Con un deficit di precipitazione registrato su scala nazionale pari a circa il -24% rispetto alla media 1951-2020, il 2022 è stato uno degli anni più avari di precipitazioni negli ultimi anni. Le fasi siccitose, ormai sempre più frequenti, sono il sintomo di un mutamento nelle dinamiche climatiche, con ripercussioni evidenti anche sul ciclo idrologico: il valore della disponibilità idrica per l’anno 2022 è stato pari ad un volume totale di 67 km3 ovvero il 52% in meno rispetto alla media del periodo 1951-2022.

Con queste premesse si apre la quattordicesima edizione del Blue Book, monografia dedicata al settore idrico italiano di Fondazione Utilitatis e Utilitalia, presentata il 21 marzo alla vigilia della Giornata Mondiale dell’Acqua. Il documento trae spunto dall’emergenza climatica in corso per offrire la consueta fotografia di settore, mettendo in evidenza il fabbisogno di investimenti per garantire una disponibilità di risorsa idrica adeguata alle generazioni future.

Le cause delle crisi idriche sono sì certamente da ricondurre alla crisi climatica, ma anche a fattori di vulnerabilità del settore che devono essere necessariamente superati. Iniziando per esempio dal superamento della frammentazione gestionale che non consente l’integrazione dei servizi, soprattutto nei contesti meridionali, dove permane l’esistenza di gestioni in economia anche in ambiti territoriali affidati secondo la normativa pro tempore vigente. Se nella maggior parte del Paese il servizio idrico è integrato e gestito da operatori industriali (5.933 Comuni, pari a circa 48 milioni di abitanti), sono almeno 1.465 i Comuni che gestiscono direttamente almeno uno dei tre servizi tra acquedotto, fognatura e depurazione. Si tratta del 19% dei Comuni italiani, pari a circa 7,6 milioni di abitanti (il 13% del totale nazionale). L’80% delle gestioni in economia si concentra al Sud (61%) e nelle Isole (19%): si tratta di 1.168 Comuni in cui risiedono circa 7,1 milioni di abitanti pari al 93% della popolazione in economia su scala nazionale.

La frammentazione gestionale, che vede contrapporsi dunque gestori industriali a gestioni in economia, si traduce anche in una differente capacità di investimento che rallenta l’ammodernamento delle infrastrutture idriche e una qualità del servizio uniforme a livello Paese. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una crescita continua degli investimenti dei gestori industriali, soprattutto grazie all’avvio della regolazione nel settore, che da 33 euro per abitante del 2012 sono passati ai circa 70 euro per abitante del 2023 (+113%), con un incremento medio annuo attorno al 7% (vedi fig. seguente). Si tratta di valori che si avvicinano gradualmente alla media europea degli investimenti nell’idrico, pari a circa 82 euro per abitante. I dati relativi alle gestioni in economia, di contro, confermano anche nel 2022 un livello di investimento troppo basso e pari mediamente a 11 euro per abitante. Si tratta di un valore estremamente distante non solo dagli standard europei ma anche dalla media delle gestioni industriali italiane.

Serie storica degli investimenti dei gestori industriali italiani (dati euro per abitante; 2012-2023)

Fonte: Utilitatis su dati gestori

La crescita degli investimenti è stata principalmente sostenuta dalla tariffa che, con circa 4 miliardi di euro l’anno, contribuisce alla realizzazione degli interventi nel settore. Le risorse aggiuntive del PNRR, pari a circa 5 miliardi di euro, distribuite su una finestra temporale quinquennale, stanno dando certamente un impulso significativo, sia come sostegno finanziario sia come indirizzo agli investimenti, tuttavia sono limitate al 2026 per cui serviranno risorse aggiuntive pari a circa 2 miliardi di euro l’anno per innalzare l’indice di investimento e raggiungere i 100 euro per abitante destinati a rinnovare le infrastrutture, ridurre le perdite di rete e adeguare gli impianti alle normative europee sull’inquinamento.

Tra i settori in cui è più urgente investire vi è proprio quello della depurazione delle acque reflue. Oltre alla tutela dell’ambiente, il settore ha un ruolo significativo per la diversificazione dell’approvvigionamento e la circolarità dell’acqua: in ambito nazionale il contributo potenziale offerto dal riutilizzo idrico si colloca tra il 38% ed il 53% del fabbisogno irriguo nazionale. In relazione agli obiettivi indicati nella proposta di revisione della direttiva UWWTD (COM(2022)541), il fabbisogno di investimenti degli impianti di maggiore taglia per l’adeguamento ad un livello di trattamento terziario completo si aggira attorno ai 5 miliardi di euro. Per il conseguimento di un livello di trattamento quaternario con l’implementazione di tecnologie dedicate ex-novo, la stima di investimento prevista è compresa tra 1,6 e 6,1 miliardi di euro.

La crisi climatica impone nuove sfide al settore idrico, tra queste vi è anche quella di sviluppare la capacità di realizzare investimenti e interventi per il rinnovo e l’estensione delle infrastrutture in tempi rapidi. In particolare, emerge la necessità di perseguire la sicurezza dell’approvvigionamento per i diversi usi, attraverso la riorganizzazione dei sistemi di approvvigionamento idrico primario

Negli ultimi anni si sta assistendo ad una vera e propria trasformazione delle pianificazioni, soprattutto quelle più evolute, divenute selettive nella scelta di nuovi materiali e tecnologie che stanno già modificando velocemente e anche radicalmente, i processi di trattamento delle acque e l’operatività sulle reti. La transizione digitale del settore idrico si sta già esprimendo con lo sviluppo di sistemi di gestione sempre più automatizzati in cui assumono rilievo modelli idraulici in grado di sviluppare funzioni predittive sui consumi, che ottimizzano l’erogazione idrica, oppure sul comportamento delle infrastrutture in caso di stress climatici.

Circolarità della risorsa, sicurezza dell’approvvigionamento e transizione digitale sono i tre importanti pilastri su cui si fonda il futuro del servizio idrico in Italia. Tutto il settore è chiamato a un approccio preventivo alla gestione della risorsa, nonché al coinvolgimento e coordinamento dei soggetti competenti per l’attuazione di strategie comuni e integrate che garantiscano un accesso sicuro e sostenibile alla risorsa naturale più importante che abbiamo.

Il Blue Book 2024 della Fondazione Utilitatis comprende le collaborazioni di – in ordine di collocazione dei contributi nel volume – Istat, Enea, Autorità di Bacino dei Distretti Idrografici, The European House – Ambrosetti, Anbi.