Il revamping degli impianti da fonti rinnovabili rappresenta una sfida imprescindibile per lo scenario energetico dei prossimi anni in Italia. Fino ad oggi il tema era relegato agli addetti ai lavori, ma è evidente che assume tutt’altro valore se lo si guarda dentro la prospettiva di un Paese che da qui al 2030 dovrà come minimo triplicare le installazioni di fotovoltaico e aggiungere almeno altri 6.000-7.000 MW di eolico.
La riflessione che occorre aprire non è semplice, ma interessante perché riguarda l’idea di come accompagnare le trasformazioni del territorio attraverso interventi capaci di integrarsi nel paesaggio e di rispettare gli equilibri degli ecosistemi. Occorre considerare anche l'idroelettrico in questo processo, poiché il grande patrimonio di dighe, centrali e sistemi di pompaggio - costruito tra la fine del XIX secolo e l'inizio del novecento - rientra di diritto in questo dibattito. Come Legambiente riteniamo che la sfida che il nostro Paese ha di fronte passi proprio dalla capacità di tenere assieme la tutela del territorio - in uno scenario in cui gli impatti dei cambiamenti climatici saranno purtroppo sempre più forti - e un’incisiva crescita della produzione da energie pulite.
A breve avremo una scadenza entro cui questi temi dovranno essere affrontati: entro il 2018, infatti, il nostro Paese dovrà elaborare la bozza del Piano energia e clima che rappresenta il perno della nuova governance europea per raggiungere gli obiettivi fissati al 2030. La novità importante è che con il Piano si dovranno individuare le scelte da intraprendere e le barriere da superare per rendere possibile quello scenario, nonché gli incentivi e le regole autorizzative, in un quadro in cui si riduce il costo delle tecnologie e aumenta la possibilità di integrare impianti con reti e sistemi di accumulo.
Il tema delle procedure per l'autorizzazione di interventi sugli impianti esistenti, sostituendo turbine, pale e pannelli con nuove tecnologie per aumentarne la produzione è sicuramente una delle questioni più rilevanti. Così come la gestione del revamping di questi impianti perché, a seconda della fonte rinnovabile scelta, vi sono problematiche e impatti differenti.
Nel caso dell’eolico la questione fondamentale legata agli interventi di revamping è il paesaggio. E' inutile girarci intorno, se il nostro Paese vuole spingere verso questa prospettiva dovrà individuare una procedura trasparente e semplificata di valutazione dei progetti che oggi non esiste. L’eolico rischia di rimanere bloccato da un pregiudizio negativo, in particolare da parte delle Soprintendenze, e da un quadro di vincoli territoriali che si è andato ampliando e articolando in questi anni (pensiamo alle aree dei siti Natura 2000 che coprono quasi il 20% del territorio nazionale), in molti casi anche modificando i riferimenti delle tutele rispetto a quando l'impianto era stato costruito.
Inoltre, ha senso valutare un intervento di revamping come se fosse un impianto nuovo? Noi pensiamo di no e riteniamo che si debba prevedere una procedura che permetta di mettere sul tavolo anche le informazioni acquisite in questi anni (ad esempio sulla fauna e avifauna presente), le infrastrutture già realizzate (strade, cavidotti) e come cambia la percezione dell’impianto tra la situazione attuale e il nuovo layout. Per esempio, una cosa importante da tenere in considerazione è che oggi diventa possibile aumentare la producibilità dei parchi eolici esistenti pur riducendo il numero delle torri.
Ancora, ha senso affrontare il tema perché in Italia la risorsa vento è distribuita in alcune regioni e aree specifiche e molti di questi impianti attualmente in funzione richiedono sin da ora un ripensamento e una ri-progettazione che nel corso dei prossimi anni diventerà sempre più stringente a causa della cessazione degli incentivi. L’interesse ambientale e pubblico ad intervenire in queste aree attraverso politiche attente è dunque duplice. Da un lato riguarda il paesaggio, perché si può migliorare l’inserimento e affrontare eventuali questioni emerse successivamente alla realizzazione (ad esempio una lettura del paesaggio in cui è inserito l’impianto che consideri l’effetto selva che con altri progetti installati successivamente si è venuto a produrre); dall’altro, riguarda la riduzione della spesa pubblica per gli incentivi, trattandosi di aree non “vergini” e vista la riduzione del costo delle tecnologie riscontrato in questi anni.
