Gli studi e i rapporti sul mercato dei rifiuti sono molto spesso concentrati su porzioni della filiera. Infatti, le analisi si focalizzano sulle fonti di dati pubblici ma essi sono disponibili solo per alcuni segmenti specifici e restituiscono un quadro frammentario, che non aiuta a capire in che direzione si sta muovendo l’industria nel suo complesso.

L’Osservatorio sull’Industria del Riciclo e dei Rifiuti di AGICI ha voluto offrire uno sguardo diverso che riuscisse a ricomprendere i vari aspetti fin qui tenuti separati: rifiuti urbani e speciali/industriali, regolazione e mercato, sistemi EPR tradizionali e nuovi. Poiché un impianto di trattamento processa rifiuti indipendentemente dalla loro origine, per capire in che direzione sta andando l’industria si è scelto di partire dai dati sugli impianti del catasto ISPRA. L’Osservatorio ha così censito la capacità impiantistica in modo da identificare le organizzazioni proprietarie, analizzandone le principali dimensioni economiche. A partire da questo censimento, si è costruito un campione di 38 aziende rappresentativo di operatori attivi in 6 filiere a differenti livelli di maturità di mercato: filiere mature (acciaio e carta), filiere in crescita (plastica e organico) e filiere di frontiera (RAEE e batterie).

Sono state mappate tutte le operazioni di investimento condotte da queste 38 imprese tra gennaio 2017 e giugno 2024 ed è stato così possibile identificare quali strategie gli operatori stiano adottando, indipendentemente dall’origine dei rifiuti, ma anzi a cavallo tra il mondo regolato dei rifiuti urbani e le dinamiche di mercato dei rifiuti speciali.

In totale sono stati censiti 9.406 impianti di trattamento dei rifiuti al 2022, spaziando da strutture per lo stoccaggio, il trattamento, il riciclo, la termovalorizzazione e la discarica. Emerge un’industria trainata dalla gestione dei rifiuti speciali, dato che il 58% degli impianti trattano esclusivamente rifiuti speciali, il 36% riceve sia speciali sia urbani e solo il 6% tratta esclusivamente rifiuti urbani. La distribuzione geografica è fortemente sbilanciata verso il Centro-Nord, dove si concentra il 71% delle strutture, mentre la taglia degli impianti è piccola: il 32% delle strutture riporta una capacità autorizzata compresa tra le 1.000 e le 10.000 tonnellate annue, il 30% ha una taglia compresa tra le 10.000 e le 50.000 tonnellate annue.

Complessivamente questi impianti sono posseduti da 6.329 organizzazioni. Gli enti pubblici proprietari rappresentano il 4% e le società partecipate da enti pubblici sono appena il 2%. Se ne conclude che il settore è fortemente trainato dall’iniziativa privata (94%). Tra le imprese, prevalgono le PMI: l’85% delle imprese ha un fatturato inferiore ai 25 milioni di euro e addirittura il gruppo più numeroso di imprese si colloca nella fascia compresa tra 1 e 5 milioni di euro di fatturato. Le società partecipate da enti pubblici occupano una posizione particolare: nonostante rappresentino appena il 2% delle imprese, esse possiedono il 14% di tutti gli impianti censiti. La loro dimensione economica è superiore rispetto alla media dato che il 50% ha un fatturato superiore ai 25 milioni di euro. Come si stanno muovendo le tante PMI con i loro piccoli impianti e le imprese più grosse (anche partecipate dal pubblico) per intercettare flussi di rifiuti con cui far funzionare i propri impianti?

Complessivamente, le performance economiche del campione selezionato sono in crescita: tra il 2017 e il 2022 le 38 imprese hanno visto aumentare sia il fatturato sia gli investimenti, ma con importanti differenze. Le imprese del centro-nord sono nettamente più grandi di quelle del centro-sud sia in termini di fatturato sia in termini di investimenti. Inoltre, le imprese private hanno fatturati più alti rispetto alle società partecipate da enti pubblici, ma queste ultime investono maggiori capitali.

In totale, nel periodo che va da gennaio 2017 a giugno 2024, sono state tracciate 219 operazioni con un andamento di costante crescita. Circa la metà di queste operazioni sono investimenti diretti in impianti, mentre l’altra metà riguarda acquisizioni. Si osserva una certa continuità negli investimenti e una scarsa propensione ad uscire dal proprio ambito di specializzazione o dai propri territori di riferimento.

