Un’assemblea “monografica” sulla riforma della rete carburanti, arricchita da uno sguardo attento e approfondito sulla situazione e l’evoluzione del panorama energetico nazionale e internazionale. Chi lavora nel settore dei carburanti – o dei “servizi per la mobilità”, come la transizione impone ormai di dire – non può fare a meno di aggiornarsi continuamente sull’evoluzione del mondo energetico e dei trasporti: quanta energia servirà per muovere persone e cose? Quali carburanti? con quale tipo di servizio? In quali luoghi?

L’assemblea ha dunque offerto l’occasione per coniugare due piani temporali e due linee di prospettiva: la difficoltà nel formulare previsioni accurate e affidabili per i prossimi due decenni e la necessità di riordinare e rendere più efficiente il settore della distribuzione carburanti in Italia. Il tutto per consentire l’avvio di un nuovo ciclo di investimenti che consenta definitivamente di trasformare la rete da asset “a perdere” (come è stato considerato negli ultimi anni da una politica spesso affetta da “ipermetropia”, più concentrata sul 2050 che sulle condizioni attuali per arrivarci “in salute”) a infrastruttura fondamentale per la transizione della mobilità.

Temi vitali per il settore, come ha dimostrato l’ampia partecipazione – oltre duecento i presenti – esposti in un confronto serrato tra le articolazioni della filiera e tra queste e la politica. La parte centrale del convegno ha offerto una rappresentazione “dal vivo” del tavolo tra retisti, gestori e compagnie sulla riforma della rete di distribuzione, in vista della presentazione del disegno di legge da parte di Mimit e Mase.

Particolarmente caldo il nodo dei contratti, unico punto su cui le parti non sono riuscite a raggiungere un accordo e su cui – è notizia di questi giorni – il ministero ha affermato di aver trovato una “soluzione”, prefigurando la presentazione dell’articolato in Consiglio dei ministri prima della pausa ferragostana.

Ha aperto la giornata proprio un messaggio del “titolare” della riforma, il ministro delle Imprese Adolfo Urso: “la rete – ha detto – necessita di un ammodernamento. È necessario il contributo di tutti, è necessario fare uno sforzo” per chiudere il dossier.

Ha raccolto l'appello il presidente Andrea Rossetti: “dobbiamo farci carico dello sforzo, avere una visione complessa del sistema energetico e dello scenario politico, uscendo da visioni particolaristiche. E sfruttare quelli che GB Zorzoli chiama errori proficui: i passi falsi del governo con il cartellone nel 2023 hanno portato a un cortocircuito che ha aperto la strada alla riforma. È un treno straordinario che potrebbe non ripassare. In passato il settore è stato trascurato per dare precedenza a liberalizzazioni, concorrenza e agenda green. Ora torna un approccio industriale: l'opportunità deve spingerci a una sintesi. Il nostro – ha aggiunto – è un settore speciale anche per la sicurezza degli approvvigionamenti e la tutela erariale, per cui sono necessari maggiori requisiti”, mentre dal punto di vista dei controlli il Presidente ha chiesto maggiore selettività: “i controlli sono ancora troppo spesso indifferenziati e non mirati”. Quanto al nodo dei contratti, “è necessario ri-mappare i rapporti di lavoro nella filiera: c'è un'esigenza di modernizzazione senza dover arrivare al far west, regolando le forme non tipizzate. Il tempo non è scaduto, la nostra responsabilità è lavorare per superare le ultime divergenze. Una soluzione – ha concluso – va trovata”. E, ha aggiunto, “non è auspicabile delegare la mediazione al legislatore”, anche considerando i precedenti non proprio felici, da ultimo il “cartellone” dei prezzi medi regionali. Da qui l’appello al “senso di responsabilità di sistema, al fatto che la condivisione di una riforma sia un elemento essenziale per il suo successo, per la sua capacità di incidere effettivamente sulla realtà”.

Discorso che vale anche per la legalità, su cui l’associazione è stata in prima fila negli anni bui delle frodi Iva, e che ora viene usata in modo strumentale quanto spregiudicato: “non siamo all'anno zero – ha detto Rossetti – il grosso del percorso lo abbiamo già fatto, non vogliamo nuove lenzuolate di adempimenti. Su questo abbiamo già dato. È importante evitare strumentalizzazioni polemiche che non hanno alcun fondamento, c'è una preoccupante disinvoltura nell'uso di quei numeri. C'è una questione di sostenibilità burocratica per le piccole e medie imprese”.

Quanto all’evoluzione della rete, il quadro in cui ci si muove è quello definito dal Pniec, per quanto Rossetti ne abbia contestato gli obiettivi sulle auto elettriche, non aggiornati rispetto al precedente testo, nonostante l'andamento negativo del mercato negli ultimi mesi. L’elettrico andrà avanti e avrà un ruolo centrale, ha detto, e gli operatori del settore non faranno certo barricate, dedicandosi piuttosto a fornire elettroni e molecole sempre più decarbonizzate. “La variabile fondamentale saranno gli spazi di bilancio da dedicare all'incentivazione dell'acquisto di auto elettriche”.

