In un contesto economico e geopolitico sempre più incerto e teso, il tema della competitività dell’industria manifatturiera europea si impone come prioritario. Non si può pensare di fare una sana ed equa transizione se si dipende eccessivamente dall’estero e non si dà priorità alle filiere industriali europee. Di questi temi e degli impatti che l’apparato normativo europeo, troppo sbilanciato verso il “tutto elettrico”, avranno per l’industria del Vecchio Continente si è parlato all’Assemblea di Unem di ieri 12 giugno. RiEnergia, a valle dell’evento, vi propone alcune considerazioni fatte dal Presidente di Unem, Gianni Murano.

Con il rinnovo del Parlamento Europeo, la speranza di una buona parte del mondo industriale era di un cambiamento nell’approccio alla transizione, meno ideologico e più ispirato al principio della neutralità tecnologica. Non esiste una sola leva per decarbonizzare, ma un mix di soluzioni tecnologiche tutte valide e funzionali al raggiungimento degli ambiziosi obiettivi che l’UE si è posta. Temi di cui avete parlato alla vostra assemblea annuale che si è tenuta ieri a Roma.

L’Assemblea ha fatto il punto della situazione ad un anno dal voto per il rinnovo del Parlamento europeo da cui ci aspettava qualcosa di più. Le aperture sul fronte dei trasporti ci sono state solo a parole e non nei fatti. Sia il Piano europeo per l’automotive che il Clean Industrial Plan, presentati dalla nuova Commissione UE come la strada per recuperare competitività in nome della neutralità tecnologica, hanno di fatto ignorato proprio la pluralità tecnologica e in particolare la filiera per la produzione dei carburanti rinnovabili, e scommesso ancora una volta sulla monocrazia tecnologica. In questi ultimi mesi abbiamo intensificato i nostri sforzi per cercare di convincere i policy maker, soprattutto quelli europei, che è necessario cambiare approccio alla transizione tenuto conto delle mai sopite tensioni geopolitiche e delle politiche commerciali della nuova amministrazione americana. Il 14 maggio siamo stati a Bruxelles per presentare un position paper messo a punto dall’Osservatorio per la transizione dei trasporti, una compagine interassociativa che include UNEM, NGV, Confartigianato e Federauto, e abbiamo collaborato al progetto “Tour d’Europe” lanciato a marzo di quest’anno da FuelsEurope, cioè un viaggio di tre mesi attraverso 20 diversi Paesi europei con auto e camion alimentati a biocarburanti per dimostrare il potenziale di decarbonizzazione offerto da questi prodotti, già disponibili su migliaia di punti vendita distribuiti in tutta Europa. Gli obiettivi di decarbonizzazione non sono in discussione, ma è necessario rivedere le misure con cui raggiungerli. Serve ridare fiducia e prospettive alle imprese e ai lavoratori europei. Credo che da questo punto di vista ci sia ampia sintonia anche con il nostro Governo come è emerso ieri negli interventi in assemblea dei Ministri Urso, Pichetto Fratin, Foti e Tajani.

La raffinazione italiana, asset strategico che da decenni ha permesso di contenere la dipendenza dall’estero in materia di prodotti finiti, sta attraversando una fase di evoluzione in grado di accompagnare il percorso ineludibile di transizione. Tuttavia, le certezze normative sono cruciali per investire e mantenere vivo il settore. A che punto si trova la raffinazione italiana? Come vede il suo ruolo nel medio lungo periodo?

La situazione non è facile e dobbiamo fare i conti con una concorrenza extra-Ue che si fa sempre più aggressiva.  Nuove raffinerie in grado di soddisfare una domanda pari se non superiore ai consumi italiani vengono costruite in Cina e India, mentre in Europa si chiude. Senza la prospettiva di un mercato a medio-lungo termine non si investe per adeguare o riconvertire gli impianti. Un recente studio proprio sulla raffinazione avverte sui rischi che si corrono riducendo eccessivamente la capacità europea vista l’attesa riduzione della domanda di prodotti fossili. A livello nazionale abbiamo ancora una valida industria della raffinazione che sta facendo enormi sforzi per cercare di rispondere alle nuove esigenze di mercato e in questo bisogna riconoscere il ruolo di dialogo e interlocuzione con il Governo.

L'aumento dei costi energetici, ma anche l’apparato normativo europeo in materia di mobilità, di decarbonizzazione, costituisce una minaccia per la competitività di quel comparto manifatturiero, per anni il fiore all’occhiello del tessuto produttivo del Vecchio Continente. Ancor di più nel contesto attuale, caratterizzato da una forte incertezza a livello macroeconomico per via della poco chiara politica tariffaria americana e dei molteplici teatri geopolitici di crisi. Quali sono le sfide che abbiamo davanti e quali le azioni di policy da implementare?

Anche di questo abbiamo parlato ieri in assemblea nel corso della tavola rotonda. Anzitutto, occorre rivedere l’impianto normativo e regolamentare europeo che ancora oggi nega la neutralità e pluralità tecnologica e chiude alla possibilità di sviluppo della filiera dei carburanti rinnovabili per il trasporto stradale. Significativo che anche l’Associazione dei costruttori di automobili tedesca proprio in questi giorni abbia lanciato una proposta in dieci punti per rivedere le prescrizioni del 2035 e considerare proprio i carburanti low carbon. Questo appare in linea con la posizione del nostro Paese che si sta adoperando su posizioni simili. Poi c’è sicuramente il problema di costo dell’energia che è dirimente per la nostra industria che deve anche fare i conti con il costo della CO2 oggi vicino agli 80 euro/ton rispetto ai 65 dello scorso anno. In questo caso, insieme a Confindustria, abbiamo lavorato intensamente sulla ricalibrazione dei proventi dell’ETS e sull’energy release.