Dal 9 all’11 ottobre, Bologna ospita il Fueling Tomorrow, la manifestazione risultato della sinergia delle consolidate esperienze di Mirumir e BFWE e dedicata ai vettori e carburanti sia tradizionali sia innovativi, in ottica di sostenibilità. Ricca di eventi e iniziative, la tre giorni ha ospitato la tavola rotonda dedicata alle soluzioni per la transizione nei trasporti e nelle industrie. Attorno al tavolo, i principali stakeholder del settore che, intervistati dal Direttore editoriale di RiEnergia Lisa Orlandi, hanno espresso le posizioni delle rispettive associazioni di appartenenza in materia di decarbonizzazione, PNRR e altri aspetti rilevanti legati al mondo dei trasporti.
Decarbonizzare ormai non è una scelta ma una necessità. Ce lo chiede l’Europa, ma ce lo chiedono anche l’ambiente e il clima. Secondo Marina Barbanti, Direttore Generale di UNEM, oggi qualsiasi strategia di investimento nel campo energetico ha quale precondizione una valutazione oggettiva sulla sua capacità di contribuire alla graduale decarbonizzazione dei processi e dei prodotti.
Mentre dal 1990 al 2010 gli investimenti del settore cui fa capo Unem, pari a oltre 20 miliardi di euro, sono stati orientati principalmente ad abbattere le emissioni inquinanti (NOx, SOx), riducendole dell’80-90%, negli ultimi decenni l’attenzione si è concentrata sulla riduzione delle emissioni climalteranti, ovvero sulla decarbonizzazione.
Molto si è già fatto e molto si sta già facendo per favorire il processo di transizione.
In Italia sono già operative due bioraffinerie, tra le 9 presenti in Europa, e una terza arriverà nel 2026. Diverse raffinerie tradizionali hanno inoltre investito in impianti di co-processing per lavorare materie prime biogeniche selezionate da affiancare a quelle fossili. Oggi possiamo contare su una capacità di produzione totale pari a 2,8 milioni di tonnellate/anno, che potrebbe arrivare ad oltre 5 milioni nell’arco dei prossimi anni e sostituire circa il 15% dei combustibili fossili
La transizione però coinvolge appieno anche la logistica, che deve investire per movimentare e stoccare in modo sempre più flessibile ed efficiente i diversi prodotti della transizione che spesso richiedono impianti dedicati, e la distribuzione finale, dove oltre agli investimenti per le colonnine elettriche e in casi limitati, ancora sperimentali, per l’idrogeno, si investe per l’erogazione dei vari prodotti rinnovabili.
Tutte queste attività richiedono una prospettiva chiara e abilitante e una disciplina inclusiva. In tale ottica l’ultimo PNIEC, con il pieno riconoscimento di tali prodotti, è un passaggio importante. A fronte di una domanda attuale di low carbon fuels liquidi e gassosi di 1,7 milioni di tonnellate, le previsioni del PNIEC sono di una domanda di circa 3 milioni di tonnellate al 2025 e di 6 milioni al 2030.
Numeri sostanzialmente in linea con le stime UNEM al 2030, ma con uno spazio di crescita maggiore al 2040 quando, stando sempre alle stime citate, dovrebbero arrivare intorno ai 10 milioni di tonnellate.
Per abilitare l’attuazione degli investimenti necessari a questa trasformazione è necessario agire non solo dal lato dell’offerta, stimolando e sostenendo la produzione, ma anche sul lato della domanda, intervenendo sulla fiscalità dei low carbon fuels.
Tema di grande attualità quello della revisione della fiscalità energetica in base all’impronta carbonica, sia a livello europeo, con la revisione della direttiva ETD (unica misura del pacchetto “Fit for 55” ancora non approvata), sia a livello nazionale, con la rimodulazione di SAD e SAF. Il dibattito è aperto e lo stesso Governo sembrerebbe orientato a una revisione della fiscalità complessiva attenta e graduale per non incidere sulla competitività del Paese, ma con un’articolazione volta a promuovere la domanda di prodotti low carbon.
