Il futuro della raffinazione europea, l'accordo tra Paesi Opec e non Opec, il futuro della mobilità. Di questi temi abbiamo discusso con il professor Giulio Sapelli.

Cosa deve fare l'Europa per mantenere un asset strategico come quello della raffinazione?

Innanzi tutto bisogna individuare da dove viene il “pericolo”: dai prodotti raffinati americani, non solo da quelli asiatici. Gli Stati Uniti hanno risolto il tema della raffinazione: hanno una legislazione meno dura e margini più alti. E anche per questo fanno dei prodotti qualitativamente migliori. Poi bisogna considerare che la raffinazione che abbiamo non è perduta. Per questo bisognerebbe fare un po' più di lobby sulle istituzioni europee. Questa idea del 20-20-20 è pazzesca, non è sostenibile. I criteri sono troppo alti.

Infine bisogna seguire la via della green chemistry, come sta facendo ad esempio l'Eni. Oggi abbiamo tutte le tecnologie ma questo richiede dire grandi investimenti. Investimenti che dovrebbero essere cofinanziati dall'Europa. Abbiamo dato soldi a non finire a tutte le industrie, pensiamo alla siderurgia. Abbiamo fatto una politica agricola che ha in certi anni assorbito oltre la metà dei budget europei.

Salvare la raffinazione non vuol dire salvare l'industria petrolifera. Vuol dire salvare l'industria farmaceutica, chimica, anche gran parte dell'agroindustria. Bisogna fare una politica che punti a far riconoscere che salvare la raffinazione significa salvare tutto un sistema industriale.

In questo contesto può giocare un ruolo anche l'aggregazione tra operatori?

Questo va fatto con grande attenzione. Nell'M&A si disperde molto valore, si perdono posti di lavoro. In questa situazione così drammatica sarebbe meglio se riuscissimo a produrre valore con gli investimenti.

Torniamo negli Stati Uniti. Quanto ha inciso la rivoluzione del tight oil nel successo della raffinazione americana?

Il tight oil richiede un'alta raffinazione. Loro sono riusciti a esprimere potenza tecnologica e hanno resistito, sono stati molto resilienti rispetto all'offensiva saudita. E adesso producono molto e bene.

Cosa cambierà con Trump?

Loro avranno le mani ancora più libere, si impegneranno in progetti più grandi. Che non vuol dire che inquineranno di più. Vuol dire che faranno di più. Detto questo, credo che le conseguenze più rilevanti le vedremo in politica estera, negli accordi con la Russia e con le major asiatiche per contrastare i cinesi.

Che giudizio dà dell'accordo sul taglio di produzione tra Paesi Opec e non Opec?

Lo trovo positivo perché per la prima volta abbiamo messo assieme in modo fattivo i non Opec, cioè la Russia. Certo, il valore di questi accordi va giudicato sulla base del fatto che si è comunque in mano alla finanza. Da quando siamo passati da una valutazione del Brent fondata sugli scambi fisici a una fondata sulle scommesse finanziarie, qualsiasi accordo può diventare carta straccia.

Cosa pensa delle profezie di sventura sui motori endotermici e sul ruolo dei prodotti petroliferi nei trasporti?

Io non vedo alcun picco dei consumi. Il futuro è del petrolio: il petroliere trasporta, il gasista riscalda e il nucleare accende le lampadine.

Quindi non vede un problema di riconversione per le compagnie petrolifere?

Le compagnie petrolifere non si devono reinventare. Devono migliorarsi e diventare sempre più petrolifere o gasifere. Il petrolio è l'unica cosa che può dare speranza ai miliardi di persone che vogliono muoversi e riscaldarsi. E poi siamo più vecchi, dobbiamo curarci. E senza petrolio non c'è industria farmaceutica. Se vogliamo sconfiggere i batteri abbiamo bisogno dell'industria della raffinazione.