Nell’ultima settimana di settembre, le due linee del gasdotto Nord Stream 1 e una linea del gasdotto Nord Stream 2 sono state colpite da atti di sabotaggio nelle zone economiche esclusive di Danimarca e Svezia. Tali atti hanno provocato massicce fughe di metano e la possibile compromissione permanente delle linee colpite. L’evento segna la potenziale emersione di una nuova fase della partita energetica che sta accompagnando il conflitto in Ucraina. Finora il confronto fra Russia e Occidente è rimasto nei limiti della guerra economica, combattuta da un lato attraverso le sanzioni e dall’altro attraverso la manipolazione dei flussi di gas. L’attacco a Nord Stream - un atto di escalation in corrispondenza della svolta impressa dalla Russia con la mobilitazione parziale e l’annessione delle regioni occupate - potrebbe implicare il passaggio a forme di guerra ibrida.

Nord Stream è da anni oggetto di tensioni politiche. Se la Germania, punto di ingresso dei gasdotti, ne ha promosso la dimensione commerciale, altri paesi – in particolare Polonia, paesi Baltici, Ucraina e Stati Uniti – ne hanno sottolineato i rischi politici, fra cui l’eccessiva dipendenza del complesso industriale tedesco dal Cremlino e i margini di manovra che tale corridoio avrebbe garantito alla Russia in Europa orientale grazie alla diversione dei flussi attraverso Ucraina e Bielorussia. Il sabotaggio pone dunque interrogativi sia dal punto di vista economico che da quello politico.

Dal punto di vista economico, la perdita di Nord Stream non stravolge la dinamica dei flussi degli ultimi mesi. La Russia aveva, infatti, già sospeso le forniture attraverso Nord Stream 1 dalla fine di agosto con argomentazioni tecniche e legalistiche. I flussi attraverso Nord Stream 2 non sono invece mai iniziati a causa della sospensione della certificazione della pipeline da parte della Germania seguita al riconoscimento russo delle repubbliche di Donec’k e Lugansk alla vigilia dell’invasione. La distruzione di Nord Stream 1, tuttavia, consolida uno scenario particolarmente difficile per l’inverno. La regione servita dal gasdotto rischia di avere serie difficoltà in caso di picchi di freddo a gennaio, e giungere comunque con gli stoccaggi vuoti a marzo senza significative riduzioni nella domanda. Prospettiva poco allettante, visto che la rigidità dell’offerta dovrebbe estendersi al 2023 con rischi per il riempimento degli stoccaggi entro l’inverno 2023/24.

Dal punto di vista politico, si profilano impatti considerevoli. Mentre da parte occidentale si è finora evitato di formulare esplicite accuse alla Russia, il Presidente russo ha direttamente accusato una mano “anglosassone” apparentemente interessata a compromettere l’economia europea. Tale scelta terminologica denota la natura propagandistica della reazione russa, volta sia a seminare sospetti all’interno del campo occidentale che da parte delle opinioni pubbliche europee nei confronti dei propri leader. Nel contesto bellico, infatti, l’inutilizzato Nord Stream 2 è servito a Mosca come strumento di manipolazione del discorso pubblico. Gazprom si è sempre detta pronta a utilizzare tale infrastruttura, attribuendo la responsabilità delle mancate forniture e degli alti prezzi all’ostinazione dei leader tedeschi nel non dare il via libera all’utilizzo del gasdotto. Il mantenimento dell’integrità di una delle due line di Nord Stream 2 (circa 27,5 miliardi di metri cubi annui di capacità, potenzialmente in grado di servire il 30% della domanda tedesca) consente alla Russia di continuare a insistere con questo messaggio, “rafforzato” dalla sopravvenuta impossibilità – ora oggettiva – di utilizzazione di Nord Stream 1.

L’accusa al campo occidentale consente, inoltre, alla Russia di andare oltre la manipolazione discorsiva. Da un lato, Mosca sfrutterebbe la situazione per liberarsi della responsabilità della crisi energetica, offrendosi in seguito al sabotaggio la possibilità di invocare forza maggiore per la violazione di contratti relativi ad un corridoio che non avrebbe forse più utilizzato. Dall’altro, potrebbe ritenere sé stessa in diritto di esercitare azioni retaliatorie di simile natura. Del resto, qualora la Russia esaurisse la sua leva sul mercato, una volta sospeso il transito sulle rotte rimanenti (ormai ridotto al TurkStream e ad un utilizzo parziale del corridoio ucraino, corrispondente a circa il 9% delle importazioni europee), la compromissione fisica del sistema energetico europeo si profilerebbe come unica modalità di prosecuzione della guerra energetica.

