Dopo aver goduto di prezzi bassi dal 2014 al 2020 e una volta uscita dal buio profondo della pandemia, l’Europa ha iniziato a dover fare i conti con l’impennata dei prezzi energetici. Le iniziali dinamiche di mercato si sono via via legate con quelle politiche e militari. Infatti, se inizialmente il rialzo dei prezzi era ascrivibile ai fondamentali di mercato - quali la rapida ripresa della domanda dopo mesi di restrizioni e numerose criticità sul lato dell’offerta-, da fine 2021 a soffiare sulle quotazioni sono stati calcoli e motivazioni politiche. Nei mesi precedenti alla guerra, la Russia, infatti, ha deciso di ridurre i volumi disponibili sul mercato spot nonostante i prezzi alti, pur rispettando i volumi concordati nei contratti a lungo termine. Infine, il 24 febbraio 2022 con l’invasione russa dell’Ucraina, il mercato del gas ha iniziato a scontare il rischio di interruzioni pianificate e non. La guerra ha cambiato drasticamente il paradigma energetico-politico europeo. Per anni, i paesi europei hanno sviluppato e rafforzato le proprie relazioni energetiche con Mosca, che, di fatto, erano rimaste relativamente intatte anche durante le diverse fasi di tensione politica della Guerra Fredda e degli ultimi due decenni.
Lo scoppio della guerra, però, ha obbligato i paesi e le istituzioni europee, a riconsiderare la propria dipendenza e affrontare la vulnerabilità nei confronti della Russia. Il risultato è stato l’annuncio da parte degli Stati Membri di numerosi (e ambiziosi) piani di diversificazione delle forniture di gas al fine di ridurre l’eccessiva dipendenza dal gas russo (circa il 40% delle importazioni di gas europee nel 2021). Una dipendenza per la cui riduzione, secondo la Commissione Europea, è necessario un maggior apporto del gas naturale liquefatto (GNL), a cui si dà un ruolo centrale, e, in minor misura, delle importazioni via gasdotti alternativi a quelli russi (es. Norvegia, Nord Africa e Azerbaijan).
La sfida è particolarmente ostica visto il ruolo centrale del gas naturale nel settore energetico e industriale europeo. Tuttavia, l’esposizione ai rischi di interruzioni delle forniture, che in questi giorni si stanno materializzando per volere di Mosca, non è ugualmente distribuita. Da questo assunto, muovono le diverse strategie intraprese dagli stati e le difficoltà di trovare una politica comune per far fronte alla pressione politica da parte della Russia. La diversa condizione di dipendenza dal gas russo (e dal gas in generale) deriva del fatto che l’energia è una competenza condivisa tra gli stati membri e le istituzioni europee, ma nel corso degli anni, ogni stato membro ha condotto la propria politica di approvvigionamento energetico secondo i propri interessi e in relativa autonomia rispetto agli altri.
Vi è quindi il serio rischio di una mancanza di coordinamento e che gli stati finiscano a competere l’uno contro l’altro per assicurarsi forniture adeguate e alternative. Tra l’altro, ad oggi il mercato è particolarmente tirato sul lato dell’offerta, condizione che rischia di creare ancor più panico e indebolire la cooperazione tra gli stati europei – specialmente tra quelli ricchi e quelli con meno possibilità di spesa.
A condizionare le opzioni di diversificazione sono fattori diversi quali la rilevanza del gas russo e del gas in generale nel sistema energetico nazionale e la capacità di ricorrere, rapidamente, a forniture alternative.
Paesi come Italia e Germania soffrono di un’alta dipendenza sia di gas russo che di gas in generale. Per poterla ridurre, il governo italiano ha intrapreso numerose missioni diplomatiche, focalizzando il suo sforzo nel Mediterraneo e nell’Africa. Ha concluso alcuni accordi sia per aumentare le importazioni via tubo (Algeria) che via GNL (Egitto, Congo). Il nostro paese può godere, infatti, di una rete infrastrutturale che le permette potenzialmente di raggiungere una diversificazione adeguata, essendo interconnesso tramite gasdotti con Algeria, Libia e Azerbaijan – per non parlare dell’Olanda e Norvegia.