Nelle filiere che maggiormente dipendono dalla vendita delle materie prime seconde, piuttosto che dai meccanismi pubblici di supporto, si osserva che a prospettive di bassi prezzi delle materie prime seconde corrispondono operazioni di concentrazione tra operatori per trovare la dimensione industriale più efficiente, o integrazione verticale, per intercettare ed estrarre valore da altre fasi della produzione. Nelle filiere in crescita supportate da forme di incentivo, come l’organico, si osserva una corsa agli investimenti in impianti (anche con la partecipazione di aziende esterne come i gruppi energetici nel caso della biodigestione anaerobica dei rifiuti organici) ma con il rischio di creare sovraccapacità e distorcere il mercato. Infine, si osservano investimenti in nuovi impianti innovativi per il riciclo di materie finora non riciclabili. Questo vale sia per le filiere supportate dal pubblico ma che stentano a trovare una dimensione di mercato (come le plastiche), sia per le filiere di frontiera (come RAEE e batterie) che offrono interessanti prospettive di ricavo per piccoli gruppi con una forte attitudine imprenditoriale, ma ancora non hanno una piena maturità tecnologica.

Attraverso queste strategie, il tessuto di piccole e medie imprese specializzate e di società partecipate sta crescendo e si sta lentamente trasformando. Anche per questo, il settore riscuote un elevato interesse da parte del mondo finanziario, spinto anche dalla domanda di investimenti green con focus su obiettivi ESG. Infatti, sono stati registrati gli ingressi di 6 fondi di investimento esteri e nazionali nei capitali sociali di 5 differenti aziende permettendo ad alcune di esse di crescere per linee esterne con numerose acquisizioni. Oltre a dimostrare la vitalità dell’industria del riciclo, l’interesse del mondo finanziario rappresenta un importante fattore abilitante per la concentrazione e l’ulteriore crescita del settore. Ma cosa manca ancora per sbloccare le potenzialità di sviluppo dell’industria?

In questo quadro, l’azione delle forze concomitanti di normativa e dinamiche di mercato, laddove non adeguatamente armonizzate, ha creato contraddizioni e inefficienze che limitano la possibilità di crescita del settore e il raggiungimento di ambiziosi obiettivi di riciclo. Lo Studio ha individuato una serie di nodi normativi di cui si raccomanda lo scioglimento attraverso un lavoro di riforma complessiva del quadro legislativo, come auspicato anche dal Ministero che a fine 2023 ha convocato una commissione per la revisione del Testo Unico Ambientale (D. Lgs. 152/2006). Un ipotetico nuovo quadro normativo dovrebbe essere semplice e stabile nel tempo e includere degli obblighi che definiscano il perimetro d’azione degli operatori e lascino alle Autorità di regolazione e di mercato la vigilanza. Occorre soprattutto evitare che, nell’ambiguità delle norme, il diritto ambientale in materia di rifiuti venga lasciato alla giurisprudenza. Questo implica una ridefinizione delle competenze tra Stato, Regioni e Autorità, possibilmente accentrando le competenze statali in materia di pianificazione per quei settori che non sono sufficientemente maturi per il mercato e rafforzando i poteri delle Autorità in materia di vigilanza del mercato. Inoltre, occorre ribaltare il paradigma di supporto pubblico alla filiera, evitando meccanismi di incentivo diretto all’output di riciclo – altamente distorsivi – e preferendo meccanismi di sostegno alla domanda delle materie prime seconde a valle del riciclo.

Anche nel vigente quadro legislativo, si possono applicare correttivi per rimuovere gli ostacoli che scoraggiano investimenti e crescita. Lo Studio ne identifica alcuni che seguono gli stessi principi a cui si ispira la proposta di riforma complessiva della normativa: trainare il settore del riciclo in maniera indiretta, dal lato della domanda di materie prime e agendo sulle industrie a monte e a valle della filiera; pianificare la collocazione degli impianti a livello nazionale affinché sia garantita la piena efficienza produttiva; semplificare i rapporti tra enti pubblici, autorità e operatori. Tutti elementi che permetterebbero all’industria del riciclo di crescere ulteriormente ed essere un perno centrale della capacità industriale del Paese.