L’invasione russa dell’Ucraina, il caro energia e la dinamica inflattiva, che si aggiungono alla grave crisi climatica in atto, impongono di accelerare la transizione energetica per uscire dalla dipendenza da gas e fossili. Una dipendenza tossica, che nuoce gravemente anche alla democrazia e ai diritti umani.  Per dare risposte strutturali a queste crisi che si intersecano non servono ricette del passato. Bisogna, invece, aumentare la velocità con cui installiamo nuova potenza rinnovabile e con cui investiamo su sistemi di accumulo, autoproduzione, ammodernamento delle reti, efficienza e risparmio energetici. Si tratta di interventi strategici che ci consentiranno progressivamente di fare a meno del gas russo, anche in tempi più rapidi di quanto si pensi.

Anziché concentrarsi sulle soluzioni strutturali, il dibattito pubblico italiano si concentra sul gas. Su come sostituire gli approvvigionamenti russi con quelli provenienti da altri paesi in cui esistono analoghi problemi di rispetto dei diritti umani e democrazia, come l’Algeria o l’Egitto. Il Paese che continua a impedirci la notifica degli atti e quindi di svolgere il processo agli impuntati per il rapimento la tortura e l’omicidio di Giulio Regeni. Si discute molto anche di aumentare le estrazioni made in Italy, peccato che per la loro quantità non risolvono né il problema degli approvvigionamenti né quello dei rincari. Soprattutto in molti sembrano aver dimenticato che per rispettare gli impegni climatici internazionali il gas, come tutti i fossili, è una fonte che dovrà essere sempre più marginale e sarebbe opportuno prepararsi e programmare anche questo phase out oltre a quello da carbone.

La soluzione, ribadisco, è un sistema energetico rinnovato, fondato su una generazione pulita diffusa, risparmio ed efficienza, per questo è fondamentale aumentare la velocità della transizione. Invece andiamo avanti a piccoli passi. A inizio marzo, ad esempio, è servito l’intervento del Consiglio dei Ministri per sbloccare gli iter di sei parchi eolici per 418 MW tra Basilicata, Puglia e Sardegna. Se consideriamo anche interventi simili da fine 2021 a inizio marzo siamo arrivati 1.407,3MW di nuova potenza rinnovabile autorizzata, in sostanza, dall’esecutivo. E il problema, invariabilmente, sono i dinieghi delle Sovrintendenze.

Ma 1,4 GW sono assai meno di quello che dovremmo e potremmo fare per spingere su una produzione energetica pulita, vantaggiosa sia dal punto di vista economico che climatico ed etico. Per centrare l’obiettivo del 72% di elettricità rinnovabile al 2030 dovremmo arrivare a quella data con 70 GW di nuova potenza pulita. Un traguardo ambizioso e possibile, a patto di semplificare in modo sostanziale i barocchi iter autorizzativi, che nel nostro Paese durano in media 5 anni e sono un potente dissuasore da ogni investimento. Siamo in ritardo sulla transizione energetica e lo stiamo pagando a caro prezzo, ma la buona notizia è che potremmo recuperare il tempo perduto in tre anni. Se solo l’esecutivo ascoltasse le proposte di Elettricità Futura. La Confindustria dell’energia elettrica da febbraio chiede vengano autorizzati entro giugno 60 GW di potenza pulita, che è pronta ad installare in tre anni investendo 85 miliardi e creando 80mila nuovi posti di lavoro. Farlo significherebbe risparmiare 15 miliardi di metri cubi di gas ogni anno, ovvero il 20% del gas importato. E questa sì che sarebbe una risposta strutturale che ci renderebbe più liberi e meno condizionati dalle dittature.

Alcune semplificazioni per l’installazione di nuova potenza rinnovabili e il repowering degli impianti esistenti sono state introdotte grazie all’impegno del Parlamento sul cosiddetto decreto Energia. Un contributo nella giusta direzione arriva anche da alcune delle mie proposte emendative al decreto approvate in Commissione alla Camera. Tra queste la misura per individuare con un decreto del MiTe, per ciascuna tipologia di impianto e fonte, gli interventi di modifica sostanziale da assoggettare ad autorizzazione unica, la procedura abilitativa semplificata non solo per le rinnovabili ma anche per le necessarie opere di connessione, le facilitazioni per la realizzazione di sistemi di accumulo abbinati agli impianti fotovoltaici. O ancora le semplificazioni previste per le piccole utilizzazioni locali di calore geotermico e per le sonde geotermiche utili alla climatizzazione. Importanti anche la facilitazione degli iter per l'installazione di pannelli solari integrati nella configurazione delle coperture, e quindi non visibili dall’esterno, su edifici non vincolati in centri storici e nuclei urbani e quelle per l’agrivoltaico per lo sviluppo di impianti fotovoltaici flottanti su superfici bagnate o invasi artificiali.

Elementi essenziali di una strategia per la decarbonizzazione e l’indipendenza energetica sono anche il risparmio e l’efficienza energetici. Il risparmio energetico è una leva fondamentale, gratuita e subito disponibile per contribuire alla riduzione dei consumi, delle bollette e delle emissioni climalteranti. Secondo una analisi del Think tank Ecco, ad esempio, riducendo la temperatura di due gradi nelle nostre case, evitando sprechi e adottando soluzioni che prevedano lo smart working, c’è un potenziale di risparmio rispetto ai consumi attuali di riscaldamento di circa 4 miliardi di metri cubi di metano. 

Sul fronte del contributo che può arrivare all’indipendenza energetica dall’efficientamento ci aiuta anche uno studio realizzato da Elemens per Legambiente e Kyoto Club. Studio da cui risulta che efficientamento del parco edilizio ed elettrificazione dei consumi per il riscaldamento domestico sono un combinato strategico per ridurre i consumi di gas, le emissioni climalteranti e le bollette. Se il nostro Paese percorresse contemporaneamente queste due strade riqualificando ogni anno il 3% del patrimonio edilizio, come prevede la nuova strategia europea Renovation Wave e quindi portandolo a una performance media di consumo di energia finale termica di circa 50 kWh/m2/anno, ed elettrificando i consumi per il riscaldamento puntando sulle pompe di calore, i consumi di gas si potrebbero ridurre nel giro di tre anni di circa 5,4 miliardi di metri cubi all’anno. Politiche che al 2030 potrebbero portare un risparmio di ben 12 miliardi di metri cubi, pari al 41% delle importazioni dalla Russia.

Come si vede c’è molto che possiamo fare investendo su risparmio, efficienza e fonti pulite. Ed è proprio questa la soluzione giusta alle crisi climatica energetica e democratica che abbiamo di fronte.