Negli ultimi mesi abbiamo assistito a un cambiamento radicale nel mondo dell’energia, di cui colpisce la velocità e il suo essere imprevisto. Eventi che si sono sommati a determinare uno scenario radicalmente diverso da quello che ci si attendeva.  Per questo,  continuare a guardare il mondo con lo specchietto retrovisore non porta a niente, atteggiamento che si contesta all’Unione europea e al grande numero di burocrati che di fatto decidono di tutto e di più.

I tre eventi che hanno determinato questo cambiamento improvviso sono innanzitutto lo tsunami Trump, che ha eliminato tutto quello che aveva fatto Biden, cancellando sussidi alle rinnovabili e “pompando” le fossili. Un Presidente che peraltro si circonda di collaboratori dalle idee bizzarre, come quelle del Ministro dell’Energia, il quale ha dichiarato che il problema del surriscaldamento è stato finalmente risolto perché hanno inventato i condizionatori. Lo stesso Trump, invece, ha esordito sostenendo che il problema dell’innalzamento delle acque non esiste, semplicemente aumenterà il valore delle case vista mare.

Dichiarazioni che danno contezza del livello di improvvisazione che a sua volta crea una grande confusione a livello internazionale. Con quale credibilità l’Occidente si potrà rivolgere ai paesi del Terzo Mondo quando il secondo emettitore mondiale, gli Stati Uniti, decidono che non vale la pena adoperarsi per ridurre le emissioni?

Lo tsunami Trump ha a sua volta indotto cambiamenti sostanziali nei comportamenti degli altri attori e dei governi. La BP all’inizio dell’anno aveva deciso di ridurre drasticamente l’esplorazione di petrolio per ridurre la produzione; decisione poi smentita dalle dichiarazioni di Trump secondo cui investirà massicciamente nell’upstream.

In terzo luogo sono mutate le priorità nell’agenda dei governi: esce il clima e vi entra  la difesa.

La somma di questi tre eventi ci fa capire che le cose in futuro non saranno più come ci si era immaginati potessero essere. Siamo nel pieno di una crisi, che seppur dolorosa, serve a capire come stanno le cose, quali sono i reali problemi da affrontare, quali possono essere le risposte. Questa crisi, inoltre, ha evidenziato un semplice fatto: che il petrolio è ancora l’ombelico del mondo dell’energia e dell’economia. Dal petrolio dipendono la crescita economica, i tassi di inflazione, i tassi di interesse.

Il petrolio, lo sostengo da anni, è destinato a mantenersi su livelli elevati ancora per molto tempo e anche quando raggiungerà il suo picco, non si assisterà al suo crollo ma ad una sua stabilizzazione. Eppure, nonostante questo dato oggettivo, nel rapporto Draghi non c’è la parola petrolio. C’è il convincimento che le politiche climatiche migliorino la competitività, anche se questo miglioramento, sinora, non l’ho visto.

Di fatto cosa è cambiato? Le rinnovabili non stanno sostituendo le fossili, ma si aggiungono ad esse. Basta aver cognizione di causa o aver letto “Energy In World History” di Vaclav Smil per vedere che in tutte le transizioni che si sono verificate in passato la fonte dominante non è stata eliminata, ma ad essa si sono sommate altre fonti. E se è vero che la storia non preordina puntualmente il futuro, è altrettanto vero che sia l’unico spazio di osservazione da cui trarre insegnamenti per il futuro.

Fino ad ora, la percezione dominante era quella che ci veniva trasmessa dalla “Bibbia dell’energia”, il World Energy Outlook dell’AIE. Il direttore esecutivo dell’agenzia ha sostenuto per anni che non fosse più necessario investire un solo dollaro nell’attività di esplorazione petrolifera essendo i giacimenti esistenti più che sufficienti a soddisfare le previsioni della domanda. Tuttavia, ogni anno il declino naturale dei giacimenti arriva al 15%, il che presuppone la necessità di rimpiazzarlo attraverso ulteriori investimenti. Fatih Birol, con un volo straordinario, ha capovolto di recente le sue posizioni, sostenendo che sia assolutamente necessario e urgente investire nell’upstream Oil&Gas. L’ha fatto annusando il capovolgimento di Trump? Non si sa, ma è certo che ciò ha ridotto di molto la credibilità che l’Agenzia di Parigi trasmetteva coi suoi voluminosi rapporti annuali.

È necessario, inoltre, investire per fronteggiare le crisi Nato: nessuno avrebbe mai immaginato che il bombardamento dell’Iran potesse provocare un calo dei prezzi. Eppure è successo, a differenza di quanto sarebbe accaduto qualche  decennio fa. Però niente è risolto: perché, secondo Goldman Sachs, in caso di chiusura dello Stretto di Hormuz, il rischio di un un’esplosione dei prezzi del petrolio a 100 dollari e oltre resta concreta.

In conclusione, la situazione è incerta, estremamente fragile, estremamente difficile da fronteggiare, potendoci aspettare di tutto e di peggio.