Dal punto di vista europeo, tale prospettiva è particolarmente inquietante. La nuova minaccia all’integrità fisica di infrastrutture energetiche emerge in una fase di particolare carenza di capacità. Fare a meno del gas di Mosca richiede la massimizzazione dell’utilizzo delle infrastrutture alternative – inclusi gasdotti e terminali di rigassificazione. Se gli attuali scenari per l’inverno indicano una – seppur drammaticamente costosa e dipendente da variabili meteorologiche – gestibilità dell’interruzione totale delle forniture russe, un’improvvisa interruzione di flussi alternativi implicherebbe un serio ammanco nelle disponibilità fisiche, con forti rischi di severi razionamenti e chiusure di comparti industriali. Insomma, l’Europa non può permettersi altri “incidenti”.

Per l’Italia, l’impatto è duplice. In primo luogo, la fine di Nord Stream significa non poter più contare da eventuali flussi da nord, compresi quelli norvegesi ormai destinati a coprire gli ammanchi in Europa settentrionale. In secondo luogo, l’Italia rischia di sostituire la Germania come principale obiettivo politico della manipolazione dei flussi russi. Il nostro paese, è infatti fra i pochi stati membri che ancora contano sul gas russo attraverso il corridoio ucraino. E vista la crescente tensione fra Gazprom e l’ucraina Naftogaz, la prospettiva di una chiusura totale appare difficile da escludere.

Sull’impatto di medio-lungo periodo si possono fare diverse ipotesi. La compromissione permanente di Nord Stream significa per la Germania dover rinunciare al ruolo di hub europeo del gas, anche qualora in futuro si normalizzasse la relazione energetica con la Russia. Anche nella remota ipotesi di una attivazione della linea di Nord Stream 2 rimasta integra, il corridoio potrebbe solo in parte servire la domanda domestica tedesca. A tale ipotesi, tuttavia, credono in pochi. Significativa invece la portata simbolica. Il sabotaggio affonda decenni di Ostpolitik energetica, compresa dalla Germania come assorbimento della Russia nel proprio spazio geoeconomico nello spirito del wandel durch handel – “cambiamento attraverso il commercio”. Il tramonto di una visione del mondo, che la distruzione fisica del gasdotto lascia immaginare forse irreversibile.

Altra conseguenza potrebbe essere un ulteriore danneggiamento della reputazione del gas. Già severamente compromessa dal punto di vista economico, l’attrattività di questa risorsa rimane ora  colpita dal punto di vista ambientale e dell’integrità fisica delle catene del valore. Un fattore da considerare per le prospettive di nuove infrastrutture di trasmissione come il gasdotto EastMed e il raddoppio di TAP – incluse nel piano RePowerEU di maggio, ma localizzate in contesti geografici caratterizzati da contese internazionali e da una certa leva politica e militare – da parte della Russia. Da questo punto di vista, l’idea di una riconfigurazione dei flussi europei che porti il Mediterraneo ad acquisire ulteriore centralità dovrebbe essere criticamente valutata – non solo sulla base della sicurezza, ma anche della presumibile accelerazione della riduzione della domanda europea di gas nel prossimo futuro.

Da non escludere, infine, che il caso Nord Stream imponga rivisitazioni su piani per il gas anche fuori dal contesto europeo. Con il divorzio energetico UE-Russia ormai espresso nelle sue componenti più materiali, l’UE non potrà che accelerare la sua marcia verso la riduzione dei consumi di gas. Meno chiaro, invece, come i futuri partner energetici della Russia interpreteranno gli eventi di questi giorni. Mentre la Russia cerca di riorientare i flussi verso l’Asia promettendo nuove connessioni con la Cina, quest’ultima dovrà attentamente bilanciare il vantaggio del futuro accesso a risorse russe a basso prezzo con il crescente rischio politico ad esse legato.