Come è noto, le imprese di distribuzione del gas naturale con più di 50.000 clienti finali – al pari delle imprese di distribuzione di energia elettrica - (c.d. “soggetti obbligati”) sono tenute ad adottare misure di incremento dell'efficienza energetica negli usi finali dell'energia, secondo obiettivi determinati dai competenti Ministeri (cfr. art. 16, D.Lgs. n. 164/2000).

Con appositi decreti ministeriali sono stabiliti gli obiettivi quantitativi annui globali a livello nazionale, nonché il sistema di ripartizione in capo a ciascun distributore obbligato.

Tali obiettivi devono essere conseguiti con il c.d. meccanismo dei certificati bianchi (TEE): i soggetti obbligati possono adempiere alla quota d’obbligo anche realizzando direttamente i progetti di efficienza energetica, ma essi, nella pratica, acquistano per lo più i titoli attraverso le negoziazioni sul mercato dei TEE gestito dal Gestore dei Mercati Energetici (GME) o attraverso transazioni bilaterali.

Tali soggetti sono quindi portatori di una domanda di mercato di TEE che non è la libera espressione di esigenze e interessi propri dell’operatore economico, ma è piuttosto la diretta risultante di obblighi normativi, introdotti allo scopo di favorire il raggiungimento degli sfidanti obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni ed, in particolare, di fornire la “massa critica” necessaria per il funzionamento di un mercato di titoli di efficienza energetica.

I distributori sono quindi chiamati dal Legislatore ad assolvere ad un compito di interesse pubblico.

Per questa ragione i costi per l’assolvimento di tale compito non devono rimanere a carico dei soggetti obbligati, ma sono oggetto di un contributo tariffario in base ad appositi provvedimenti ministeriali, che, nel demandarne la concreta determinazione all’attuale ARERA, hanno sempre esplicitato che tale determinazione deve avvenire in una logica di copertura dei costi, ancorché non necessariamente a piè di lista; per questo il criterio fondamentale di determinazione fissato in sede ministeriale è quello dell’andamento del prezzo dei Certificati Bianchi riscontrato nel mercato (art. 9, D.M. 28.12.2012; art. 11, D.M. 11.1.2017).

Negli ultimi anni è tuttavia accaduto che l’Autorità, di fronte all’esigenza di contenere le dinamiche crescenti dei prezzi dei TEE – dalla stessa analizzate nell’indagine conoscitiva conclusa nel maggio 2017 –, abbia ritenuto che questa esigenza potesse essere soddisfatta incentivando il comportamento efficiente sul mercato dei soggetti obbligati e, a tal fine, indebolendo e, per certi versi, addirittura, escludendo la correlazione tra il contributo tariffario relativo ad un determinato anno d’obbligo e i prezzi registrati nel mercato dei TEE per il medesimo anno.

Ciò è avvenuto, nell’ambito della Deliberazione 435/2017/R/efr, soprattutto attraverso il passaggio dal criterio di cassa al criterio di competenza, stabilendo di erogare ai distributori sempre il contributo previsto per l'anno d'obbligo, a prescindere se il titolo fosse stato acquistato nello stesso anno d'obbligo o nell'anno successivo, come consentito – nel limite del 40% del totale dell'obbligo annuale –, mentre precedentemente vi era piena corrispondenza tra anno di acquisizione del titolo e anno a cui si riferiva il contributo.

In questo modo si elideva il nesso obbligatorio – per dettato normativo – tra l’andamento dei prezzi dei TEE in un certo anno e i criteri di determinazione del contributo tariffario per quell’anno, con potenziale e incontrollato incremento dell’onere a carico dei soggetti obbligati, in presenza di una tendenza oggettiva all’innalzamento dei prezzi dei titoli. Riscontrandosi una tale tendenza, peraltro, ne risultava anche neutralizzata la flessibilità temporale riconosciuta ai distributori nell’assolvimento dell’obbligo annuale (nell’arco, attualmente, di tre anni e, all’epoca della Delibera 435, di due anni), in quanto questi sarebbero stati costretti ad acquistare i titoli nel medesimo anno d’obbligo, se non volevano subire, come onere a proprio carico e, di fatto, come una “sanzione”, il successivo incremento dei prezzi, non più coperto dal contributo. “Sanzione” che appariva ingiustificata, considerato che la flessibilità accordata ai distributori derivava dalla presa d’atto che il mercato dei TEE è un “mercato corto”, cioè con scarsità di titoli resi disponibili sul mercato stesso, che poteva non consentire ai soggetti obbligati – non per loro colpa o negligenza – il raggiungimento dell’obiettivo ad essi assegnato direttamente ed interamente nel corso del corrispondente anno d’obbligo.

La finalità, assolutamente condivisibile, di contenere i contributi tariffari e, quindi, i correlati oneri che gravano sui clienti finali, dovrebbe essere perseguita, a nostro avviso, alla stregua delle indicazioni normative, attraverso misure idonee ed efficaci ai fini del controllo dei prezzi, non semplicemente disancorando sempre più le modalità di determinazione del contributo tariffario dall'andamento dei prezzi stessi, in contrasto con l'art. 11 del D.M. 11.1.2017. Ciò, infatti, comporta semplicemente che dinamiche non governate di incremento dei prezzi vengano a gravare, anziché sugli utenti, sui distributori.

Quanto avvenuto successivamente ha confermato che si trattava di considerazioni non prive di fondamento. L’impennata dei prezzi dei TEE registratasi recentemente (da un importo medio unitario di poco più di € 200 nel giugno 2017, si è giunti sino a € 480 nel febbraio 2018) ha messo in evidenza come l’anomalo e inefficiente funzionamento di questo mercato sia un dato strutturale e come l’antidoto non possa essere rappresentato da misure restrittive che intenderebbero orientare il comportamento di mercato di soggetti che, in realtà, proprio in quanto “soggetti obbligati”, sono portatori di una domanda “vincolata”.

Tant’è che, con il D.M. 10.5.2018, sono state adottate misure nette ed esplicite con effetto di calmiere, attraverso soprattutto la possibilità per il GSE di emettere “TEE virtuali” (non corrispondenti a progetti di efficienza energetica), al prezzo massimo di 260 euro.

L’Autorità, dal suo canto, dopo aver inizialmente rinviato l’introduzione del criterio di competenza a partire dal 2018 in modo graduale (cfr. Deliberazione 634/2017/R/efr), ha poi ritenuto di sospendere tale misura con la Deliberazione 487/2018/R/efr; non ha, tuttavia, definitivamente abbandonato la logica di introdurre misure che, senza aderenza alle effettive dinamiche di mercato, hanno semplicemente l’effetto di porre a carico dei soggetti obbligati maggiori oneri allo scopo di contenere il contributo tariffario: questa volta ciò è avvenuto, con la citata Delibera 487, attraverso l’introduzione, nella formula di calcolo del contributo, di prezzi correlati agli scambi bilaterali che non sono rappresentativi dei prezzi effettivi del mercato dei bilaterali o di una sua porzione, in quanto si prevede di applicare all’intero volume degli scambi bilaterali il prezzo medio dei soli titoli scambiati bilateralmente al di sotto del prezzo unitario di € 250, a prescindere dal prezzo medio effettivo registrato con riferimento all’intero volume degli scambi bilaterali.