Sarà capitato a tutti, almeno una volta nella vita, di assaggiare il pesto genovese: e se vi dicessimo che di genovese potrebbe essere rimasto poco più che il vasetto e che il pesto, invece, proviene dalla Tunisia? Ebbene, dal 2009 ad oggi, ovvero da quando sono state aumentate le accise sul gasolio destinato alla coltivazione in serra, in inverno tante delle pregiate foglioline di basilico che hanno reso celebre il prodotto genovese non crescono più sulle alture liguri, ma in Tunisia, da dove intraprendono un lungo viaggio – sicuramente poco eco-friendly – fino alle nostre tavole.
La storia appena raccontata, documentataci da alcuni operatori della zona, pur nella sua semplicità mette in luce gli effetti perversi di una politica che aumenta il costo dell’energia a carico di famiglie e imprese e che finisce per svantaggiare il nostro sistema economico rispetto ai competitor globali a cui si finisce per regalare pezzi della nostra produzione nazionale.
È di pochi giorni fa, infatti, l’annuncio del Governo di voler aggredire i cosiddetti “sussidi ambientalmente dannosi”, procedendo alla loro eliminazione o riconversione a sostegno di altri obiettivi come l’innovazione e l’occupazione, inserendo tali misure nella versione finale del Piano Nazionale Energia e Clima che sarà inviata a Bruxelles entro fine anno.
Tra questi “sussidi” c’è anche la riduzione delle aliquote dell’accisa e dell’IVA sui carburanti di cui attualmente godono ad esempio il mondo dell’agricoltura, della pesca, della navigazione, del residenziale per il riscaldamento nelle zone montane non metanizzate.
Come è noto, il carico fiscale sui carburanti in Italia è tra i maggiori d’Europa. L’incidenza fiscale sulla benzina è del 63,37% e del 58,62% sul gasolio, vale a dire oltre 20 centesimi di euro al litro al di sopra della media europea (Rilevazione Stacco Italia Accise a cura di Assopetroli-Assoenergia e Figisc-Anisa, maggio 2019).
Se l’esempio del pesto “pseudo-genovese” insegna qualcosa, l’interrogativo che sorge spontaneo è: l’abolizione dei sussidi chi colpirà davvero? Le prime vittime saranno ancora una volta le migliaia di piccole e medie imprese italiane che lavorano nei settori produttivi che verranno intaccati, molte di esse già in fortissima difficoltà, e poi con esse i comuni cittadini, che vedranno in parte scaricato sul prezzo di beni primari l’aumento del costo energetico.
Il “Rapporto sulla competitività dell’agroalimentare” di ISMEA (Istituto di servizi per il mercato agricolo e alimentare - 2018) mette in chiaro i numeri della filiera agroalimentare nostrana: 61 miliardi di euro di valore aggiunto, 1,4 milioni di occupati, 1 milione di imprese e 41 miliardi di esportazioni. Eppure questo settore, tanto vitale e trainante per la nostra economia, si compone anche di migliaia di piccoli agricoltori e pescatori che, presi singolarmente, percepiscono un reddito annuo prossimo alla soglia di sussistenza. Per questi lavoratori anche una piccola variazione del costo del carburante necessario a svolgere la propria attività può avere effetti esiziali. Per giunta, difficoltà economiche a parte, chiunque abbia una benché minima familiarità con l’agricoltura e la pesca avrà di certo qualche difficoltà nell’immaginare un trattore o un peschereccio non alimentati a gasolio.
L’innovazione è senz’altro auspicabile, ma non si può prescindere dalla situazione attuale, reale e vincolante, progettando fughe in avanti tanto penalizzanti quanto ingiuste, a danno di intere categorie già molto fragili e che, almeno nel breve periodo, hanno le mani legate.
Una situazione analoga si ha per il settore del riscaldamento civile. Chi vive in zone climatiche particolarmente fredde e impervie, sprovviste di alcuna rete di gas metano, ha diritto ha uno sconto sulle accise per gasolio e GPL a uso riscaldamento. Anche questo beneficio rientrerebbe nel catalogo dei cosiddetti sussidi ambientalmente dannosi. Rimuovere queste agevolazioni, tuttavia, non farebbe materializzare dall’oggi al domani la rete di gas metano. Ciò che invece accadrebbe – e che di fatto accade – è ancora una volta un effetto collaterale deleterio: il dilagare di biomasse inquinanti, che non giovano affatto all’ambiente e che, peraltro, godono di ampia incentivazione.
Preme piuttosto sottolineare una soluzione che ha trovato spazio nel Protocollo di intesa che istituisce il “Piano d’azione per il miglioramento della qualità dell’aria” (c.d. “Protocollo Clean Air”) recentemente varato dal Governo, nel quale si prevede la sostituzione, negli impianti termici alimentati a gasolio presenti in aree particolarmente affette dall’inquinamento, del gasolio da riscaldamento con quello tipo autotrazione, conforme alla norma tecnica EN 590. Questa soluzione, da molti anni promossa con forza da Assopetroli-Assoenergia, appare assolutamente vincente sotto tutti i punti di vista: a livello ambientale si ottiene il passaggio a un gasolio con un contenuto di zolfo di ben mille volte inferiore rispetto al gasolio attualmente in uso e a livello socio/economico non ci sarebbero ricadute negative perché le famiglie (come si diceva prima, già svantaggiate dal fatto di vivere in zone spesso molto fredde e impervie) non sarebbero costrette a sostenere decine e decine di migliaia di euro in spese per la sostituzione del generatore di calore.
Il citato Protocollo Clean Air, tuttavia, prevede questa soluzione come una misura transitoria fino al 2024, dopodiché il gasolio, seppur meno inquinante di certe biomasse alle quali si faceva riferimento sopra, sarebbe messo al bando. In ragione dei benefici ambientali ed economici connessi all’uso del gasolio EN 590 per uso riscaldamento e considerata, inoltre, l’estrema residualità del parco caldaie a gasolio, l’auspicio della nostra Associazione è che il gasolio EN590 possa essere utilizzato senza alcuna limitazione né vincolo temporale.
In definitiva Assopetroli-Assoenergia auspica che la revisione dei cosiddetti sussidi ambientalmente dannosi avvenga nella piena consapevolezza delle pericolose ricadute socio-economiche immediate sulle quelle fasce di popolazione tanto svantaggiate quanto fondamentali per il buon andamento economico e per la competitività del nostro Paese. In caso contrario, l’adozione di misure arbitrarie e ingiustificate genererebbe soltanto iniquità sociale e malcontento, di cui abbiamo visto piena manifestazione in Francia con il movimento dei gilet jaunes. Il Governo si trova di fronte a una grande sfida: contemperare obiettivi divergenti quali la competitività e la crescita economica, la coesione sociale e la lotta al climate change. Per ottenere un buon esito, però, la partita deve essere giocata su scala globale altrimenti, a fronte di riduzioni in termini assoluti irrilevanti ma costosissime di GHG, si penalizzano l’economia italiana e quella continentale, perdendo ulteriori quote di PIL e primati produttivi a favore dei competitor globali, in primis USA, Cina, India, ma anche paesi dell’area MENA