Ad aprile 2022, l’Eni, alla presenza del premier Draghi, ha siglato un accordo per una fornitura aggiuntiva di gas algerino (pari a 9 miliardi di metri cubi) entro il 2023-24, il che permetterà al paese africano di diventare il primo fornitore di gas per l’Italia, superando la Russia. Alla base di questo accordo c’è il fatto che il gasdotto che collega i due paesi (passando per la Tunisia) è attualmente sottoutilizzato (21 mld mc importati nel 2021 a fronte di 34 mld mc di capacità), il che rende l’opzione algerina una delle più rapide e con minor investimenti necessari. Inoltre, Eni ha concluso un accordo per una fornitura di 3 mld mc di GNL dall’Egitto. Le forniture da questo paese sono particolarmente appetibili, come dimostra anche il memorandum of understanding con Israele e l’Egitto firmato da Ursula von der Leyen per l’importazione di gas israeliano in Europa attraverso i terminali GNL egiziani.
Per poter ricevere maggiori volumi di GNL, Snam si è attivata per assicurarsi l’acquisto o il noleggio di rigassificatori galleggianti: a giugno 2022, la società italiana ha annunciato l’acquisto di Golar LNG, che inizierà ad essere funzionante dalla primavera 2023 e con una capacità di 5 mld mc. Snam nel frattempo sta negoziando per un secondo terminale galleggiante di dimensioni simili e si prevede che possano chiudersi le negoziazioni entro la fine del mese in corso.
La guerra ha ovviamente scosso anche la Germania, che è il più grande mercato per il gas russo. Da allora, il governo si è mosso per accelerare la costruzione di terminali di rigassificazione, dei quali il paese è attualmente sprovvisto. Infatti, il gas importato via tubo dalla Russia è stato uno dei cardini della politica industriale tedesca, rappresentando la soluzione maggiormente economica. Da febbraio però il governo ha deciso di investire nelle infrastrutture di ricezione del GNL, stanziando quasi 3 miliardi di euro e indicando come responsabili le due compagnie Uniper e RWE. Berlino si è affrettata a noleggiare quattro rigassificatori galleggianti (floating storage and regasification units, FSRU) superando le criticità del mercato (vista l’alta richiesta di questo tipo di infrastruttura) al fine di poter iniziare a importare GNL. Secondo il governo, il primo terminale galleggiante (Wilhelmshaven), di cui i lavori sono stati avviati da Uniper nel maggio scorso, dovrebbe poter ricevere il gas liquefatto già entro la fine dell’anno. Gli altri progetti Brunsbuttel (8 miliardi di metri cubi) e a Stade (12 miliardi di metri cubi) sono attesi successivamente. Nel frattempo, il ministro degli esteri tedesco ha intrapreso numerose missioni per assicurarsi i volumi necessari di gas e liberarsi dalla dipendenza dal gas russo, come dimostra il viaggio fatto in Qatar.
Spostandoci a Est, i paesi dell’Europa centrale e orientale insieme ai paesi baltici sono quelli potenzialmente più esposti a interruzioni e quelli in cui in cui massima è la rilevanza del gas russo sul mix energetico nazionale. Ciononostante, grazie a politiche di diversificazione delle forniture poste in essere negli anni, sono riusciti ad attutire meglio la riduzione dei volumi da Mosca. Per esempio, la Lituania ad aprile 2022 è stato il primo stato a poter interrompere le importazioni di gas russo grazie ad investimenti che aveva fatto nelle infrastrutture di GNL. Nel 2014, la Russia era l’unico fornitore di gas consumato in Lituania – anche se dal punto di vista di volumi importati la dipendenza era molto più contenuta rispetto a quella tedesca o italiana. Un ulteriore esempio è quello polacco, che ha sopperito all’ammanco russo grazie al terminale di rigassificazione di Świnoujście entrato in funzione nel 2015 e all’interconnessione tra Polonia e Lituania che connette il mercato baltico e finlandese con quello polacco.
La situazione quindi è complessa, e alto è il rischio di frammentazione e competizione, tanto che la Commissione europea ha istituito, ad aprile 2022, la EU Energy Platform, un meccanismo di coordinamento volontario per supportare l’acquisto di gas e idrogeno. Resta tuttavia da vedere se gli stati membri riusciranno a superare numerosi ostacoli (in primis la ritrosia in merito all’acquisto comune di gas) dando valore all’iniziativa e rafforzando il coordinamento tra gli stati membri. In questo caos, un dato è comunque certo: il cambio di paradigma dovuto dalla guerra russa in Ucraina ha sicuramente riposto la sicurezza energetica al centro delle agende politiche degli stati europei. Tuttavia, la corsa alla diversificazione richiede una profonda pianificazione e non è priva di ostacoli sia esterni che interni.
Pier Paolo Raimondi è Ricercatore del Programma Energia, Clima e Risorse dell’Istituto Affari Internazionali e Dottorando presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano