Dal 9 all’11 ottobre, Bologna ospita il Fueling Tomorrow, la manifestazione risultato della sinergia delle consolidate esperienze di Mirumir e BFWE e dedicata ai vettori e carburanti sia tradizionali sia innovativi, in ottica di sostenibilità. Ricca di eventi e iniziative, la tre giorni ha ospitato la tavola rotonda dedicata alle soluzioni per la transizione nei trasporti e nelle industrie. Attorno al tavolo, i principali stakeholder del settore che, intervistati dal Direttore editoriale di RiEnergia Lisa Orlandi, hanno espresso le posizioni delle rispettive associazioni di appartenenza in materia di decarbonizzazione, PNRR e altri aspetti rilevanti legati al mondo dei trasporti. 

Decarbonizzare non è una scelta ma una necessità, tanto che, come affermato da Sebastiano Gallitelli, Segretario Generale Assopetroli-Assoenergia, il settore del commercio dei prodotti energetici sta adottando un approccio strutturato per supportare la transizione ecologica, in linea con il quadro normativo delineato dalla Direttiva RED III. Questa direttiva fissa l’obiettivo per gli Stati membri di raggiungere una quota del 42,5% di fonti rinnovabili nel consumo finale lordo di energia entro il 2030, con un obiettivo indicativo del 45%. Per rispondere a queste sfide, le aziende del settore stanno puntando su una gamma diversificata di soluzioni, tra cui l’introduzione e la promozione di Low Carbon Fuel (LCF) come il biometano e l’HVO. Questi combustibili, ottenuti da fonti rinnovabili, non sono semplicemente in grado di ridurre le emissioni di CO2 lungo l'intero ciclo di vita, ma possono addirittura avere emissioni negative. E, cosa di non secondaria importanza, possono essere distribuiti utilizzando le infrastrutture già esistenti. In questo contesto, l’Italia è l’unico paese ad aver previsto per norma l’obbligo di immissione in consumo di biocarburanti in purezza, favorendone l’introduzione nei punti vendita carburante (è il caso dell’HVO) e segnando al contempo un primato a livello europeo.

Parlando invece di PNRR, per Gallitelli, si tratta  sicuramente di una grande opportunità, ma presenta luci e ombre. Da un lato, ha il merito di aver riconosciuto l’importanza del biometano come fonte di energia già pronta per la decarbonizzazione dei trasporti, dedicandogli una parte significativa dei finanziamenti. In particolare, il piano prevede 1,92 miliardi di euro per lo sviluppo del biometano, con un focus sul supporto a nuovi impianti di produzione e sulla riconversione di quelli di biogas già esistenti. Bene anche quanto fatto per l’idrogeno, dove il PNRR ha aperto la strada alla sperimentazione di questo vettore energetico nel trasporto stradale, promuovendo la creazione di stazioni di rifornimento (40 stazioni), in linea con l’AFIR.

D’altra parte, però, il Piano non ha affrontato in modo esaustivo l’ammodernamento della rete di distribuzione dei carburanti, un presupposto essenziale per la commercializzazione dei LCF (biometano, l'HVO e, a tendere, gli e-fuel). Questa infrastruttura, fondamentale per la transizione energetica, è oggi ridondante e con delle inefficienze da gestire. Il tema, nell’ultimo anno, ha però trovato spazio su un altro tavolo: Assopetroli-Assoenergia, insieme alle altre associazioni del settore e alle organizzazioni sindacali dei gestori, sta lavorando con il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT) a un progetto di riforma che mira a modernizzare la rete, garantendo la sostenibilità economica e sociale delle risorse umane coinvolte e che dovrebbe iniziare a breve l’iter parlamentare.

Sullo sfondo, poi, c’è sempre l’Unione Europea, dove il contesto normativo appare complesso e connotato da incertezza. Il pacchetto “Fit for 55”, con i suoi regolamenti sulle emissioni di CO2 per i veicoli leggeri e pesanti rischia, se non rivisto, di mettere una pietra tombale sul motore endotermico, penalizzando soluzioni come i biocarburanti liquidi e gassosi, il cui contributo alla decarbonizzazione è stato ingiustamente e inspiegabilmente sottovalutato. Tuttavia, segnali incoraggianti emergono dalle linee di indirizzo politico di Ursula von der Leyen, riconfermata alla guida della Commissione Europea per un altro mandato, e dal recente Rapporto Draghi. Questi due importanti documenti sembrano riportare la competitività industriale dell’UE al centro del dibattito, con una rinnovata apertura verso un approccio più equilibrato e basato sulla neutralità tecnologica. Questo sarà cruciale per evitare che l’industria europea perda terreno rispetto alle grandi potenze globali, mantenendo un ruolo di leadership anche nelle tecnologie sostenibili.

E proprio in materia dei rischi associati a una transizione poco equa, con Gallitelli, nel corso dell’evento, si è parlato di cosa significherebbe per le filiere nazionali della logistica e della distribuzione carburanti lo stop al motore termico. Quest’ultimo, infatti, avrebbe un impatto molto rilevante sulle filiere della logistica e della distribuzione dei carburanti in Italia. Lo studio “Gli effetti ignorati e i costi evitabili della transizione energetica dei trasporti”, condotto da RIE per Assopetroli-Assoenergia e presentato nel giugno 2023 fa proprio un assessment degli impatti derivanti da una fuga in avanti verso una transizione spinta e mono tecnologica (full electric).

Vediamo alcuni numeri: la filiera logistico-distributiva nazionale dei carburanti impiega attualmente oltre 90.000 lavoratori. Una transizione non graduale potrebbe portare alla perdita di circa 70.000 posti di lavoro nel settore, con conseguente necessità di attivare ammortizzatori sociali stimati in 3,5 miliardi di euro. Inoltre, l’infrastruttura esistente si trasformerebbe in uno stranded asset, si verrebbero a creare costi per lo smantellamento, la rimozione e la bonifica di depositi e punti vendita stimati in circa 3 miliardi di euro. Infine, anche lo sviluppo dei LCF subirebbe una battuta d’arresto, non potendo essere impiegati in una grande fetta di mercato come quella della mobilità leggera e pesante.

Ma un’altra via è possibile. Lo studio RIE ha stimato che l'adattamento della filiera ai LCF richiederebbe un investimento stimato tra 4,2 e 6,6 miliardi di euro, inclusi costi per la conversione dei punti vendita e per l’ammodernamento dei depositi. Si tratta di una cifra assolutamente modesta se messa a paragone con quella, tanto grande da essere quasi impossibile da quantificare, per abilitare l’elettrificazione massiva e diffusa dei trasporti.