A chi segue con regolarità i processi di decarbonizzazione dei sistemi elettrici, il Piano Nazionale Integrato Clima ed Energia (PNIEC) non dice molto di nuovo. Sarà l’effetto di uno sguardo inevitabilmente veloce a un documento che si compone di 415 pagine articolate secondo una struttura espositiva poco lineare, ma sembra il compito diligentemente svolto da tre Ministeri per soddisfare le scadenze previste dall’Unione Europea. La prima impressione è che la sua lettura rischi di ingenerare più confusione che chiarezza sulle strategie che si intendono perseguire. E più scoramento che fiducia sulla realizzazione degli obiettivi.
Nel PNIEC non ho trovato elementi utili a capire come l’Italia intende muoversi negli ambiti che sono oggi cruciali per il settore elettrico. Banalmente, non entra nel merito della riforma dei mercati, che è un argomento politico molto attuale in sede europea dopo l’impennata dei prezzi all’ingrosso seguita all’invasione dell’Ucraina. Una riforma da approvare il prima possibile soprattutto per gettare le basi per l’integrazione nei mercati e nei sistemi elettrici di quote di produzione rinnovabile sempre più alte. È vero che le soluzioni coinvolgono questioni tecniche molto intricate. Ed è giusto lasciare la loro definizione agli enti preposti -autorità di regolazione e gestori di mercati e di reti. Essi, però, non saranno in grado di svolgere al meglio le loro funzioni fino a quando non riceveranno indirizzi politici precisi su alcune scelte di fondo dirimenti.
Da questo punto di vista, un paio di passaggi del PNIEC 2023 sollevano domande senza fornire risposte certe. Mi riferisco al possibile superamento del Prezzo Unico Nazionale (PUN) al 2025 (p. 275). E mi riferisco alle misure specifiche per la salvaguardia e il potenziamento degli impianti esistenti, dove sono inseriti il rinnovo delle concessioni idroelettriche, che dovrebbe concludersi il 31 dicembre 2023, e il repowering degli impianti eolici (pp. 178 e seguenti).
Nel primo caso non vi è traccia di discussione sui pro e contro delle varie alternative (prezzo nazionale, prezzi zonali e prezzi nodali) e sulle modalità con le quali ogni alternativa potrebbe essere attuata. Un dibattito che è molto acceso nel Regno Unito e offre spunti molto interessanti sia dalla prospettiva dell’operatore di sistema, National Grid, sia dalla prospettiva dei produttori FER.
Nel secondo caso, non si toccano aspetti economici cruciali, che sono centrali nella proposta di riforma in discussione a Bruxelles: le condizioni alle quali anche questi casi potrebbero rientrare nel campo di applicazione dei contratti per differenze, che sono ritenuti uno strumento adatto a controllare le rendite infra-marginali e a promuovere investimenti per la decarbonizzazione. Leggere per credere: “ With the recent high prices much (cheap) publicly supported energy has been receiving these high market prices. To curb this and so stabilise prices, investment support should be structured as “two-way” (two-way contract for difference), which set a minimum price but also a maximum price, so any revenues above the ceiling are paid back. The proposal will apply to new investments for the generation of electricity, which include investments in new power-generating facilities, investments aimed at repowering existing power-generating facilities, investments aimed at extending existing power-generating facilities or at prolonging their lifetime” (p. 5 della proposta presentata al parlamento europeo il 14 marzo scorso COM(2023) 148 final).
Il PNIEC non è neanche un documento nel quale sia facile e immediato raccordarsi armonicamente con gli scenari di lungo termine al 2050. Almeno non lo è in questa fase, visto che si dice esplicitamente che il Governo aggiornerà la Strategia di lungo termine presentata nel 2021 una volta finalizzato il PNIEC. E, chissà, magari a quel punto sarà già arrivata una nuova scadenza per inviare a Bruxelles un nuovo Piano o una nuova Strategia. Questo, banalmente, significa che il Governo non si assume nel PNIEC 2023 il rischio di prendere una posizione esplicita sul ruolo effettivo che avrà o non avrà il nucleare nelle strategie di decarbonizzazione dopo il 2030. Argomento che in queste settimane è tornato a essere, per l’ennesima volta dopo il referendum del 1987, oggetto di accese controversie.
Il traguardo degli obiettivi del PNIEC per il settore elettrico era il 2030 quattro anni fa, rimane il 2030 oggi. Personalmente avrei preferito che gli obiettivi slittassero al 2035, in modo da avere un documento di programmazione con un orizzonte temporale di riferimento più o meno costante. Restare fissi sul 2030 finisce per dare ancora più evidenza al fatto che mentre l’Italia stava arrancando per rimanere in scia agli obiettivi del PNIEC 2019, l’Unione Europea alzava l’asticella al 2030 dal 55% al 65%.
Cosa significa tutto questo in poche cifre? Nel Piano di quattro anni fa, l’Italia doveva aumentare la penetrazione delle fonti rinnovabili nel mix elettrico di 21 punti percentuali in 13 anni (vedi tabella 11). Secondo il PNIEC 2023, nei quattro anni trascorsi la quota è salita di appena 1,9 punti e dovrebbe pertanto crescere di 29 punti nei 9 anni successivi (tabella 12).
Tabella 11 – Obiettivi e traiettorie di crescita al 2030 della quota rinnovabile nel settore elettrico (TWh)
Fonte: PNIEC 2019
Tabella 12 – Obiettivi di crescita al 2030 della quota rinnovabile nel settore elettrico
Fonte: Bozza PNIEC 2023 su RSE e GSE
Visti i numeri, ovviamente si fatica a essere fiduciosi della possibilità di centrare i nuovi obiettivi. Un leggero scoramento si manifesta quando si legge che il raggiungimento degli obiettivi FER al 2030 nel settore elettrico è una delle condizioni indicate dal Governo nel PNIEC per concludere il Phase-out dal carbone (p. 206), dopo che il processo era stato di fatto sospeso per ridurre l’esposizione del settore elettrico agli impatti delle sanzioni inflitte alla Russia.
La mancata conclusione del Phase-out dal carbone nei tempi previsti avrebbe un effetto sulla decarbonizzazione più simbolico che sostanziale. Ma sarebbe, ritengo, uno dei pochi casi in cui il PNIEC 2023 avrebbe un effetto più sostanziale che formale.