Dopo diversi anni di euforia (immotivata e non sufficientemente studiata) da elettrificazione, possiamo dire che nel 2023 è emersa, sia a livello nazionale che europeo, una consapevolezza pragmatica relativa alla necessità del gas naturale, come abilitatore imprescindibile della transizione energetica: la garanzia di energia su base continua nella generazione elettrica e la progressiva complementarietà con i gas rinnovabili sono due dei principali esempi a supporto, cui si aggiunge la funzione di stabilizzatore del sistema elettrico e garante di energia su base continua, per proseguire il percorso verso la decarbonizzazione.

Tale consapevolezza, tuttavia, non ha interessato simmetricamente anche il ruolo delle reti della distribuzione del gas naturale: certo non si è più al livello di valutarne il rischio di stranded costs generato da dismissioni anticipate.  Tuttavia a più di 20 anni dal D.Lgs Letta e con il fallimento delle gare di ATEM, una maggiore attenzione la meriterebbero. Se non si può prescindere dal ruolo del gas, allora appare necessario interrogarsi sulle sue infrastrutture di distribuzione e sul mestiere di distributore.

Da un lato, infatti, rispetto all’impostazione del D.Lgs Letta, sono cambiati gli obiettivi e il contesto: non più sviluppi ed ampliamenti, ma immissioni di gas rinnovabili, contenimento/eliminazione delle emissioni fuggitive, digitalizzazione, progressiva sincronizzazione con la distribuzione elettrica, solo per citarne alcuni. Una modifica sensibile del mestiere del distributore che non può non impattare sulla struttura del mercato e sulla dimensione tecnica e finanziaria idonea ad affrontare tale sfida. Se oggi (dati aggiornati al 2022- Relazione annuale ARERA 2023) abbiamo 186 operatori di cui 138 con meno di 50.000 punti di riconsegna, domani tale sfida necessita di una capacità gestionale diversa: attenzione a non confondere tale impatto con la sicurezza e qualità del servizio. I dati ARERA confermano l’assenza di un differenziale qualitativo raccordato alla dimensione di impresa.

Dall’altro, invece, tenendo fermo l’obiettivo della piena decarbonizzazione, si ritiene che una coerenza ferma con i principi della neutralità tecnologica e dell’analisi costi benefici offra la consapevolezza che la rete di distribuzione del gas nel settore residenziale abbia una valenza positiva attuale e prospettica in termini di costo per grammo di CO2 evitata.

L'Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente nel recente documento di consultazione DCO 423/2023/R/EEL, nel promuovere meccanismi stimolanti volti a favorire le aggregazioni nel settore della distribuzione elettrica, ha posto con adeguata chiarezza il tema della convergenza opportuna delle diverse dimensioni tra le distribuzioni elettrica e del gas, a partire da quella concessoria.

Meno chiaro, al riguardo, è cogliere l’orientamento di ARERA sulla promozione delle aggregazioni nel settore della distribuzione del gas naturale: dopo una fase consultiva partita nel 2019 (DCO 170/2019/R/gas e DCO 410/2019/R/gas) originata dalla consapevolezza che il meccanismo delle gare ATEM era fermo, si mirava ad un consolidamento del settore mediante misure incentivanti. Tale disegno si è arenato e non è più riemerso acuendo dinamiche di criticità gestionali di diversi operatori. Proprio la consapevolezza di ARERA circa il fallimento delle gare con la relativa spinta verso il consolidamento del settore, avrebbe potuto e dovuto promuovere l’adozione di provvedimenti regolatori per promuovere le aggregazioni.

La logica del disegno originario si basava infatti su due gambe: la prima, orientata a consolidare il sistema attraverso le gare ATEM con l’uscita della maggioranza degli operatori minori, la seconda, attraverso una regolazione incentivante il perseguimento di maggiore efficienza (purtroppo e colpevolmente limitata ai costi operativi, lasciando libertà agli operatori di capitalizzare costi a volte non propriamente motivata!) per gli operatori destinati a rimanere sul mercato. Essendo totalmente mancata la spinta propulsiva della prima gamba, la regolazione, generando un sensibile contenzioso, (da ultimo quello ancora in corso al Consiglio di Stato sulla delibera 570/2019/R/Gas) ha progressivamente promosso una riduzione dei costi riconosciuti, rispetto a quelli effettivi, e da ultimo, con la precitata delibera 570, la pretesa di orientare il sistema tariffario verso un unico costo efficiente standard, non più differenziato per le diverse classi dimensionali. Dove, pertanto, la summenzionata prima gamba non ha condotto ad un consolidamento ordinato del settore, la regolazione, attraverso una interpretazione distorta dell’art.23 c.4 del D.Lgs 93/11 (riconosce il potere ad ARERA di promuovere, anche attraverso misure tariffarie, aggregazioni tra operatori con meno di 50.000 clienti), ha motivato la “strozzatura” tariffaria come coerente e funzionale con il potere di promuovere aggregazioni tra operatori della distribuzione medio-piccoli. Peccato che la predetta “strozzatura” morda anche gli operatori medi e non solo i piccoli.

Come già summenzionato, tale disegno colpevolmente si è limitato alla componente dei costi operativi, nulla disponendo per le modalità di generosa capitalizzazione attuata da alcuni operatori maggiori. Come noto la remunerazione delle immobilizzazioni si basa sul riconoscimento di un WACC unico di settore, definito con una articolata serie di parametri al fine di consentire la sostenibilità finanziaria degli investimenti oltre ad una adeguata remunerazione degli azionisti. Tutto vero? Anche qui dobbiamo dire no perché il costo del debito è sensibilmente diverso tra operatori e chiaramente rispecchia la loro dimensione e forza patrimoniale: se i grandi riescono a finanziarsi con uno spread molto contenuto rispetto all’Euribor, i medio-piccoli si trovano a dover riconoscere anche 300 punti base di maggiorazione. Dal 2009 al 2021 il differenziale tra WACC ed Euribor è stato stabilmente sopra i 600 punti. Sceso nel 2022, è arrivato nel 2023 a circa 150 punti base, il che, senza dover ricorrere a analisi sofisticate, fa emergere un differenziale negativo per i possibili, in alcuni casi dovuti, investimenti dei distributori del gas naturale.

Da ultimo, atteso il ruolo del gas e delle relative reti di distribuzione nel processo di decarbonizzazione, vale la pena sottolineare, come emerge da studi già fatti ed altri in corso, la definizione del settore residenziale come hard to abate, in particolare per gli edifici esistenti. Gli interventi del superbonus, le modifiche in corsa a livello comunitario sulla normativa sulle caldaie come anche sulle emissioni fuggitive di metano appaiono coerenti a supporto del permanere del ruolo del gas e del fatto che i consumatori, diversamente dai normatori, fanno le loro analisi costi benefici. Quello che drammaticamente non si coglie è la visione dei decisori riguardo a questo settore e alla esigenza di guidare il percorso di evoluzione delle reti con soggetti qualificati ed in grado di accompagnare la sfida della decarbonizzazione.