L'invasione russa dell'Ucraina ha rinnovato l’attenzione sull'uso delle risorse energetiche come "armi" geopolitiche. Il petrolio e il gas naturale - le due principali fonti di esportazione di energia della Russia, nonché le principali fonti energetiche per l'UE e gli Stati Uniti, – nello scontro fra le parti sono state utilizzate in modo differente. In particolare, la Russia ha cercato di sfruttare la dipendenza dell'UE dalle sue esportazioni di gas naturale per indebolire il supporto comunitario a Kiev, mentre, a loro volta, l’UE, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno utilizzato sanzioni petrolifere nella speranza di limitare le azioni militari di Mosca in Ucraina. Le strategie sono il riflesso della percezione che ciascuna parte ha della propria leva, che a sua volta dipende dal modo in cui il petrolio e il gas sono accessibili, scambiati e utilizzati, nonché da una serie di altri fattori, alcuni dei quali sopravvalutati e che hanno erroneamente supportato l’idea di fare delle commodities energetiche una leva di natura geopolitica. A questi, però, se ne devono aggiungere altri che hanno inaspettatamente limitato la capacità di entrambe le parti di utilizzare queste armi (si veda il nostro rapporto approfondito disponibile qui).

Il primo di questi fattori afferisce al fatto che mentre quello del petrolio è un mercato globale, quello del gas naturale non lo è. E questo spiega perché se la Russia avesse tagliato le forniture di petrolio, questa decisione avrebbe dispiegato i suoi effetti immediatamente in tutto il mondo, danneggiando non solo Europa e Stati Uniti, ma anche altri attori chiave come Cina e India, grandi importatori di petrolio e non così inequivocabilmente ostili all'invasione russa. Al contrario, essendo il commercio di gas naturale  su base regionale, con solo una frazione dei volumi flessibili a livello globale, la decisione di chiudere i rubinetti ha avuto un impatto diretto principalmente per l’Europa. Lo stesso GNL è una commodity molto più complessa da trasportare e i suoi flussi sono limitati a luoghi in cui esistono già costose infrastrutture, il che spiega perché è stato difficile, e molto oneroso, per l'Europa sostituire i volumi di gas russo.

Relativamente al secondo aspetto: mentre il petrolio può contare su un supporto strategico, il gas no. Il petrolio è stato al centro della politica di sicurezza energetica sin dall'embargo petrolifero arabo di 50 anni fa, e da allora sono state implementate politiche di sostegno al comparto, quali la detenzione di scorte strategiche da parte dei consumatori e la spare capacity nei paesi produttori. Quanto alle prime, nel 1974,  l’Agenzia Internazionale per l'Energia di Parigi fu incaricata della gestione delle scorte di petrolio dei paesi membri: volumi stoccati che possono essere rilasciati in modo coordinato per evitare carenze di approvvigionamento e picchi di prezzo.  Nel contesto attuale, tali scorte potrebbero aiutare l'Europa e gli Stati Uniti ad affrontare man mano l’ammanco di volumi russi. La spare capacity, invece, ovvero capacità aggiuntiva di petrolio, è un altro meccanismo di sostegno, sebbene detenuto principalmente da Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti dell'OPEC. L’aumentare o diminuire della spare capacity potrebbe influenzare al ribasso o al rialzo i prezzi. Tuttavia, nell’ottobre scorso, questo meccanismo non è stato adoperato e  l'OPEC e i paesi cooperanti come la Russia hanno preferito attuare ampi tagli alla produzione per influenzare le quotazioni del greggio. Nessuno di questi strumenti attualmente esiste per il gas naturale.

Passando al terzo aspetto: il gas deve affrontare criticità legate allo stoccaggio e al trasporto. Oltre alla mancanza di programmi strategici simili a quelli per il petrolio, in Europa il gas sconta la presenza di uno stoccaggio commerciale non solo insufficiente e non uniformemente distribuito, ma anche difficile da gestire per ragioni di costo elevati e infrastrutture costose che richiedono tempo per essere costruite. Inoltre, il fatto di essere trasportato per la maggior parte via gasdotto, ha sostenuto negli anni la dipendenza dal gas russo. Una rigidità infrastrutturale che oltre l’Europa ha riguardato, inevitabilmente, anche la Russia. Mosca sta, infatti, riscontrando serie difficoltà a trovare nuovi mercati dove allocare il suo gas.

Di contro, il gas presenta dei vantaggi rispetto al petrolio. In primis, è una fonte più facilmente sostituibile con altre. Infatti, nonostante l’Europa dipendesse pesantemente dalle forniture di gas di Mosca, è riuscita, anche se a un costo elevato, a sopperire all’ammanco russo, ricorrendo in maniera più massiccia alle fonti rinnovabili, posticipando la chiusura di impianti nucleari (come in Germania), massimizzando l’utilizzo del carbone. La stessa cosa non si può dire per il petrolio, la cui sostituibilità con altre fonti è inferiore.