Per quanto riguarda il solare fotovoltaico, il tema del revamping non ha ancora assunto l'urgenza dell’eolico, in quanto il ciclo di vita dei più grandi progetti incentivati non si concluderà a breve; tuttavia, dovrà essere comunque affrontato a stretto giro in ragione della crescita di questa tecnologia in termini di dimensione e produzione. La questione che nel solare deve essere guardata con attenzione riguarda la capacità di integrazione degli impianti sui tetti e a terra nei diversi territori. L’obiettivo è quello di evitare un consumo di suolo eccessivo (sfruttando ad esempio aree dismesse, capannoni, parcheggi, ecc.) e di sottrarre spazio all’agricoltura. Il solare vive una situazione unica rispetto alle altre rinnovabili, poiché nei prossimi anni sarà sempre più sostenibile economicamente e potrà contare sempre meno sugli incentivi. Il paradosso italiano è che il fotovoltaico in Italia è vietato nelle aree agricole se incentivato, mentre se non incentivato ha regole poco chiare e contraddittorie. È necessario quindi definire regole circa l’integrazione nei territori sia per i nuovi impianti che per quelli esistenti.
Una delle sfide più complesse del revamping riguarda l’idroelettrico, in ragione del fatto che nei prossimi anni sarà sempre più complicata la gestione di una risorsa delicata come quella idrica. Questi impianti sono stati costruiti molti decenni fa, con attenzioni molto diverse da quelle che si avrebbero oggi rispetto agli ecosistemi fluviali, alla biodiversità e alla concorrenza nell'uso della risorsa idrica (ad esempio per gli usi agricoli, industriali e urbani). La sfida attuale consiste nell’aumentare la produzione, attraverso interventi sulle tecnologie e i sistemi utilizzati, e nel migliorare la gestione ambientale della risorsa idrica (pulizia delle dighe, rilasci programmati, ecc.) e della biodiversità. Inoltre, riguarda anche il contributo sempre più importante che nei prossimi anni svolgerà l'accumulo di energia (presente in diversi impianti, attraverso il pompaggio) in un sistema energetico dove il ruolo e il peso delle energie rinnovabili crescono sempre di più. Anche qui si aprono notevoli opportunità, tramite una progettazione capace di tenere assieme le questioni sopracitate, ma è necessario che i processi autorizzativi e le regole per le concessioni idriche rendano trasparenti i vantaggi pubblici e ambientali.
Ripercorrendo le diverse problematiche da tenere in considerazione quando si parla di eolico, solare ed idroelettrico, e le diverse prospettive di intervento legate al revamping, si comprende quanto sia urgente definire delle procedure semplificate che garantiscano al tempo stesso la trasparenza delle decisioni e il coinvolgimento dei cittadini. In particolare, quello del rapporto con il territorio e le comunità è un tema che non si può continuare a eludere o rinviare. Oltretutto, con l’approvazione della nuova Direttiva europea sulle rinnovabili, saranno presto favoriti gli impianti che distribuiscono direttamente l'energia rinnovabile prodotta sui territori locali (le “energy communities”) o promossi da coloro che la consumano direttamente in loco (i “prosumer”, produttori-consumatori).
Non è scappando dal confronto che si risolvono i problemi, ma piuttosto occorre guidare la comunicazione e l'interlocuzione con gli stakeholders presentando in maniera chiara i benefici dei progetti e spiegando come sono stati affrontati i problemi di natura ambientale e paesaggistica. Solo la disponibilità ad ascoltare, ad entrare nel merito delle soluzioni, a valutare compensazioni territoriali, ed eventualmente a modificare i progetti iniziali, può sconfiggere l’aumento della sindrome Nimby che interessa anche i progetti da fonti rinnovabili. Va assolutamente scongiurata la prospettiva per cui impianti eolici o solari, proprio ora che sono diventati competitivi anche su un piano economico, finiscano per essere fermati da proteste diffuse.