Nella sua introduzione alla BP Statistical Review del 2019, il chief economist Spencer Dale dedica al settore dell’energia elettrica uno sguardo poco ottimista, ispirato dal crescente andamento delle emissioni globali di CO2: +2% tra il 2017 e il 2018 (+2,7% se si considera la sola generazione di energia elettrica), +1% all’anno nel decennio 2007-2017. A fronte del processo di elettrificazione, il portafoglio globale delle fonti di energia elettrica appare “piatto in modo deprimente”, con quote di generazione da carbone e fonti non fossili ai livelli di 20 anni fa. Dale parla di “elettrificazione senza de-carbonizzazione” e nota, correttamente, che senza una decisa virata a favore delle fonti prive di emissioni, la produzione globale di energia elettrica (+3,7% nell’ultimo anno censito) si traduce direttamente in maggiore CO2.

Dunque, è utile chiedersi: quali Paesi, pur avendo ulteriormente elettrificato la produzione di energia, hanno ridotto la quota di energia elettrica “pulita”? Da quali fonti dipende l’arretramento, e perché? Utilizzando i dati della BP Statistical Review appena pubblicata, si possono calcolare e confrontare i tassi di crescita dell’energia primaria, della generazione di energia elettrica e della generazione di elettricità da fonti tipicamente considerate pulite almeno con riferimento alle emissioni di CO2 (idroelettrico, nucleare e rinnovabili). Ciò consente di identificare alcuni Paesi che, su un orizzonte temporale breve (2017-18) o più ampio (2007-17) hanno elettrificato senza de-carbonizzare.

Nell’orizzonte di breve termine (2017-18) hanno fatto progressi sull’elettrificazione ma non sulla de-carbonizzazione i seguenti Paesi: Stati Uniti, Trinidad & Tobago, Islanda, Svezia, Ucraina, Uzbekistan, Kuwait, Sudafrica, Indonesia, Filippine, Corea del Sud. Tra questi, desta particolare attenzione la presenza degli Stati Uniti, nei quali l’energia pulita è cresciuta ad un tasso del 2,2%, inferiore al +3,7% delle generazione elettrica complessiva. Si potrebbe ipotizzare che gli Stati Uniti si siano allontanati dal fronte della de-carbonizzazione attraverso scelte ostili alle rinnovabili, ispirate dall’attuale amministrazione, ma l’ipotesi è smentita dai dati. Tra il 2017 e il 2018, negli Stati Uniti l’unica fonte pulita in calo è l’idroelettrico, la cui generazione è diminuita di 8,1 TWh (-2.7%). Le rinnovabili sono invece cresciute del 9,8% e il nucleare dello 0,3%.

Sull’orizzonte decennale, i Paesi a crescente elettrificazione ma a minore de-carbonizzazione sono Francia, Svizzera, Ucraina, Iraq, Giappone, Trinidad & Tobago, Venezuela. Spicca soprattutto la presenza di Paesi che, essendo ad alto reddito, possono incidere significativamente sull’andamento globale delle grandezze in gioco. In Francia, risultano in calo la produzione di energia idroelettrica (-1,6% medio annuo) e nucleare (-1% medio annuo), solo in parte bilanciate dall’incremento delle rinnovabili (+17,4% annuo). Il nucleare francese risente ancora della sospensione cautelativa delle centrali nucleari disposta negli ultimi mesi del 2016. In Giappone, la riduzione delle fonti pulite è da addebitarsi al nucleare (-20,2% medio annuo), ancora lontano dai livelli pre-Fukushima. La Svizzera perde il 3% medio annuo di nucleare e lo 0,3% di idroelettrico, ma guadagna l’11,6% di rinnovabili. Il calo più significativo della produzione nucleare in Svizzera è avvenuto tra il 2014 e il 2017, in corrispondenza delle proteste anti-nucleare e della sospensione del reattore 1 di Beznau, la più antica centrale nucleare in funzione. Analogo fenomeno avviene nell’altro Paese all’avanguardia del nuclear phase-out, la Germania (-5,9% annuo di generazione nucleare nel periodo 2007-2017), ma senza pregiudizio per l’energia pulita grazie all’impetuosa crescita delle rinnovabili. Se potessimo restituire alla Francia il nucleare del 2015 e al Giappone quello del 2010, la produzione di energia nucleare rispetto al 2017 sarebbe maggiore di 302,2 TWh, una cifra ragguardevole, leggermente superiore all’intera generazione di energia elettrica italiana (290,6 TWh nel 2018).

Parlando dell’Italia, nel nostro Paese sono diminuite sia la produzione di energia primaria (-1,1% tra il 2017 e il 2018, -1,6% annuo nel decennio 2007-17) che la generazione di energia elettrica (-1,8% e -0,6% rispettivamente). La flessione nell’energia primaria su scala decennale è più profonda di quelle avvenute in Francia, Germania, Spagna e Regno Unito, almeno in parte a causa della crisi finanziaria, mentre in termini di energia elettrica prodotta, il calo in Spagna e Regno Unito è stato più severo. L’energia pulita avanza nell’ultimo anno osservato (+9,6%) e nel decennio (+11,4% annuo), ma nel 2018 ciò è dovuto solo all’idroelettrico, stante un calo del 2,5% nelle rinnovabili.

La lettura dei dati fornisce indicazioni su alcune insidie connesse alle fonti pulite. La crescita delle rinnovabili continua (+14,5% su scala globale nel 2018), nonostante la frenata di alcuni Paesi (tra cui il nostro) e un apporto europeo sotto la media (+6,1%), ma sembra ancora inadeguata agli scopi delle politiche di mitigazione del cambiamento climatico. Emerge la difficoltà intrinseca di definire un livello “soddisfacente” di penetrazione delle rinnovabili, nel contesto di processi di cambiamento climatico caratterizzati da incertezza radicale e complessità. Recenti contributi nella letteratura accademica evidenziano, peraltro, che una maggior quota di rinnovabili nel parco elettrico costringe il parco termico ad un impiego meno efficiente anche dal punto di vista delle emissioni. Lo stesso ruolo dell’idroelettrico nell’abbattimento delle emissioni è stato messo in discussione da recenti studi sulle emissioni di metano dai bacini delle dighe e richiede ulteriori approfondimenti. Inoltre, è opportuno indagare sugli effetti di retroazione dal clima alla disponibilità di risorse idriche, un tema sentito negli Stati Uniti, dove l’idroelettrico è ben al di sotto dei livelli di produzione raggiunti negli anni ’90 anche a causa della siccità.

Un’altra intuizione suggerita dai dati riguarda i rischi collegati all’impiego della tecnologia nucleare, una fonte pulita rispetto alle emissioni ma non priva di criticità. Come già evidenziato in un precedente articolo di chi scrive, gli interventi a tutela della sicurezza degli impianti nucleari comportano costi ambientali dovuti ad un maggiore ricorso alle fonti climalteranti. A ciò si deve l’arretramento della Francia e del Giappone nel processo di de-carbonizzazione. La quota di energia nucleare ereditata dal passato (circa il 10% su scala globale nel 2018) vincola il mondo su una traiettoria difficile da abbandonare, ma costellata da episodi che rendono più volatile il progresso verso un sistema energetico adeguatamente de-carbonizzato.