, perché incentiverebbe “di fatto una corsa alla realizzazione di nuove centrali alimentate ancora a fonti fossili”, che “verranno remunerate per i prossimi 15 anni grazie a ben oltre un miliardo annuo pagato dai consumatori in bolletta”, con “il rischio di cristallizzare un modello ormai vecchio, mentre le centrali esistenti flessibili a gas non sono utilizzate al massimo del loro potenziale”.
Secondo gli Amici della Terra, invece, è la crescita di eolico e fotovoltaico prevista dal Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec) che rende il Capacity Market indispensabile. E chi lo nega mette a rischio il sistema elettrico e la sicurezza del paese.
Tuttavia, va notato come gli obiettivi del PNIEC per il 2030 possono essere conseguiti in modo più razionale senza rischi per la sicurezza del sistema elettrico e senza forzature sul phase-out, privilegiando l’uso delle risorse disponibili (pubbliche e private) negli investimenti per l’efficienza energetica e le rinnovabili termiche a partire dalla diffusione delle pompe di calore per la climatizzazione degli edifici, come propongono gli Amici della Terra.
Secondo la nostra Associazione, in questa fase di confronto sull’impostazione della proposta di PNIEC che dovrà essere inviato alla UE entro la fine del 2019, l’attenzione dovrebbe infatti essere posta sul come consolidare il ruolo dell’efficienza energetica e delle rinnovabili termiche nelle nuove politiche italiane per gli obiettivi 2030. Come ha recentemente osservato la Commissione UE, su questi ambiti la proposta di PNIEC dell’Italia ha obiettivi impegnativi e condivisibili ma non è chiaro con quali politiche, con quali strumenti e a quali costi sarà possibile conseguirli.
Le risposte a queste osservazioni vanno trovate applicando il principio “#primalefficienza” (sancito dal Regolamento Governance) nella impostazione del Piano Energia e Clima. Ciò consentirebbe finalmente di adottare una “ricetta italiana” che faccia dell’efficienza energetica anche un perno delle politiche di ripresa economica. Il principio #primalefficienza richiede che prima di adottare scelte di incentivazione per la promozione delle fonti rinnovabili venga verificato che non esistano misure di incentivazione dell’efficienza energetica che possano consentire di raggiungere gli stessi obiettivi di decarbonizzazione con un miglior rapporto costi-benefici.
Nella prospettiva degli obiettivi 2030, l’analisi costi benefici ex ante delle nuove misure di incentivazione da mettere in campo non deve essere limitata solo ai costi economici diretti degli incentivi ma deve coinvolgere anche altri aspetti indiretti come le ricadute economico-occupazionali, gli impatti paesaggistici, gli effetti delle emissioni inquinanti nocive per la salute nell’atmosfera. Devono inoltre essere considerate le sinergie tra interventi di miglioramento dell’efficienza energetica e diffusione delle fonti rinnovabili; le sinergie con altre politiche come le politiche industriali e quelle di messa in sicurezza degli edifici rispetto al rischio sismico.
A questo fine è indispensabile utilizzare e rafforzare il quadro conoscitivo già disponibile come il data base delle misure di politica energetico-ambientale già definite o programmate in Italia, o le analisi sulla valutazione delle ricadute economiche e occupazione connesse alla diffusione delle fonti rinnovabili e alla promozione dell’efficienza energetica. Tale quadro conoscitivo è già stato sviluppato dal GSE ma è indispensabile che venga rafforzato e integrato in modo da poter costituire una solida base per l’analisi costi benefici ex ante sulle nuove misure di incentivazione richiesta dall’applicazione del principio #primalefficienza.
Con questa impostazione, la transizione verso la decarbonizzazione implica certamente un ruolo maggiore del vettore elettrico nel sistema energetico del nostro Paese che può valorizzare strategicamente, ma senza forzature a senso unico, anche il ruolo crescente delle rinnovabili elettriche.