Dalle grandi speranze nella concorrenza a una tela di Penelope, voltasi infine in una stasi segnata da conflittualità latente. Per chi nell'ultimo ventennio abbia seguito da osservatore la parabola della liberalizzazione della distribuzione gas, come chi scrive, è forte la tentazione di riassumerla così.

La sintesi poco allegra nasce dalla constatazione che il desiderato riassetto del settore, messo in cantiere dal legislatore alla fine dello scorso millennio, da anni non va né avanti né indietro, mentre ogni tentativo di dargli nuovo impulso o indirizzo è neutralizzato da spinte contrapposte. Un equilibrio tutt'altro che sereno, in cui un'attività che, pur con le incertezze dalla transizione, resterà centrale ancora a lungo, è di fatto abbandonata a una dinamica "spontanea", che non è detto sia quella ottimale.

Pochi anni fa è caduto il ventennale del decreto legislativo 164/2000 che, avviando la liberalizzazione del mercato gas, aveva opportunamente scelto il modello di concorrenza per il mercato come strumento per razionalizzare ed efficientare un servizio basato su infrastrutture non facilmente replicabili. Quello che pareva l'inizio di una nuova epoca si è però trasformato progressivamente in uno dei capitoli più tormentosi dell'intero percorso di apertura del mercato e probabilmente quello che ha regalato le delusioni più cocenti.

"Andrò in pensione e quella resterà una situazione che dopo 20 anni è rimasta più o meno com'era", rispondeva Gilberto Dialuce a fine 2020 alla domanda della Staffetta Quotidiana sulla sua maggiore disillusione in 40 anni alla guida della direzione energia del ministero. Ci sono voluti anni perché il dettato normativo sulle gare iniziasse a dare i primi (e limitati) frutti. Nel frattempo, lo slancio iniziale ha presto lasciato spazio a una sorta di laboratorio regolatorio permanente, in cui il disegno delle procedure - rivelatosi insoddisfacente per alcuni aspetti - è stato oggetto di una lunga e faticosa revisione, seguita anche dopo da continui e profondi aggiustamenti. 

Il risultato finale è stato un disegno che scioglieva i nodi iniziali, ma solo per rivelarsi una costruzione vuota, perché le nuove (nuove 12 anni fa) gare per ambito, che dovevano rimpiazzare quelle per Comune, non sono quasi partite. Figlia di questo cammino tormentato è l'attuale situazione di quasi immobilità: il settore non sa esattamente dove stia andando, principalmente per le molte incognite che la transizione energetica ha messo sul tavolo, ma la normativa ancora vigente, nata in un'altra epoca, non potrebbe essere più lontana dal fornire indicazioni.

L'immobilità peraltro è, in parte, solo apparente, perché l'incertezza da un lato e il mutare del quadro economico/finanziario e tariffario dall'altro, alimentano comunque un riassetto carsico di cui raccolgono i frutti i grandi operatori, rilevando via via le attività dei player più piccoli che non riescono più a stare sul mercato.

Da un lato, questo potrebbe essere un modo come un altro per realizzare l'obiettivo della razionalizzazione del settore, con un consolidamento intorno a un numero ridotto di grandi operatori, che doveva essere il risultato delle gare. Dall'altro però lasciare che il compito sia svolto da un semplice scivolamento di impianti e gestioni verso pochi player, guidato solo da (s)vendite di asset, regolazione tariffaria più severa e diritto fallimentare, rischia di lasciar fuori un elemento cardine del Dlgs Letta: la dinamica competitiva.

Anche se ancora faticano a partire e il loro riassetto da lungo tempo in cantiere al Mase non si sa se e quando arriverà, le gare d'ambito restano infatti previste dalle norme. Ma in questo modo quale ne sarà l'esito? Il recente caso delle aste per il servizio elettrico a tutele graduali, in generale molto diverso, offre però uno spunto di riflessione: quando sono in ballo gestioni di questa dimensione, la presenza di un numero adeguato di operatori robusti rappresenta l'unica speranza che non siano pochi grandissimi a vincere a tavolino.

Nel caso della distribuzione gas la dinamica "naturale", in assenza di stimoli all'aggregazione, rischia però di portare proprio in questa direzione. Un aspetto su cui un'adeguata riflessione delle istituzioni finora sembra mancare.