Il passaggio della Cina da esportatore netto a importatore netto di petrolio avvenuto a metà degli anni ‘90 ha certamente rappresentato uno dei momenti topici nel mercato petrolifero delle ultime tre decadi. Da lì, spinta da una apparentemente instancabile crescita economica, Pechino ha costantemente accresciuto la propria posizione nel mercato globale, fino al punto di superare gli Stati Uniti come maggiore importatore di petrolio a partire dal 2017. In tale contesto, soprattutto dal 2004 in avanti, la Cina ha messo in atto un significativo sforzo di diversificazione, sia per quanto riguarda l’origine che le vie di transito del petrolio, nell’ottica di mantenere una certa capacità di resilienza di fronte a situazioni di riduzione nella capacità di offerta dei principali partner petroliferi.
L’invasione russa dell’Ucraina non sembra rappresentare uno stress test particolarmente severo per la sicurezza energetica cinese. Tuttavia, il prospetto di un più o meno rapido affrancamento europeo dall’import di petrolio russo rende più che mai interessante la questione della possibilità per Pechino, nel breve e medio periodo, di approfittare delle quote di mercato lasciate libere dall’UE.
I primi cinque importatori di petrolio della Cina nel 2020 per volume
Fonte: Quartz / BP Statistical Review of World Energy 2021
Nel contesto della strategia di approvvigionamento petrolifero cinese, Arabia Saudita e Russia rappresentano le principali fonti. Nello scenario pre-guerra in Ucraina, Mosca garantiva a Pechino circa il 15% dell’import totale di petrolio, trasportato sia via mare che attraverso gli oleodotti East Siberian e Atasu-Alashankou. A marzo 2022, dunque a guerra in Ucraina già iniziata, si è assistito a una riduzione del 14% rispetto allo stesso mese del 2021 delle importazioni cinesi di petrolio russo, un crollo simile a quello subito dall’import di petrolio saudita. Pertanto, il calo è stato generale e conseguente alla combinazione congiunturale di fattori tecnici (manutenzione programmata di diversi impianti di raffinazione), ridotti margini economici per le raffinerie indipendenti e riduzione del consumo interno dovuto ai lockdown.
Come riportato da Reuters e da altre testate internazionali, le major statali cinesi Sinopec, CNOOC PetroChina e Sinochem hanno evitato di contrattare e farsi carico dei nuovi arrivi di petrolio previsti per il mese di maggio, mantenendo in essere e onorando i contratti già stipulati ma rinunciando a nuovi contratti proposti a prezzo significativamente scontato. Al contrario, le raffinerie indipendenti cinesi – che dal 2015 hanno la possibilità di importare petrolio siglando i propri contratti di importazione e che sono localizzate principalmente nella provincia di Shandong – sembrano sostenere in modo significativo i flussi di petrolio russo verso la Cina, che come riportato da Emma Li, analista di Vortexa, hanno visto nel mese di aprile un aumento del 20% dell’import via mare.
Quello che sembra delinearsi, dunque, è un trend simile a quello già visto nel caso delle importazioni di petrolio iraniano a seguito dell’embargo imposto dall’amministrazione Trump nel 2018. Le raffinerie indipendenti della provincia di Shandong sono infatti divenute il principale terminal globale dell’export petrolifero iraniano, sfruttando un’esposizione politica nettamente minore rispetto alle major statali cinesi, impossibilitate a importare petrolio dall’Iran a causa del rischio di sanzioni americane. Il petrolio russo, così come quello iraniano, risulta essere attraente per le raffinerie indipendenti cinesi, specialmente in un periodo in cui i forti sconti applicati ai greggi ESPO e URALS consentono margini importanti.
Quale scenario aspettarsi? Nel caso di un definitivo embargo europeo del petrolio russo la Cina si troverebbe, insieme all’India, a essere, almeno sulla carta, una delle poche destinazioni appetibili verso cui Mosca può re-indirizzare parte del mancato flusso verso l’Europa. Tuttavia, i limiti di breve e medio periodo appaiono significativi. In termini di effettiva capacità, gli oleodotti attualmente operativi non sembrano consentire un incremento sostanziale dei flussi verso oriente. Allo stesso tempo, un inasprimento del regime sanzionatorio imposto da Stati Uniti e Unione Europea potrebbe impattare negativamente sulle varie componenti accessorie del prezzo finale del petrolio russo spedito via mare (costi assicurativi, broker’s fee, ecc.) rendendolo poco conveniente anche al netto di sconti particolarmente elevati.
In tutto ciò, l’aspetto politico appare comunque dirimente. L’attuale reticenza delle major cinesi a negoziare nuovi contratti con la Russia riflette la cautela con cui Pechino si è approcciata alla guerra in Ucraina. Se infatti le autorità cinesi hanno da un lato dichiarato pubblicamente di non accettare condizionamenti esterni nelle proprie relazioni con Mosca, dall’altro Pechino appare ben consapevole del danno reputazionale associato alla percezione di un supporto economico diretto alla causa russa. A ciò si aggiunge la crescente preoccupazione cinese di subire un embargo da parte occidentale come quello subito dalla Russia in risposta all’invasione dell’Ucraina. Per queste ragioni appare improbabile che la Cina possa e voglia aumentare significativamente il proprio import di petrolio dalla Russia nel breve e medio periodo.