A definire il quadro prospettico ci ha pensato Lisa Orlandi del Rie, fornendo una serie di dati di contesto sui sistemi energetici nel mondo e in particolare sull'energia per il traporto, sottolineando tra l'altro le previsioni difformi tra i diversi organismi deputati e le difficoltà nel seguire l'andamento della domanda petrolifera.

Il sottosegretario Mimit Massimo Bitonci ha affrontato il tema della riforma. “È necessario ridurre il numero dei punti vendita, contemperando però questa esigenza con il fatto che si tratta di un servizio pubblico. Non c'è riforma senza un incentivo alla bonifica e alla chiusura. Poi – ha proseguito – c'è il tema delicatissimo dei contratti. Il governo è dalla parte delle imprese ma deve tutelare i lavoratori”. La soluzione è stata trovata proprio ieri, ha detto Bitonci all’assemblea Unem, anche se, a quanto pare, nessuno era a conoscenza dei dettagli. “Sembrava che centrali fossero i temi della riconversione e delle banche dati, invece il nocciolo era la contrattualistica”, ha chiosato Bitonciò. Osservazione plasticamente drammatizzata dai successivi interventi.

Il presidente di Fegica Roberto Di Vincenzo ha denunciato la “grande rigidità di Eni che ha detto che il futuro è nei contratti di appalto. Su questo non ci può essere alcuna convergenza. Avevamo raggiunto un elemento di convergenza su una posizione mediana con Assopetroli e con qualche azienda. Si poteva chiudere prima di Pasqua”.

Ha subito ribattuto il presidente Unem Gianni Murano, presentando alcuni dati sull'erogato medio nelle diverse regioni italiane e sulle gestioni dirette. “Qualcuno la riforma l'ha già fatta a normativa vigente: ci sono Regioni – ha detto – con un erogato medio più alto della media nazionale, quindi non è un problema di normativa”. Sull'altro nodo, quello delle gestioni dirette e dei contratti di appalto, Murano ha contestato l'addebito alle compagnie: in Italia, ha detto, “ci sono tredicimila punti vendita con un gestore che ha più di dieci impianti, quindi con una gestione diretta o un contratto di appalto già esistente. Il 77% di questi punti vendita non sono delle compagnie ma di operatori indipendenti. Eni gestisce in questo modo 300 punti vendita su un totale di 13mila. Il problema è Eni? Faccio fatica a crederlo. Il problema è che la razionalizzazione è già stata fatta da chi ha più capacità, snellezza e flessibilità, chi può gestire il prezzo e aumentare i volumi: da lì verrà la razionalizzazione”. Murano ha ricordato che il Pniec prevede “sei milioni di tonnellate in meno di consumi di carburanti liquidi all'anno: sei milioni di auto elettriche che dovrebbero spiazzare altrettante auto a combustione che hanno un consumo medio di un milione di litri l'anno. Questo vuol dire 300.000 litri l'anno in meno per ciascuna stazione di servizio. La razionalizzazione ci sarà e sarà inevitabile. Novemila impianti hanno il gestore e il gestore va tutelato. Ma vogliamo fermare un modello che Eni ha scoperto sette mesi fa?”. “Lo spirito della legalità – ha concluso – deve riguardare tutti i lavoratori, non solo i gestori. Se ci sono 22.000 stazioni di servizio è perché c'è illegalità”. Di Vincenzo ha chiuso il giro di tavolo: “il governo deve ascoltarci, altrimenti daremo battaglia come sul cartellone”.

Alla seconda tavola rotonda hanno partecipato i politici. Luca Squeri di Forza Italia ha espresso l'auspicio che sia la filiera a trovare un punto di equilibrio, “altrimenti ci sarà il Parlamento. Ma l'esperienza precedente del cartellone non è molto favorevole”.

Vinicio Peluffo del Partito Democratico ha ricordato di avere accettato alcune riformulazioni del governo sulla risoluzione proprio per dare un segnale di coesione. “Ma il testo proposto manifesta una distanza tra impegni, ambizioni e contenuti”.

Massimiliano De Toma di Fratelli d'Italia ha ricordato che la risoluzione approvata nella scorsa legislatura “nel 2019 fu bloccata dal governo giallorosso. Prima è necessario risolvere il problema dell'erogato, poi si penserà ad altre fonti di reddito”.

Dal dibattito è emerso un tema fondamentale. Lasciare alla politica il compito di trovare una soluzione sul nodo dei contratti può essere rischioso, come dimostra il caso infausto del “cartellone” e come dimostrano i numeri in libertà e le iniziative fuori tempo massimo sulle frodi. La prossima fermata è in Consiglio dei ministri, ha detto li ministro Urso, con l’approvazione prima della pausa estiva. Poi il “treno” della riforma passerà in Parlamento.