In secondo luogo, il gas è meno sensibile del petrolio agli eventi politici. La politica dei "prezzi alla pompa" aiuta a spiegare le azioni relativamente tiepide di USA/UE sul petrolio. A differenza del gas naturale, una quota maggiore di prodotti petroliferi viene consumata da individui e famiglie (soprattutto negli Stati Uniti) e le improvvise e ampie variazioni di prezzo sono spesso imposte politicamente. Inoltre, solitamente i prezzi del gas naturale per i consumatori vengono aggiornati con alcuni dei mesi di ritardo essendo basati sui contratti di acquisto di lungo periodo, consentendo ai governi un margine di tempo per trovare una soluzione calmieratrice, così come successo in questi mesi. Stessa dinamica per i prezzi dell'elettricità, sovvenzionati da molti governi dell'UE.

In terzo luogo, è meno complesso del petrolio. I gradi API (nome dovuto all’American Petroleum Institute che ha sviluppato tale unità di misura)   variano a seconda del tipo di greggio, il che influisce sulla capacità delle raffinerie di utilizzare una qualità invece che un’altra. Tra l’altro, una volta lavorati in raffineria, i prodotti petroliferi sono altrettanto complessi e diversificati. Questo spiega perché nella storia delle sanzioni, come quelle inferte a Iran e Venezuela, non siano estranee politiche per bypassarle: politiche, che, secondo rumors, i funzionari iraniani avrebbero condiviso con la Russia.

La complessità dei fattori sopra esposti ha reso difficile, almeno fino a ora, per entrambe le parti, utilizzare l’energia quale arma efficace per colpire l’avversario. Ricapitolando:

  • La dipendenza dal petrolio, quale principale fonte energetica (senza un sostituto immediatamente utilizzabile) negli Stati Uniti e nell'UE, insieme alla natura globale del mercato petrolifero, ha fortemente limitato l’efficacia delle politiche occidentali volte a contenere le esportazioni e le entrate petrolifere russe.
  • I sostegni strategici quali la spare capacity dell'OPEC e scorte di emergenza occidentali hanno fornito meno flessibilità di quanto sperato. Il miglior risultato che le sanzioni occidentali hanno conseguito è stato costringere Mosca ad applicare sconti sul greggio venduto ai nuovi acquirenti  (ed  estendere questi sconti ai prodotti raffinati).
  • Per il gas naturale, la riduzione della domanda (avvenuta in ragione di misure di emergenza, clima mite e prezzi troppo elevati) e forniture alternative hanno permesso all'Europa di sopravvivere all'inverno 2022-23, senza incorrere in una crisi energetica conclamata, anche se a un costo esorbitante. Inoltre, ironia della sorte, la mancanza di flessibilità da un punto di vista infrastrutturale, ha fatto sì che non tutto il gas naturale russo invenduto in Europa abbia trovato nuovi mercati.

Questo per dire, che come dimostra l’evolversi degli eventi dopo l'invasione russa dell'Ucraina, le percezioni che le parti hanno avuto della leva energetica geopolitica si sono in gran parte rivelate imprecise o incomplete.

L’arma energetica, quindi, è un mito? La guerra è raramente una scienza esatta. Fare la guerra è un'arte che richiede abilità significative. Ovviamente, non si può parlare di fallimento completo di una politica di utilizzo dell’energia come arma, perché entrambe le parti hanno subito gravi colpi e ne hanno inferti altrettanti. Tuttavia, sia la Russia che l’Occidente hanno letto male le strutture di mercato e commerciali, tanto del petrolio quanto del gas. Motivi economici - vale a dire variazioni significative dei prezzi - possono incentivare grandi e rapidi cambiamenti nel comportamento dei produttori e dei consumatori. Così anche se la battaglia sul campo dovesse concludersi, la guerra energetica potrebbe continuare. Gli eventi al di fuori del controllo di entrambe le parti potrebbero aver creato un falso senso di sicurezza: per l'Europa non si può parlare di vittoria delle politiche sanzionatorie antirusse, né tanto meno definire il superamento dell’inverno senza troppe criticità come un successo. E questo perché se si è potuto evitare il peggio, ciò si deve a un clima invernale mite e a una buona disponibilità di GNL sul mercato dovuta alla minore richiesta dei buyers asiatici. Al contrario per la Russia, aver potuto contare su un output petrolifero sostenuto e quindi su laute entrate è ascrivibile al bisogno di quella determinata qualità petrolio e ai prezzi elevati del greggio. Ma quale sicurezza abbiamo che tali condizioni possano replicarsi in futuro?

Pertanto, se sul breve termine, l'importanza strategica del petrolio e del gas naturale nelle politiche energetiche tanto dei paesi occidentali quanto della Russia rende queste commodities due armi geopolitiche, futuri adattamenti da entrambe le parti potrebbero alterare l’efficacia di questa strategia. La Russia sta lavorando sulle infrastrutture per sviluppare nuovi mercati del gas naturale al di fuori dell’Europa, mentre politiche climatiche più stringenti potrebbero ridurre nei prossimi anni la dipendenza europea e statunitense dal petrolio e dal gas naturale.

 

Mark Finley è Fellow in Energy and Global Oil presso il Baker Institute. Prima di entrare a far parte del Baker Institute, Finley era un economista senior presso BP. Per 12 anni ha guidato la predisposizione della BP Statistical Review of World Energy, la raccolta più longeva al mondo di dati oggettivi sull'energia globale.

Anna Mikulska is Fellow in Energy Studies alla Rice University’s Baker Institute e Senior Fellow al Foreign Policy Research Institute.


La traduzione in italiano è stata curata dalla redazione di RiEnergia. La versione inglese di questo articolo è disponibile qui