Il futuro, si sa, è sempre diverso da come lo si immagina. Eppure, sull’automobile e sulla sua evoluzione, complice anche molta semplificazione giornalistica, è diventato di gran moda sparare sentenze.

Parte di tale semplificazione, tanto ostentata quanto sciocca, potrebbe essere spiegata con l’evoluzione stessa del mondo dell’informazione, sovente costretto a finanziarsi con notizie acchiappa click, che a loro volta dovrebbero portare se non laute, almeno mirate inserzioni pubblicitarie. 

Il fenomeno è globale ma, partendo dagli ultimi dati relativi alle vendite di auto nuove in Italia, possiamo fare un esempio citando un titolo di un pur autorevole quotidiano: “Diesel addio, ecco i modelli ibridi più gettonati”. Per ironia della sorte, la pubblicità mirata che fa da sfondo all’articolo (ci riferiamo ad un pezzo online dove, appunto, si contano spesso i click) è di un bel suv diesel.

Le auto ibride (quelle che hanno un motore a combustione interna e almeno uno elettrico) in verità nel nostro Paese si vendono piuttosto bene con significativi tassi di crescita: nel 2017 hanno messo a segno un notevolissimo +71% e nel primo quadrimestre 2018 si sono attestate al +37,8%. Una buona performance, indubbiamente, anche perché le auto ibride, a differenza di quelle elettriche (neanche lo 0,16% delle vendite totali), non sono delle mosche bianchissime, avendo una fetta di mercato del 3,8%. Stanno andando così bene che nel 2017, come immatricolazioni annue, hanno superato quelle a metano (che negli ultimi mesi è in grande ripresa) e sono sempre meno distanti dalle vendite di automobili alimentate a GPL che, con un peso pari al 6%, del totale sono ancora le incontrastate leader delle alimentazioni alternative. Tuttavia, almeno dal punto di vista matematico, sarebbe più corretto chiamarle complementari, visto che le vendite di auto nuove che per muoversi usano soltanto un motore - peraltro sempre più efficiente e quindi ecologico – a diesel o benzina, superano infatti l’87%, con le prime che da sole rappresentano più della metà delle immatricolazioni totali. A voler essere più precisi, ad aprile 2018, la flessione del 3,7% nelle vendite di auto diesel (quasi 3,6 mila unità in meno) è stata più che compensata dalle vendite di automobili a benzina (+16%, oltre 8 mila unità in più).

Le cose, poi, si complicano e di molto quando dal mercato delle auto nuove si passa al parco circolante. Qui occorre fare una piccola premessa: l’automobile è indubitabilmente stata una delle innovazioni più significative e iconiche del XX secolo. Tanto che l’avvento e il successo della motorizzazione di massa hanno inciso profondamente sugli stili di vita e anche sulla nascita e sullo sviluppo degli agglomerati urbani. L’automobile è stata ed è tuttora motore della crescita economica, anche perché è, e di gran lunga, il più sofisticato e costoso dei beni durevoli. Un bene che può avere diversi proprietari e non certo una data di scadenza.

Naturalmente, non bisogna essere grandi esperti per sapere che le automobili nuove, oltre ad essere molto più sicure, consumano ed inquinano molto meno delle vecchie; da qui tutta una serie di misure volte a svecchiare il parco circolante italiano che, dal 2015 è ritornato ad avere un’età media superiore ai 10 anni.

Tuttavia, sovente, ci si dimentica dell’ovvio: non è affatto detto che una vecchia auto Euro0 inquini davvero molto di più di una nuova Euro6. Ciò dipende infatti da come la si usa, se con l’Euro0 si percorrono un paio di migliaia di km l’anno e con l’Euro6 diverse decine è tutto da vedere, sia che si tratti di ibrido, diesel di ultimissima generazione o elettrico. Se poi l’auto nuova fosse costretta a percorrere le devastate strade della nostra Capitale il confronto sarebbe impietoso.

Cimentarsi con il parco circolate dunque è questione complessa. Se poi si volesse ragionare su come stimolare la domanda di vetture alternative e sostituire il vastissimo parco circolante italiano, oggi superiore a 37 milioni di automobili, c’è materia per angosciarsi. Scartata l'ipotesi di bloccare d'imperio la circolazione dei veicoli diesel e benzina – ipotesi per ovvi motivi del tutto impraticabile in un Paese democratico – resta il tema degli incentivi più meno significativi e delle penalizzazioni.

Anche su questo molto si può argomentare, per esempio su come possa essere equo e sostenibile far pagare a un residente di Buddusò, Roccapipirozzi, Barletta o Crotone un incentivo di cui beneficia un’auto che circola a Milano centro. Per inciso, due terzi degli italiani non vivono in città metropolitane.

Qui ci limitiamo a rilevare che l’Italia ha – a differenza di molti altri Paesi – una significativa presenza di auto “alternative”, non troppo lontana dal 9% del totale circolante grazie a GPL e metano, alimentazioni in cui l’industria nazionale da sempre eccelle e che possono essere utilizzati anche su auto non nuove. Inoltre, non è sufficiente che si vendano auto nuove perché queste impattino in maniera duratura sul parco circolante. Per esempio, le vendite di auto ibride nuove stanno andando benissimo, tuttavia finora non hanno avuto lo stesso successo sul mercato dell’usato, cioè sono rimaste meno in circolazione nel parco. Chi comprerebbe infatti un’auto usata da un tassista? O anche una vettura le cui batterie abbiano più di 10 anni?

Certo, non è così fantasioso ipotizzare che, a tendere, l’offerta di auto ibride cresca significativamente, anzi si potrebbe dire che tutte o quasi le auto di un prossimo futuro abbiano almeno un motore elettrico (è in arrivo la prima Ferrari ibrida non speciale), ma questo non significa affatto che queste non consumeranno più benzina, gasolio o gas naturale, ma solo che ne utilizzeranno meno.

Se infine la domanda fosse quanto tempo ci vuole per togliere dalle strade tutte o quasi le auto alimentate con diesel o benzina, sostituendole con una nuova alimentazione – quale ad esempio l’energia elettrica o l’idrogeno -, be’, sarebbe un po’ come chiedersi quanto tempo ci vuole per azzerare il debito pubblico italiano. Una domanda che comunque sarebbe anche poco sensata, visto che l’importante è che il debito – così come il parco circolante – sia sostenibile.