Anche se l’UE non imporrà un embargo totale al petrolio russo, le sanzioni ad oggi decise avranno comunque effetti molto pesanti sull’industria Oil&Gas di Mosca. Prima di tutto, per le compagnie russe sarà particolarmente difficile assicurarsi linee di credito internazionali e questo rappresenta un problema dato che queste ultime hanno tassi di interesse di gran lunga inferiori a quelli oggi praticati sul mercato russo che sono arrivati a toccare il 20%. Un dato senza precedenti.
Problematiche di questo tipo esistevano già e risalgono a dopo l’annessione della Crimea nel 2014 e al successivo divieto da parte di UE e Stati Uniti di fornire prestiti di breve periodo per alcune compagnie russe. In quel caso si trattava di sanzioni che hanno principalmente colpito la compagnia di stato Rosneft e Novatek, quest’ultima vicina al Cremlino, mentre hanno risparmiato alcune compagnie private come Lukoil. In quegli anni, però, anche quelle aziende raggiunte dalle sanzioni hanno trovato modalità diverse per finanziarsi, sia evitando i paesi che avevano imposto quelle restrizioni, sia avvalendosi di partner internazionali che hanno sviluppato progetti condivisi in Russia e sono stati in grado di provvedere al finanziamento di progetti specifici.
Con il nuovo pacchetto di sanzioni, imposto subito dopo l’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio del 2022, sono state vietate tutte le soluzioni di credito verso le compagnie russe; la stessa Lukoil, che ne era uscita indenne la prima volta, ora paga le conseguenze di queste iniziative. Di rimando, un partner finanziario svizzero di Lukoil, Litasco, ha recentemente confermato che la compagnia è stata costretta a ridurre le proprie attività a causa delle nuove restrizioni economiche. Per le compagnie russe, oggi diventa sempre più difficile ottenere crediti anche al di fuori dei paesi che hanno imposto le nuove sanzioni: la pressione morale è talmente elevata che diversi partner internazionali stanno pianificando di uscire dal paese.
In secondo luogo, le nuove sanzioni restringono l’accesso a sofisticate tecnologie nei settori dell’Oil & Gas. Alcune di queste restrizioni erano già attive dal 2014 e riguardavano, ad esempio, apparecchiature per la trivellazione in acque profonde (inclusi supporti digitali che le compagnie russe non hanno). In ragione della loro imposizione, la compagnia americana Exxon Mobil, partner di Rosneft, era stata costretta a terminare i progetti nel mare di Kara, nell’Artico russo. Ora, con le ulteriori restrizioni, gli effetti saranno ancora più devastanti in quanto ad essere colpite sono tutte le tecnologie che possono produrre petrolio e gas in Russia. In questo modo saranno a rischio, oltre ai progetti dell’Artico, anche quelli relativi all’esplorazione di altri giacimenti nella Siberia Orientale e attorno l’isola di Sakhalin, il cui output sarebbe destinato alla Cina. Minore capacità esplorativa, e quindi minore produzione, potrebbe tradursi nell’impossibilità di rispondere alla futura e crescente domanda di petrolio e gas di Pechino. Evenienza da scongiurare per la Russia che spera di riorientare verso l’Oriente il suo export, viste le crescenti tensioni con l’Occidente. Non poter accedere all’expertise tecnologico straniero comporterà anche un rallentamento dei progetti legati alla produzione di GNL. Il più importante terminal per l’esportazione di GNL, Yamal, non potrà espandere la sua capacità, rendendo impossibile per Mosca raggiungere l’obiettivo di coprire il 20% del mercato globale del gas liquefatto. Share, che al massimo, può mantenersi sui livelli attuali dell’8-10%.
Ancora, alle sanzioni tradizionali si aggiungono anche quelle “orizzontali” che derivano dalle decisioni delle compagnie di non continuare il proprio business in Russia a causa dell’immagine negativa che ne deriva. Imprese di servizi come Schlumberger e Baker Hughes stanno pianificando un’uscita dall’industria russa, il che vuol dire che i produttori avranno grosse difficoltà anche ad importare le attrezzatture necessarie. Non stupiscono quindi le dichiarazioni di alcuni producer petroliferi circa il timore che a risentire del clima di sanzioni sia anche il ciclo di vita dei giacimenti ora produttivi, che potrebbe ridursi per via della mancanza di know-how. Inoltre, la dipartita delle compagnie occidentali influenzerà negativamente non solo il settore degli idrocarburi ma anche le catene di valore industriali nelle filiere energivore. Un’esperta di industria economica russa, Natalia Zubarevich, ha spiegato recentemente che l’industria russa dipende dalle attrezzature e dalle soluzioni tecnologiche internazionali, visto che le apparecchiature di stampo sovietico sono oggi obsolete.
Il quadro diventa ancora più fosco se, poi, si aggiunge il fatto che un settore industriale più debole vuol dire minori consumi domestici di prodotti raffinati e quindi minori consumi di petrolio russo. Un dato non trascurabile, visto che circa metà dei profitti dell’industria petrolifera russa proviene proprio dal mercato interno. Il Ministero delle Finanze russo ha già anticipato che vi potrà essere un declino complessivo medio della produzione petrolifera del 17% entro la fine del 2022 rispetto all’anno precedente, mentre da giugno a dicembre il calo potrebbe essere addirittura del 30% se comparato con il secondo semestre del 2021.
Andrei Belyi (Founder of energy consulting firm Balesene OU, Tallinn, Estonia e Adjunct Professor in Energy Law and Policies of the University of Eastern Finland)