Le tutele di prezzo sono finalmente cessate, almeno per i clienti non vulnerabili, dopo un periodo transitorio durato dal 2007 per l’energia elettrica e dal 2003 per il gas: diciotto e ventuno anni, rispettivamente. Qual è lo stato di salute dei mercati finali della vendita dell’energia?
Nel caso del gas, la transizione è stata ordinata, tranquilla e ben poco dibattuta. Nel caso dell’energia elettrica, invece, il dibattito è stato feroce e ha messo ripetutamente in dubbio l’affidabilità o la credibilità dei venditori, disegnando scenari apocalittici post-1 luglio. I dati ci dicono che i consumatori hanno dimostrato di essere ben più maturi dei politici e di molti commentatori. Quando, a gennaio 2024, si tennero le aste per il servizio di tutele graduali – l’ultimo step prima della definitiva liberalizzazione del mercato elettrico – in maggior tutela c’erano ancora circa 4,5 milioni di clienti. Al momento dell’effettivo passaggio, la consistenza di tale platea si è ridotta a 3,7 milioni. Significa che, nonostante mesi di propaganda martellante e proposte di consentire l’ingresso in tutela graduale fino a fine anno, ben 800 mila famiglie hanno preferito sottoscrivere un’offerta sul libero mercato.
Perché circa un sesto degli aventi diritto alle tutele graduali hanno abbandonato questo recinto, nonostante l’offerta uscita dalle aste di gennaio fosse estremamente competitiva? Qualcuno potrebbe dire: perché sono stati ingannati dalla propaganda dei venditori. Sarebbe un’interpretazione possibile, anche se ingenerosa: bisogna davvero avere una bassa stima degli italiani, se si pensa che sia sufficiente ricevere una telefonata o vedere una reclame in televisione per andare a capofitto contro il proprio interesse. E questo dato è tanto più significativo se si considera, da un lato, che negli scorsi anni la migrazione dei clienti verso il libero mercato è stata considerevole, facendo evaporare il bacino dei tutelati; dall’altro, che tale flusso è accelerato proprio nel periodo di massima polemica e di massimo attacco mediatico nei confronti del mercato e dei suoi attori.
La realtà, assai più prosaicamente, è che gli italiani sanno cosa vogliono e lo scelgono. Tutti i dati ci dicono che per molte persone cambiare fornitore per la prima volta comporta un costo psicologico: ma, superata tale barriera, esse imparano come funziona il mercato, e si muovono da un’offerta all’altra fino a trovare quella più adatta. Il prezzo è certamente uno dei criteri di scelta, forse quello singolarmente più importante: ma non si spiegherebbero le decisioni dei consumatori se non si tenesse conto che vi sono anche altre dimensioni. Per citarne solo alcune, che emergono chiaramente dalla panoramica dei contratti sottoscritti effettuata dall’Arera nel suo rapporto retail, la certezza del prezzo fisso, la garanzia di energia 100 per cento green o l’inclusione all’interno di programmi di fidelizzazione del venditore di energia o di soggetti terzi. Ora, tutto ciò non dovrebbe suscitare grande stupore: è infatti la stessa dinamica osservata nei mercati del gas, che appunto sono stati fin da subito (e forse ingiustamente) considerati come non degni di particolare attenzione da parte dei media e da parte della politica.
A questo punto, il prezzo regolato (il cosiddetto servizio di vulnerabilità, che ricalca le forme della tutela in entrambi i settori) rimane accessibile soltanto ai clienti vulnerabili. Sebbene questi siano una porzione non irrilevante del totale dei consumatori – in quanto includono varie tipologie di clientela, tra cui gli anziani e le famiglie a basso reddito – è importante sottolineare che, anche in questo caso, la vasta maggioranza ha già scelto un contratto sul libero mercato. La effettiva fruizione della libertà di scelta da parte dei consumatori è un pezzo importante del disegno di mercato: sebbene ovviamente a determinare gli esiti sia in prima battuta la scelta dell’assetto istituzionale e, quindi, la possibilità astratta di cambiare fornitore, ciò che in ultima analisi produce cambiamenti effettivi è il comportamento delle persone.
Adesso dovremmo quindi guardare avanti, e non solo con una riflessione sulle caratteristiche del servizio di vulnerabilità, che appare come un tentativo di preservare (ai danni dei soggetti teoricamente più fragili) le ultime vestigia della regolazione di prezzo. Piuttosto, occorre interrogarsi su come tutelare e stimolare i consumatori in un mondo che cambia. Il principale tema di discussione – e non da oggi – dovrebbe essere la disciplina del teleselling, che comportamenti aggressivi, spesso illeciti e talvolta addirittura truffaldini sta delegittimando il mercato tutto. È incredibile che la politica, pur riconoscendo questo tema, abbia finora fatto praticamente nulla per affrontarlo, visto che lo strumento teoricamente disponibile a tal fine (il Registro delle opposizioni) è un colabrodo. Non solo: a dispetto della retorica, la politica si schiera sistematicamente a testuggine quando c’è da difendere i call center, rendendo di fatto impossibile una revisione profonda del sistema.
Oltre a questo, resta aperto il tema di come il mercato potrebbe ulteriormente svilupparsi. La partecipazione della domanda – anche con condotte dinamiche quali lo spostamento dei carichi in reazione ai picchi di prezzo – sta diventando un ingrediente essenziale del funzionamento dei mercati e della transizione ecologica. Dovremmo chiederci in che modo la transizione può essere non solo un obbligo formale o un costo economico, ma anche un’opportunità: e tutto ciò è impensabile, almeno al livello dei piccoli consumatori, senza una trasformazione del rapporto tra venditori e consumatori nel senso di una maggiore reattività reciproca.
A dispetto di tutto, la fine delle tutele è stato un passaggio necessario in questa evoluzione. Avendo finalmente superato l’adolescenza energetica, è il momento di costruire un mercato adulto.