Un fenomeno “dilagante”, “degenerativo”, che sta “sfigurando” il settore, cambiandone letteralmente i connotati. Si fanno sempre più fosche e cruente le descrizioni del fenomeno delle frodi nella distribuzione carburanti. E mentre i toni si alzano, la realtà continua ad andare per i fatti propri, le transazioni sospette si moltiplicano, il giro d’affari del circuito parallelo continua ad aumentare. Una quantità di denaro che viene in parte “reinvestita” nell’acquisto di punti vendita e depositi, alimentando la metamorfosi del settore, e in parte finisce probabilmente a quel “secondo livello” della criminalità organizzata che diverse inchieste della magistratura hanno individuato come punto di regia e controllo del fenomeno.
Al quadro normativo manca ancora una circolare interpretativa, quella relativa al comma 943 della Legge di bilancio del 2018 sul pagamento anticipato dell’Iva. Circolare che è rimasta sospesa tra il ministero dell’Economia e l’Agenzia delle Entrate. E su cui, a quanto pare, la filiera non è compatta. Ma non è l’unico punto rimasto sospeso. Un paio di settimane fa il deputato di Fratelli d’Italia Federico Mollicone ha presentato un’interrogazione a risposta scritta ai ministeri dell’Economia e dello Sviluppo economico. Il Governo, ha chiesto, intende attuare il piano straordinario triennale di controlli contro le frodi nel settore dei carburanti? L’obbligo di fatturazione elettronica nella parte “B2B” della filiera, in vigore dallo scorso primo luglio, ha potenziato il contrasto alle frodi? Il Governo intende attivare un tavolo di confronto con le associazioni di categoria sul tema?
Insomma, le maglie non sono ancora sufficientemente strette e, nonostante il lavoro di indagine e repressione delle forze dell’ordine, pochi sono i risultati effettivi nel contrasto al fenomeno.
Il paradosso è che tutto nasce con la liberalizzazione del settore, in particolare con l’affrancamento dall’obbligo di esclusiva e con la conseguente trasformazione di tanti punti vendita “colorati” in pompe bianche. Il problema, come ha recentemente sottolineato il presidente di UP Claudio Spinaci, è che il sistema di sicurezza del settore era tarato su un mercato “concentrato” e sostanzialmente centralizzato. Ora che il sistema è polverizzato, si sono moltiplicati gli interstizi in cui si annidano pratiche illecite. Interstizi che potrebbero valere anche un quarto del mercato.
Il punto è che diversi operatori sono già arrivati a gettare la spugna, nonostante gli sforzi delle associazioni di settore per arginare la deriva. In una realtà economica in cui, oltre tutto, il tradizionale presidio delle grandi società petrolifere è sostanzialmente venuto meno. La speranza di riportare il mercato su binari di legalità inizia ad affievolirsi. E tanti iniziano a pensare che quello che manca sia la volontà politica di affrontare il problema di petto.
Un problema che non riguarda solo i punti vendita carburanti sulla rete stradale: c'è infatti l’aspetto dell'extrarete, ovvero delle forniture al di fuori delle stazioni di servizio, a società di autotrasporto, a enti pubblici, e per tutti quegli usi che non passano dai “benzinai”. Un comparto in cui la degenerazione ha raggiunto livelli che in molti giudicano irreversibili. Molti grossisti hanno ormai abbandonato anche solo l’idea di rifornire il mercato extrarete – soprattutto l’autotrasporto e le gare bandite dagli enti pubblici – che è diventato ormai appannaggio o dei “big” o di operatori spregiudicati, con questi ultimi che riescono a offrire ribassi sulla base d’asta vicini al 50%.
Un circuito in cui i due canali – rete ed extrarete – si alimentano a vicenda. Sull’extrarete i pagamenti sono a 30, 60 o 90 giorni, e spesso i compratori hanno un più alto rischio di morosità. Per cui le vendite sulla rete servono a garantire liquidità. E mentre sulla rete, con grande fatica, il livello di attenzione sembra essersi alzato negli ultimi tempi, l’extrarete resta un far west in cui i nuovi “trader” spadroneggiano sostanzialmente indisturbati.
Una situazione tanto più preoccupante dal momento che, almeno nelle gare, gli strumenti per controllare e segnalare offerte anomale ci sarebbero. Ma a quanto pare vengono utilizzati meno di quanto sarebbe opportuno. Anche perché, evidentemente, le offerte sono talmente allettanti per i bilanci di alcuni enti pubblici da spingere a non andare troppo per il sottile.