Le emissioni di gas serra rilasciate dal gas naturale costituiscono ormai da tempo un forte incentivo a ridurne i consumi. Tuttavia, i forti aumenti dei prezzi registrati nel 2021 e l'invasione russa dell'Ucraina nel 2022 hanno reso il gas naturale una fonte costosa e insicura, incentivando ancora di più una sua sostituzione con fonti di energia più pulite, più economiche e più sicure. In questo quadro si inseriscono le proposte dei sostenitori dell'energia nucleare che ambiscono a una rapida espansione dell’atomo come risposta politica alla crisi attuale. Ad aprile di quest’anno il Regno Unito, insieme alla Francia, il più convinto fautore in Europa di un importante programma di nuovi reattori, ha lanciato una politica che prevede entro il 2050 la costruzione di sette nuove centrali nucleari oltre a quella già in costruzione a Hinkley Point, per un totale di circa 24 GW di capacità.

Il programma inglese potrebbe avere degli effetti a catena sulle scelte di altri governi europei.

Per analizzare quali sono gli scenari di una ripresa nucleare, è utile dividere l'Europa in due blocchi: occidentale e orientale. In Occidente, solo Regno Unito, Francia e Finlandia hanno avanzato seri piani per costruire nuove centrali nucleari e sembra improbabile che l'attuale crisi metta in crisi queste ambizioni. Nel Regno Unito la proposta di installare 24 GW (8 progetti) di nuova capacità entro il 2050 sostituisce il precedente obiettivo fissato nel 2010 di avere 16 GW (5 progetti) di nuova capacità nucleare entro il 2030. Rispetto alle previsioni dell’ultimo piano nucleare, solo la stazione di Hinkley Point C (3GW) sarà completata entro il 2030, mentre degli altri quattro progetti previsti, tre sono stati abbandonati e uno fatica a trovare investitori. Il governo parla di ridurre la burocrazia, ma la realtà è che i progetti non sono falliti a causa di quest’ultima o dell'opposizione NIMBY, ma perché erano troppo costosi e non potevano essere finanziati. Criticità queste ultime che è improbabile vengano risolte dal nuovo programma.

Per la Francia, il governo attuale sta parlando di un programma che prevede la costruzione di sei nuovi grandi reattori da completare entro il 2037, a cui ne seguiranno altri otto. Tuttavia, la tecnologia European Pressurized Reactor (EPR) è nota per i suoi lunghi tempi di realizzazione: l'impianto di Flamanville è ancora lontano dal suo completamento dopo 15 anni di costruzione. EDF si trova in perdite finanziarie da diversi anni e, senza alcun pacchetto aiuti in vista, si prevede possa perdere ulteriori 26 miliardi di euro quest'anno. La sua flotta attuale di 56 reattori, di cui spera di prolungare la vita per altri 20 anni a un costo di circa 100 miliardi di euro, versa in condizioni critiche tanto che nella prima settimana di aprile 24 centrali erano indisponibili. Pertanto, appare molto difficile immaginare come EDF possa finanziare un programma di reattori così ampio.

In Finlandia la centrale EPR di Olkiluoto ha iniziato a produrre energia a marzo 2022, dopo 17 anni di costruzione. A questa centrale, sarebbe dovuta seguire la costruzione del reattore Hanhikivi che, nei piani originali sarebbe stato fornito dalla russa Rosatom. Il progetto viaggia già con un ritardo di circa 10 anni: i lavori non sono ancora iniziati e visto il contesto attuale di tensione con la Russia è altamente improbabile che sopravviva. Resta da vedere se la Finlandia avrà lo slancio di lanciare un altro progetto nucleare.

Nell'Europa orientale, c'è una volontà comune da parte dei governi a lanciare nuovi programmi nucleari. Programmi che però ripetutamente si rivelano fallimentari. Ad oggi solo l'Ungheria ha pianificato un ordine: il progetto Paks 2. Si tratta però, di un progetto da due reattori che ha accumulato un ritardo di circa un decennio ancora prima dell'inizio della costruzione. La tecnologia dovrebbe essere fornita da Rosatom, il che ora fa ritenere poco probabile la sua costruzione dato il contesto di guerra fra Russia e Ucraina.

