Pochi temi di politica energetica sono controversi quanto l’energia nucleare. La discussione, placatasi dopo l’esito referendario del 2011, è stata riaccesa dalla sospensione cautelativa di 18 centrali nucleari in Francia, disposta a fine settembre dall’Autorité de Sureté Nucléaire (ASN) per sospetti di un eccessivo contenuto di carbonio nell’acciaio degli involucri. Trasformando la Francia in un paese importatore, l’improvvisa penuria energetica ha generato pressione sui prezzi dell’elettricità nei paesi confinanti, tra cui il nostro, aggiungendosi al consueto incremento stagionale della domanda. Le prime proiezioni degli effetti per il sistema elettrico italiano ipotizzavano che le esportazioni verso la Francia sarebbero state sostenute da impianti a ciclo combinato altrimenti fuori mercato e prevedevano un aggravio del costo in bolletta per gli utenti italiani tra 1 e 1,5 miliardi di euro (mld. euro) nei mesi successivi all’annuncio delle sospensioni, come riportato da numerose testate.

Da quando Electricité de France (EdF) il 21 settembre ha rivisto al ribasso le previsioni di produzione dalla sua flotta nucleare, è passato un tempo sufficiente per effettuare una prima valutazione di quanto costa al consumatore italiano lo spegnimento dei reattori francesi. Possiamo per il momento quantificare l’impatto sulla spesa per acquisti all’ingrosso, utilizzando i dati GME del mercato del giorno prima (MGP), mentre per una stima degli effetti sulle utenze finali bisogna attendere l’aggiornamento delle tariffe da parte dell’AEEGSI. Elaborazioni sui dati del GME evidenziano che il PUN ha subìto un incremento sostanziale nel periodo d’interesse (22 settembre - 30 novembre). In questo lasso di tempo, periodo in cui le esportazioni italiane verso la Francia sono aumentate in modo considerevole (+232% rispetto alla media del 2016, a fronte di un crollo delle importazioni di energia proveniente da questo paese dell’87%), si è verificato un differenziale medio di 6,56 €/MWh sul 2015, con un picco il 14 novembre, durante un’ora della giornata, di +49,78 €/MWh rispetto allo stesso giorno del 2015. Il dato risulta ancora più significativo se si tiene conto che fino ai primi di ottobre, il 2016 si è caratterizzato per prezzi sul MGP mediamente più bassi che negli anni precedenti. A titolo di esempio, nel periodo estivo il PUN delle ore 12 è stato in media inferiore di 16,96 €/MWh  rispetto allo stesso periodo del 2015.          

Stime di un semplice modello econometrico su dati del GME suggeriscono che nel periodo critico in esame il PUN sia aumentato, in media, non più del 25% nelle ore diurne rispetto ai due anni precedenti, e che vi siano stati incrementi molto più contenuti (non oltre il 15%) nelle ore notturne. Dato che la spesa sul MGP nel bimestre ottobre-novembre 2016 è stata pari a circa 2,8 mld. euro, un aggravio di spesa sul MGP intorno ai 500 milioni di euro in quel bimestre (il 20% dei 2,8 mld.) non sembra una stima irragionevole. Se le condizioni non migliorano, in quattro mesi si potrebbe giungere al miliardo inizialmente paventato.

E’ importante però non sopravvalutare questa stima. La maggior spesa per consumi energetici può tornare agli utenti sotto forma di reddito, poiché si traduce in maggiori guadagni per gli azionisti delle società di generazione e migliori prospettive per i loro dipendenti. Gli operatori di centrali a ciclo combinato, in particolare, hanno l’opportunità di alleviare almeno temporaneamente il sottoutilizzo dovuto al boom delle rinnovabili. A tal proposito su Milano Finanza del 24 novembre, Barbara Pianese ipotizza aumenti di redditività per Enel, A2A e Iren. La contrazione dell’offerta di energia nucleare dalla Francia, dunque, potrebbe aver generato risorse utili a fronteggiare almeno in parte l’aggravio di spesa. Il condizionale è d’obbligo, perché i corsi azionari delle società in questione non sembrano aver reagito agli annunci di EdF e dell’ASN di fine settembre e il recupero in Borsa Valori, in atto da metà novembre, può essere legato ad altri fattori (nel caso di Enel al nuovo piano strategico).

Le dinamiche del prezzo nella borsa elettrica, innescate dallo spegnimento dei reattori francesi, hanno implicazioni anche sulle bollette per gli utenti finali. Il rialzo dei prezzi sul MGP fa presagire un aumento della componente energia in bolletta; d’altro canto, comporta anche un risparmio sugli incentivi per le rinnovabili non fotovoltaiche con potenza superiore a 1 MW (ai sensi del DM 6 luglio 2012) e a 0,5 MW (DM 23 giugno 2016), calcolati come differenze tra la tariffa incentivante base e il prezzo zonale di riferimento per l’impianto. Il meccanismo d’incentivazione, infatti, interviene con minori risorse proprio quando i prezzi di mercato crescono, perché in quel caso le fonti rinnovabili hanno meno bisogno di un sussidio per coprire i costi. Incrementi degli oneri di sistema, la componente in bolletta che finanzia gli incentivi all’energia verde, sarebbero dunque ingiustificati.

La sospensione delle centrali nucleari francesi può dunque stimolare nuovi investimenti nelle fonti rinnovabili a costi più contenuti per la collettività, ancor più se il prezzo di mercato si mantiene stabilmente alto. E’ essenziale a tal proposito prendere in considerazione le aspettative sulla durata della sospensione. Nonostante i segnali incoraggianti diffusi dall’ASN in una nota del 5 dicembre, qualora la contrazione della capacità produttiva francese dovesse protrarsi più del previsto, i comportamenti degli operatori e degli utenti si adatterebbero: nel senso di una maggiore diffusione di tecnologie ad alta efficienza energetica, che consentirebbero di ridurre i costi in bolletta, e delle fonti rinnovabili, rese più redditive dai prezzi elettrici elevati. Quest’ultima tendenza, peraltro, porterebbe a calmierare i prezzi sul MGP per l’effetto di spiazzamento delle fonti fossili. L’aggravio di costi in bolletta è dunque un problema nel breve termine, ma può alleggerirsi nel lungo periodo.

Quanto osservato finora vale per i costi monetari, cui bisogna aggiungere i costi ambientali, che sono di difficile quantificazione. A tal proposito, occorre notare che l’uso più intenso degli impianti a gas in Italia comporta un aumento delle emissioni climalteranti a danno anche dei paesi limitrofi; e che le misure adottate dall’autorità francese sono volte a mitigare il rischio di un incidente nucleare, cui sono esposti anche i paesi confinanti. Se è vero che l’interconnessione tra i mercati ci impone il pagamento di una bolletta energetica più salata, è anche vero che l’autarchia energetica non ci proteggerebbe dagli incalcolabili danni di un disastro nucleare.

In conclusione, i reattori spenti in Francia sembrano aver fatto lievitare la spesa energetica in linea con le previsioni iniziali, ma i maggiori costi vanno valutati in relazione ai benefici per gli operatori italiani e per il sistema d’incentivazione delle rinnovabili, e soprattutto alla luce di un dilemma: maggiori emissioni di gas serra in cambio di una maggior sicurezza dei reattori.