La guerra in Ucraina ha rappresentato un momento di rottura nell’attuale ordine globale. Sebbene ci vorranno diversi anni per comprendere compiutamente il valore e gli impatti di questi eventi, è altresì evidente che alcuni mutamenti sono già in essere e in questo senso il teatro del Medio Oriente, e in particolare quello del Golfo Persico, si è mostrato più ricettivo e capace di comprendere il senso di queste trasformazioni. In quest’area, infatti, gli intrecci molteplici tra la politica interna e regionale da una parte, e gli interessi internazionali delle grandi potenze dall’altra, sono tutt’altro che marginali, frutto di più fattori multidimensionali concomitanti e collegati tra loro.

Non a caso, la guerra in Ucraina ha rappresentato una grande opportunità per gli Stati rentier del Golfo sia nello spezzare la dipendenza energetica europea dal gas russo, sia nell’acquisire un nuovo peso e status internazionale utile ad influenzare le relazioni geopolitiche e di sicurezza regionali e globali. Anche in virtù di ciò, tutti gli attori regionali hanno evitato di allinearsi apertamente con Russia o Ucraina (e quindi anche con l’Occidente), optando per una certa equidistanza volta a proteggere le loro posizioni e interessi dentro e fuori l’area MENA. Nella maggior parte dei casi, si sono astenuti dal condannare esplicitamente l’aggressione russa e non si sono uniti negli sforzi occidentali di sanzionare economicamente il Cremlino. L’accondiscendenza mostrata nei confronti di USA e UE, specie nel voto di condanna della mozione statunitense contro la Russia durante l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del marzo 2022 è solo il risultato delle pressioni diplomatiche occidentali – come nel caso degli Emirati Arabi Uniti – piuttosto che di una sincera presa di posizione nei confronti di Mosca.

Tale ambiguità strategica ha portato loro in dote una maggiore legittimità e responsabilità nella governance globale, riflettendo in buona parte quei cambiamenti visibili nelle crescenti tendenze al multipolarismo e nel quale la stessa area MENA si muove nel suo complesso. Proprio in quest’ottica ricadono alcuni eventi recenti come il crescente ruolo cinese in Medio Oriente e, in particolare, nel Golfo come mostrato plasticamente dall’intesa Arabia Saudita-Iran (aprile 2023), oppure la decisione in sede di OPEC+ (giugno 2023) di tagliare la produzione mondiale di petrolio su spinta di Riyadh (e su chiaro interesse di Mosca). Questi due eventi sono non solo importanti, ma dicono molto di come stia cambiando la sub-regione, le dinamiche intorno ad essa e come gli attori dell’area percepiscano il multipolarismo esistente dentro e fuori i confini del Golfo. Un approccio dinamico fatto di diversificazione delle relazioni e delle partnership, non più solo e soltanto in chiave economico-energetica, ma anche potenzialmente su una base di proposta politica – più o meno dichiaratamente – in chiave critica nei confronti degli USA.

Se quindi il focus nel Golfo è stato mirato a virare sempre più lo sguardo a Est e all’Asia, in questo mondo che cambia, l’Unione Europea rischia di rimanere a guardare e di non riuscire a cogliere le enormi potenzialità delle trasformazioni in corso perché troppo fossilizzata su dinamiche strettamente domestiche e/o di natura conflittuale transregionale. Una condizione nuova e potenzialmente favorevole in grado di definire un nuovo step relazionale dopo gli ultimi due decenni di rapporti altalenanti, nei quali Bruxelles e le cancellerie nazionali in ordine sparso hanno mostrato un interesse poco organico e strutturato verso il Golfo Persico. In quest’ottica anche la nomina di un inviato speciale nella regione potrebbe essere un segnale di cambiamento, del quale soprattutto l’Italia deve sfruttare le opportunità enormi che gli si potrebbero presentare, data la nomina dell’ex Ministro degli Esteri Luigi Di Maio quale neo inviato speciale UE per il Golfo.

Ecco quindi che l’attuale contesto operativo e le opzioni che possono presentarsi in una più stretta collaborazione tra UE e player del Golfo saranno una condizione difficilmente rinunciabile nel prossimo futuro. Se la dimensione geo-economica ed energetica è quella prevalente nelle relazioni reciproche (le due aree rappresentano il 20% del PIL mondiale), è altresì vero che una ricerca di stabilità in tutte le sue forme e ambiti di interesse nello scacchiere mediorientale non può che essere una base di partenza su cui lavorare per tessere rapporti sempre più stretti. Dalla minaccia nucleare iraniana alla cooperazione politica e di sicurezza nelle aree di crisi quali Yemen, Siria, Libia e nel Mediterraneo, fino ad arrivare al conflitto russo-ucraino. UE e monarchie del Golfo possono lavorare, quindi, insieme per trovare una prospettiva comune su cui definire un’agenda strategica di lungo periodo, entrambe le parti con le opportune peculiarità. In questo senso, però, sarà chiaro definire degli obiettivi minimi che non possono transigere dalla preservazione di un ordine internazionale liberale, dalla conservazione e dalla messa in sicurezza delle linee di comunicazione marittime e terrestri, nonché dallo sviluppo di interconnessioni logistiche, infrastrutturali e digitali innovative perché utili a entrambi per garantire sviluppo, benessere, stabilità e collegamenti con le catene di valore globali, delle quali Europa e Golfo sono puntelli fondamentali.

In questa prospettiva, le conclusioni del 26° Consiglio congiunto UE-GCC del febbraio 2022 di Bruxelles possono essere un punto di partenza concreto per elaborare una chiara e condivisa strategia nella quale inquadrare la partnership, i suoi obiettivi e le politiche da perseguire, in modo da rinsaldare quello che potrebbe essere un rapporto alla pari e non solo di stampo energetico, nel quale l’UE si impegnerebbe a riconoscere alle monarchie arabe del Golfo un definitivo ruolo di attore geo-strategico sempre più globale. Ancora una volta, dunque, sarà il tempo e la volontà europea a chiarirci se le parti incontreranno sfide e punti di convergenza comuni lungo il percorso o se questo passaggio diverrà un’ennesima occasione persa in un rapporto che rischia, soprattutto in chiave Golfo, di deragliare verso altri lidi.