La proposta di legare il prezzo dei combustibili fossili all’euro piuttosto che al dollaro USA è oggetto di dibattitto ormai da tempo, almeno in Europa, e non rappresenta di certo una novità dell’ultima ora, anche se spesso è stata connotata da caratteristiche puramente politiche. Ma il documento pubblicato lo scorso 5 dicembre dalla Commissione europea e firmato dal suo vicepresidente Valdis Dombrovskis e la relativa consultazione, tuttora attiva rivolta a tutti gli operatori pubblici e privati che svolgono un ruolo nei mercati finanziari e nella compravendita di commodities energetiche, hanno accesso nuovamente i riflettori sull’argomento.
Di fatto l’esecutivo comunitario, con la raccomandazione in merito al ruolo internazionale dell'euro nel settore energetico ha fornito tutta una serie di indicazioni ai paesi membri volte, tra le altre cose, a limitare l’enorme peso del dollaro USA nelle transazioni e a tentare di controllare la politica di stampo fortemente protezionistico del presidente Donald Trump. In realtà, il termine “dollaro” non compare mai nel testo del documento, ma è evidente che dietro la necessità di rafforzare il ruolo della divisa europea nell’ambito degli scambi di energia si nasconda il “fastidio” causato dal fatto che la stragrande maggioranza delle transazioni vengano effettuate con la valuta statunitense.
Il grido di allarme lanciato dalla Commissione muove innanzitutto dalla portata per nulla trascurabile che le commodities energetiche hanno per l’economia del Continente. L’Europa è infatti il più grande importatore di energia, con il 70% del fabbisogno di gas naturale e il 90% di quello di petrolio che vengono soddisfatti tramite l’utilizzo di prodotto importato. Si tratta di un capitale enorme, in termini di transazioni, quantificato in oltre 40 trilioni di euro all’anno. Transizioni che per un 90% vengono effettuate in valuta diversa dall’euro, con il dollaro USA che, come detto, gioca la parte del leone.
Se poi allarghiamo l’analisi a tutti i prodotti legati al settore Energy dell’Unione europea, il dato che emerge è ancora più significativo: nel corso degli ultimi cinque anni la “fattura media annuale” per le importazioni di prodotti energetici ammonta a ben 300 miliardi di euro. Anche in questo caso, la stragrande maggioranza dei contratti a lungo termine che disciplinano le importazioni energetiche nell'UE (stimata all'80-90%) non è denominata in euro, nonostante la maggior parte delle importazioni nell'UE provenga dalla Russia (circa il 34%), dal Medio Oriente e dall'Africa (circa il 33% cumulativamente) e dalla Norvegia (circa il 20%, grosso modo ripartito a metà fra petrolio e gas, quest'ultimo consegnato con contratti denominati in euro).
Vi è poi un’altra ragione che giustifica lo sforzo dell’Unione europea verso un euro più presente nel comparto dell’energia: la sua assenza in quello che si propone essere come uno dei mercati cruciali nel panorama finanziario globale, ovvero il mercato petrolifero. In questo mercato è il dollaro USA a fare il bello ed il cattivo tempo, e, ad oggi, non vi sono parametri di prezzo per il barile che si presentino denominati in Euro.
Quanto affermato appena sopra risulta evidente se consideriamo il benchmark di riferimento per il greggio estratto nel Mare del Nord, ovvero il Brent: anche se si tratta del marker europeo, infatti, la denominazione dello stesso vede il dollaro USA come protagonista e non la divisa UE.
Pertanto, sulle base di queste premesse e in ragione anche del fatto che l’euro è la seconda valuta più utilizzata su base globale dopo il dollaro USA, secondo la Commissione i paesi membri dovrebbero assolutamente promuovere un’espansione dell’utilizzo dell’euro nelle transazioni effettuate con paesi terzi. L’invito è esteso anche agli organismi centrali di stoccaggio, ai partecipanti dei mercati europei dell'energia e alle agenzie di rilevazione dei prezzi le quali dovrebbero agevolare il varo di parametri di riferimento dei prezzi denominati in euro per il petrolio greggio.
Un invito che, anche a seconda di come si concluderà la consultazione ad oggi in corso, potrebbe presto diventare un ordine.