In Repubblica Ceca, Polonia, Bulgaria e Romania sono andate disattese le aspirazioni in ambito nucleare, così come le ambizioni della Slovacchia e della Slovenia sembrano destinate a tramontare. Il tema ricorrente è la difficoltà nel finanziamento.

La domanda quindi è questa: cosa vi è dietro i ripetuti fallimenti dei programmi nucleari di questi paesi? Almeno tre fattori principali: il costo, difficoltà nel reperimento dei finanziamenti e la credibilità del progetto. In termini di costo, quello di un impianto nucleare continua a crescere, a differenza di quello delle rinnovabili diventate via via più competitive con il progresso tecnologico.

Per decenni, la maggior parte dei reattori è stata completata dopo aver accumulato significativi ritardi e con costi che hanno sforato ogni budget stimato, il che ha reso il nucleare un asset ad un alto rischio economico. A meno che il rischio possa essere passato ai consumatori, chiedendo loro di pagare qualsiasi costo intercorso, i finanziatori non saranno capaci di giustificare l’impiego di così ingenti somme per nuove centrali nucleari. Nel Regno Unito, il metodo Contracts for Difference usato per Hinkley Point C che prevede la fissazione di un prezzo di acquisto dell’elettricità ha determinato per i proprietari della centrale un disallineamento rispetto ai prezzi del mercato elettrico. Tuttavia prezzi fissi si traducono nel caso di un sforamento dei costi, e nel caso di Hinkley Point quest’ultimi sono stati già sforati del 50%, in perdite ingenti per EDF, costringendo l’impresa francese a bloccare l’utilizzo di questo modello.

Il modello Regulated Asset Base, invece, proposto per i nuovi progetti, scaricherà tutti i rischi sui consumatori, richiedendo agli investitori istituzionali, come i fondi pensionistici, di finanziare il progetto. Non è però ancora chiara la propensione degli investitori verso questo modello.

Ad oggi, da un punto di vista tecnologico, vi sono cinque tipologie di reattori sul mercato a livello globale. Di questi, i design della russa Rosatom e degli operatori cinesi difficilmente potranno essere accettati politicamente in Europa. Ironicamente, questi due paesi sono gli unici a poter proporre schemi di finanziamento sostenibili per diminuire quanto possibile i rischi finanziari. Gli altri tre sono Framatome (Francia), Westinghouse (USA) e KEPCO (Corea del Sud), ma hanno diversi punti deboli. L’esperienza con i modelli di Framatome e Westinghouse, rispettivamente l’EPR e AP1000, non è stata positiva in Cina e si è rivelata critica in Europa e Stati Uniti.  Entrambe le compagnie sono collassate finanziariamente 5-6 anni orsono, in particolare per le perdite finanziare dovute a queste tecnologie. Invece, l’unica esperienza nell’export di KEPCO è stata negli EAU, dove però i quattro reattori previsti (due dei quali ancora in costruzione) hanno accumulato 5 anni in ritardo e hanno riscontato importanti problemi tecnici. Il modello, inoltre, non rispetta alcuni standard europei, come ad esempio quello della protezione in caso di schianto di aerei. Un design migliorativo deve ancora essere esaminato in maniera approfondita dalle entità regolatorie europee e l’impatto di tali miglioramenti sui costi non è ancora conosciuto. Sia KEPCO che Framatome, nell’ultima decade, hanno riscontrato falsificazioni su larga scala nei processi di controllo di qualità.

L’invasione dell’Ucraina ha aggiunto ulteriori incertezze sugli obblighi da introdurre nel design dei reattori. Precedentemente, si riteneva che i siti nucleari sarebbero stati attentamente tenuti fuori da qualsiasi conflitto. Eppure, i combattimenti nei dintorni della centrale di Zaporizhzhia hanno dimostrato che questi assunti non sono validi. Rimane da vedere se le misure per ridurre la vulnerabilità dei reattori rispetto ai conflitti armati verranno implementate e richieste, e quali impatti eserciterebbe sui costi. Sinora, lungi dal sostenere un ritorno del nucleare, il conflitto ucraino potrebbe portare alla cancellazione di due progetti molto avanzati e imporre nuove misure di sicurezza per i modelli futuri, innalzandone ulteriormente i costi.