Parlando invece di PNRR, la Barbanti definisce lo stesso un’occasione persa perché gli spazi per il settore della raffinazione sono molto modesti, scontando l’approccio ideologico e ostativo dell’Europa. Sono previste misure per le colonnine elettriche presso i punti vendita e 40 stazioni di servizio per l’erogazione dell’idrogeno. Sono investimenti che serviranno ma certamente non basteranno. Anche la più recente proposta del Governo nel REPowerUE di supportare gli investimenti per la trasformazione delle raffinerie per la produzione di low carbon fuel non è passata al vaglio della UE. Qualche apertura si rinviene nella ricerca e sviluppo degli e-fuels e nella “Mission Innovation” per i biocarburanti, ma sempre in modo marginale.
Nessuno dei tanti progetti che il settore ha presentato nel 2021 - per un totale di 8-9 miliardi di euro - per accompagnare la graduale riconversione industriale della filiera in ottica decarbonizzazione è stato preso in considerazione e questo per una normativa europea disabilitante.
Si devono evitare posizioni ideologiche e manichee che possono generare contraccolpi economici e sociali rilevanti su filiere industriali strategiche e che potrebbero persino precludere il raggiungimento dell’obiettivo.
A tal proposito, il Ministro Urso al consiglio competitività dello scorso 27 settembre ha evidenziato la necessità che la Commissione Europea anticipi dal 2026 ai primi mesi del 2025 la presentazione dei rapporti sul settore previsti dal regolamento sulle emissioni di CO2 per i veicoli leggeri, attivando di conseguenza la clausola di revisione dall'articolo 15, al fine di riesaminare le modalità che porteranno allo stop ai motori endotermici nel 2035. Su questo tema, il Direttore Generale di Unem evidenzia che il settore automotive, così come quello della produzione e stoccaggio di carburanti, sono dei settori ad alta intensità di capitale. I piani di investimento vengono fatti con largo anticipo e richiedono tempi di realizzazione e di ritorno molto lunghi.
Bisogna quindi stare molto attenti. Se il percorso delineato dal Regolamento CO2 per i veicoli leggeri, che prevede il phase-out dei motori a combustione interna, non è realistico, come dati alla mano sembrerebbe, non possiamo permetterci di prenderne atto a ridosso della scadenza. Sarebbe troppo tardi.
Tutti gli indicatori oggi presenti, tra cui le difficoltà per le case automobilistiche di raggiungere i target emissivi al 2025 nelle nuove immatricolazioni (taglio 15% delle emissioni), sono chiari segnali che il percorso delineato è troppo “stretto” non negli obiettivi ma negli strumenti abilitati a conseguirli. Per raggiungere gli obiettivi è necessario il concorso di tutte le tecnologie disponibili e pertanto una sua rivalutazione va anticipata al 2025, perché più ci avviciniamo alla scadenza e più rischiamo danni irreversibili. Non bisogna dimenticare che una volta che si dismettono o si sostituiscono alcuni sistemi produttivi è molto molto difficile e oneroso invertire la rotta, con l’effetto di generare perdite non solo dal punto di vista economico e occupazionale, ma anche della sicurezza degli approvvigionamenti.
In questa prospettiva Unem non può che esprimere un plauso per l'iniziativa del Ministro Urso volta a valorizzare le eccellenze infrastrutturali, tecnologiche e di competenze delle filiere nazionali. È corretto che ogni Paese cerchi di tutelare e valorizzare le tecnologie in cui è leader, ma è inaccettabile che ciò avvenga a scapito di altre tecnologie, ugualmente funzionali al raggiungimento dei target ambientali.
Lo sviluppo e il benessere di un paese dipendono dalla capacità di avere un sistema energetico sicuro, resiliente ed economicamente efficiente che sappia affiancare la trasformazione dei sistemi produttivi verso modelli più sostenibili, garantendo - oltre alla sicurezza delle forniture - anche sostenibilità economica e sociale.
In tale quadro Unem sta lavorando con i propri partner europei per cercare di promuovere una coalizione più ampia, a sostegno della posizione italiana, allargata anche ai Paesi più vicini.