Nella lotta alla pandemia e nella risposta all’invasione russa dell’Ucraina, l’Unione Europea ha mostrato una certa solidità e una capacità di risposta comune. Ora, però, la risposta alla crisi energetica sembra porre una sfida molto più divisiva e fa emergere una serie di tensioni e crepe, soprattutto nei rapporti tra i paesi fondatori maggiori.  A dinamizzare il quadro ha contribuito sicuramente la decisione tedesca di varare un poderoso piano nazionale di sostegno alla sua economia. I 200 miliardi di euro stanziati rappresentano, infatti, un bazooka che la Germania utilizzerà non solo per evitare che le famiglie e le imprese tedesche vengano gelate dalla stretta energetica, ma anche per far sì che il complesso dell’economia tedesca rimanga competitivo nonostante la crisi.  

Il piano tedesco ha suscitato, in effetti, molte preoccupazioni, e per la prima volta la Germania si è trovata a dover spiegare il proprio operato: lo ha fatto il cancelliere Scholz, che ha definito il piano “giustificato” dalle circostanze e lo ha fatto il ministro dell’Economia, il liberare Lindner, che si è speso negli incontri del Lussemburgo per dare rassicurazioni ai partner europei. Da parte della Commissione Europea sono emersi alcuni rilievi circa l’impatto che questo potrebbe avere sul mercato interno: si possono, infatti, immaginare degli effetti distorsivi per il mercato comune, nel quale le imprese tedesche si troverebbero avvantaggiate rispetto a quelle degli altri paesi. È questo il punto sollevato dai Commissari Breton e Gentiloni, ai quali i tedeschi hanno fatto, però, presente che si tratta di un piano pluriennale (che non si limita all’inverno 2022 ma che si proietta sulle annualità 2023 e 2024). Rimane, tuttavia, il fatto che l’ampiezza, sia qualitativa che quantitativa, del programma fa emergere due rilievi critici: il primo riguarda, al di là degli aspetti tecnici, l’effettivo impatto distorsivo della concorrenza che il piano potrebbe avere sull’economia europea. Non a caso vi è stato chi ha descritto questo programma come un massiccio aiuto di Stato; il secondo rilievo è di natura politica e riguarda i negoziati europei. Il piano tedesco, come in generale i piani nazionali varati dai governi per fronteggiare la crisi, rappresenta una risposta di uno Stato sovrano, ma rende di fatto più problematico il raggiungimento di un compromesso in sede comunitaria.  

Vi è un ulteriore aspetto politico più profondo che tocca il cuore dei rapporti tra la Germania, da un lato, e gli altri due paesi fondatori, Francia e Italia, dall’altro. Per quel che riguarda l’Italia, il fatto che in quest’ultimo paese si siano tenute le elezioni ha di fatto portato a un rinvio del confronto con gli altri attori. Il fronte dei rapporti franco-tedeschi è stato, invece, oggetto di diverse sollecitazioni in questi giorni. Come rilevato dai maggiori quotidiani internazionali non sono mancate, infatti, le prese di distanza tra i rappresentanti dei due paesi. Si è diffusa l’impressione che questa volta i due membri dell’UE, che tradizionalmente vengono rappresentati come il motore pulsante dell’Unione, siano tendenzialmente incapaci di superare le reciproche divergenze.

È stato soprattutto sul price-cap del prezzo del gas che Parigi e Berlino si sono mostrati distanti, al punto da obbligare a un rinvio degli incontri bilaterali. I francesi, per parte loro, non hanno celato la loro irritazione per quella che considerano una risposta nazionale (e per certi versi antieuropea) alla crisi energetica, mentre i tedeschi hanno rinfacciato ai francesi l’adozione di una strategia che, puntando al partenariato strategico con la Spagna, di fatto allontana Parigi da Berlino. Nello specifico, la recente svolta francese, che ha posto fine al progetto Midcat, sostituito da BarMar, - un “corridoio verde” che dovrebbe collegare Barcellona a Marsiglia-, è stata mal digerita a Berlino, non tanto perché questa svolta avrà effetti immediati negativi, ma perché vi è stata vista la volontà di Parigi di non limitarsi ad essere paese di transito ma di assurgere, invece, al ruolo di venditore di energia alla Germania. Le tensioni sul fronte energetico si sommano ad altri motivi di frizione, da quelli relativi all’industria della difesa a quelli legati al rapporto con la Cina. Con riferimento a quest’ultimo dossier, si rileva come la decisione di Scholz di dare seguito alla pretesa cinese di acquisire una posizione dominante nel porto di Amburgo abbia creato un certo sconcerto a Parigi, così come nelle altre cancellerie. Questo sia perché si è percepita la volontà della Germania – segnatamente del suo cancelliere – di mantenere una partnership strategica con Pechino, sia perché è venuta meno l’idea di un approccio concertato nei confronti della presenza cinese nel sistema economico europeo. Gli addetti ai lavori spiegano però che, nonostante tutto, l’asse franco-tedesco è destinato a tenere perché l’interconnessione tra i due paesi è troppo profonda e strutturata.  

Sullo sfondo rimane l’interrogativo circa il modo in cui l’Italia si inserirà in questo discorso. A rendere questo aspetto più complesso vi è l’asimmetria politica: il fatto che in Italia vi sia un governo di destra rende problematico il dialogo sia con il governo francese che con quello tedesco. Sebbene per ragioni diverse, per entrambi i governi la destra rappresenta un tabù e questo spiega, in una qualche misura, il tenore del primo incontro tra Macron e Meloni. Ma al di là di tutto, l’Italia rimane un paese alla ricerca di un approccio comunitario e non autarchico alla crisi energetica e questo fa sì che, almeno per il momento, Roma appaia più vicina a Parigi che a Berlino. E chissà se il trattato del Quirinale tra Italia e Francia, ad avviso di tanti poco utile e concreto, non finisca per giocare un ruolo importante in questa partita.  

Federico Niglia insegna Storia delle relazioni internazionali all’Università per Stranieri di Perugia ed è Consigliere Scientifico dell’Istituto Affari Internazionali.